mark lanegan

LA MALEDIZIONE DEL GRUNGE – È MORTO MARK LANEGAN, EX LEADER DEGLI SCREAMING TREES, NELLA SUA CASA IN IRLANDA PER CAUSE ANCORA IGNOTE – NELL'ULTIMO ANNO, LANEGAN AVEVA LOTTATO CONTRO UNA FORMA AGGRESSIVA DI COVID, CHE LO AVEVA “COLPITO LÌ DOVE C'È STATO UN TRAUMA IN PASSATO” - LA SUA SCOMPARSA SI AGGIUNGE ALLA LUNGA LISTA DEI FRONTMAN DEL MOVIMENTO CHE HA SEGNATO LA GENERAZIONE X AD ANDARSENE PREMATURAMENTE: KURT COBAIN, LAYNE STALEY DEGLI ALICE IN CHAINS, SCOTT WEILAND DEGLI STONE TEMPLE PILOTS E CHRIS CORNELL DEI SOUNDGARDEN... - VIDEO

mark lanegan

Andrea Andrei per "il Messaggero"

 

Non si esce vivi dal grunge. O perlomeno così verrebbe da dire, con amarezza, dopo aver appreso della scomparsa di Mark Lanegan, ex leader degli Screaming Trees, morto martedì a 57 anni, per cause ancora ignote, nella sua casa a Killarney, in Irlanda. 

 

Voce inconfondibile, ruvida e profonda, Lanegan era una nobile espressione di quella branca del grunge che si ispira al blues, ma soprattutto è stato una delle espressioni più complete, nel bene e nel male, di quel movimento che partì dalla West Coast (non quella assolata della California, ma quella ombrosa di Seattle) alla fine degli Anni 80 per incendiare il mondo intero e poi esaurirsi nel giro di poco più di un lustro. 

 

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La frase È meglio bruciare in un attimo che svanire lentamente, trovata scritta su un foglio accanto al corpo esanime di Kurt Cobain (morto suicida nel 1994), sembra descrivere così il destino del grunge, che con Lanegan perde uno dei suoi ultimi grandi protagonisti. 

 

Andrew Wood dei Mother Love Bone (morto nel 1990), Kurt Cobain dei Nirvana (1994), Layne Staley degli Alice in Chains (2002), Scott Weiland degli Stone Temple Pilots (2015), Chris Cornell dei Soundgarden (2017): tutti i frontman delle band più rappresentative di quel periodo, nate ed esplose nello stato di Washington, hanno ceduto negli anni a tossicodipendenza e depressione, incubo distintivo della Generazione X.

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IL DISAGIO 

Un incubo che Lanegan conosceva bene e che, come i suoi amici, provò a esorcizzare con la musica, vera arma di ribellione che permise a quei giovani problematici di emergere dall'isolamento cronico in cui erano cresciuti e diventare (spesso loro malgrado) icone di un rock maledetto ma remunerativo.

 

 Quando, nel 1991, i Nirvana e i Pearl Jam entrarono di prepotenza nelle classifiche in tutto il mondo, Lanegan si era già conquistato un posto di rispetto nell'ambiente di Seattle, sia da solo (incise nell'87 The Winding Sheet per Sub Pop, l'etichetta che inventò il grunge) che insieme ai suoi Screaming Trees. 

 

IL TRIBUTO 

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Per la band però l'affermazione arrivò solo l'anno seguente con Sweet Oblivion, album che conteneva perle come More or Less e Nearly Lost You. Lanegan non ebbe mai il successo commerciale dei suoi colleghi, ma restò comunque una delle voci-simbolo del grunge, a cui i fan erano particolarmente affezionati, e non solo loro: ieri sui social decine di artisti, da Iggy Pop a Slash, gli hanno dedicato messaggi e ricordi sui social. 

 

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Lo restò anche quando la sua carriera riprese quota con i Queens of The Stone Age (fu coautore della potentissima No One Knows) e con l'album solista Bubblegum del 2004, in cui univa all'hard rock la sua naturale vocazione alle sonorità blues. Un po' come ha fatto Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam che lo scorso 11 febbraio ha pubblicato il suo terzo album solista, Earthling. Lui però, per fortuna, sembra essere emerso incolume e anzi più forte dal periodo turbolento del grunge. 

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Nell'ultimo anno, Lanegan aveva lottato contro una forma aggressiva di Covid, che lo aveva, diceva lui, «colpito lì dove c'è stato un trauma in passato. E io ho avuto un bel po' di incidenti nel corso della mia vita». Ora l'oscurità che aveva dentro e che la sua voce rendeva così struggente si è finalmente dissolta. Resta solo la musica, quella sì, davvero immortale.

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