DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
1. L’UNITÀ RESTA CHIUSA IL FOGLIO DIVENTA DI LOTTI E DI GOVERNO
la nuova unita di guido veneziani by daxest
Salvatore Cannavò per “il Fatto Quotidiano”
Penso che Renzi e Berlusconi siano la coppia più bella del mondo. Noi siamo innamorati della grande limonata tra i due”. Intervistato dal Corriere della Sera, il futuro direttore del Foglio, il trentaduenne Claudio Cerasa, ha illustrato in pochissime righe il programma editoriale del giornale che ha come soci Paolo Berlusconi e Denis Verdini e come presidente Giuseppe Spinelli, il ragioniere di Silvio Berlusconi. Non è una gran novità.
Giuliano Ferrara, direttore dal 1996 e che ha deciso di lasciare “perché non si può fare il direttore per venti anni”, ha sempre “limonato” con i dirigenti del Pd. La stessa nascita del suo giornale avvenne nell’innamoramento per la Bicamerale allora presieduta da Massimo D’Alema e che rappresentò l’apice degli “inciuci” tra destra e sinistra.
Ancora nel 2006, Ferrara si prodigò per sostenere la candidatura di D’Alema alla presidenza della Repubblica pubblicando, con una esplicita intervista all’allora segretario dei Ds, Piero Fassino, un programma per il Quirinale improntato alla pacificazione nazionale. Infine, quando, dopo il 2008, l’Elefantino tifava per l’intesa tra Silvio Berlusconi e il Pd, arrivò a inventarsi l’abbreviazione Caw, dove la lettera finale stava per Walter, nome di Veltroni, primo segretario del Partito democratico.
mario lavia claudio cerasa matteo orfini e maria elena boschi
Le limonate, dunque, sono storia antica. Oggi, però, alla guida della “sinistra” italiana c’è un signore che all’attivo del suo primo anno di governo ha la chiusura di, quasi, tutti i giornali della sinistra. E in questo vuoto, il Foglio può offrirsi come una sorta di house organ del governo Renzusconi con una agilità sorprendente.
Un segnale degli amorosi sensi tra il quotidiano e il partito lo si è avuto con la paginata pubblicata l’altroieri in cui i deputati e i senatori Pd sono stati tutti “schedati” a seconda del loro affidabilità in vista delle elezioni per il presidente della Repubblica. Una lista dietro cui è sembrata evidente la mano dei colonnelli di Renzi, in primis quel Luca Lotti che ormai è il vero numero 2 dell’entourage renziano. E la cui prima, vera, biografia giornalistica fu pubblicata proprio da Cerasa nel dicembre 2013. Una pagina di aneddoti e ricostruzioni in cui veniva esaltato “il bambino che da piccolo ha imparato ad azzannare i comunisti”.
Senza cedere alla malizia con cui ieri Dagospia bollava la dipartita di Ferrara – “abbandona la nave che cola a picco?” – le vicende del Foglio si intersecano ai problemi economici di gran parte della stampa italiana. Come una cinquantina di testate, anche il quotidiano dell’Elefantino percepisce i “contributi diretti alle imprese editoriali” in base al comma 2 dell’articolo 3 della legge 250 del 1990. Nell’ultimo dato disponibile presso il Dipartimento dell’Editoria, i contributi ammontavano a 1,2 milioni di euro che corrispondono a circa il 20% del fatturato del Foglio stando ai numeri pubblicati da Milano Finanza. Quei fondi, però, si stanno riducendo impietosamente. Il Fondo per l’Editoria è stato via via prosciugato e lo stesso governo Renzi conta di dimezzarlo nel 2015.
Un rapporto diretto con il premier potrebbe essere utile per avere qualche sponda? Lecito pensarlo. Renzi finora non ha dimostrato grande sensibilità per la stampa politica. Nel corso del suo governo, infatti, hanno chiuso quasi tutti i quotidiani collocati a sinistra: Liberazione a marzo, poi l’Unità, Europa, Left – che però è stata riacquistata da Matteo Fago – il Salvagente e, ultima in ordine di tempo, Rassegna sindacale che si è trasferita sul web.
I problemi principali emergono per quanto riguarda i quotidiani di area Pd. L’Unità ed Europa, infatti, avrebbero dovuto essere recuperati dalla nuova società editoriale Eyu (l’acronimo di Europa, Youdem, Unità) di proprietà al 100% del Pd. A oggi, però, la situazione è drammatica, soprattutto per i dipendenti dei rispettivi giornali (quasi un centinaio). Europa è stata chiusa e la testata assorbita direttamente dal Pd che, assicura, la farà tornare presto online.
All’Unità, invece, si attendono ancora le decisioni che prenderà l’editoriale Veneziani che punta ad acquisire la testata. Un comunicato della Fnsi e del Cdr del quotidiano teme che la vicenda possa concludersi “nel peggiore dei modi” perché Veneziani vorrebbe rilevare il giornale “senza avvalersi della professionalità dei suoi lavoratori, giornalisti e poligrafici”. Eppure, il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, aveva garantito che il cambio di proprietà sarebbe avvenuto a condizione di avvalersi “prioritariamente” dei lavoratori della Nie (società in liquidazione) oggi in cassa integrazione straordinaria. L’offerta di Veneziani è all’esame del Tribunale di Roma ma le componenti sindacali reclamano, da mesi, un incontro immediato con l’editore Veneziani “capofila della cordata di cui fa parte anche la fondazione Eyu del Pd” .
2. STAMPA&SECOLO: SAVONA-NY SOLO ANDATA
Franco Patrizi per “il Fatto Quotidiano”
MARIO CALABRESI ICE BUCKET CHALLENGE
C’è “la generosità dei colleghi che lasciano”. C’è “un calo di copie drammatico”. C’è “la carta che è come una barca che affonda”. E poi c’è la linea del Piave dell’editoria del nord-ovest italiano che si traccia a Savona, ponente ligure. Passa da lì la “grande opportunità”, per dirla con i suoi sostenitori, del matrimonio tra La Stampa e Il Secolo XIX. La fusione è partita ufficialmente il 1 gennaio.
MONTEZEMOLO MARIO CALABRESI JOHN ELKANN ANDREA AGNELLI
I due quotidiani riuniti sotto un’unica azienda, la Italiana Editrice Spa (Itedi): il 77 per cento è della Fiat – John Elkann è il presidente – il restante 23 per cento della famiglia Perrone, già editore del giornale genovese. Una macchina da 496 dipendenti di cui 306 giornalisti, che dovrà provare a razionalizzare i costi delle due testate, entrambe con bilanci dal segno “meno” (La Stampa ha fatto un piano di ristrutturazione con prepensionamenti, al Secolo da più di un anno è in vigore il contratto di solidarietà).
Nuova grafica, sistema editoriale unificato, una sola struttura amministrativa. E niente esuberi, promette Elkann. Ma per cogliere il senso di questa operazione - indicativa del momento nero dell’editoria italiana - è interessante raccontarla attraverso le parole con cui Mario Calabresi, neo coordinatore della nuova editrice (il Secolo, comunque, continuerà ad avere un proprio direttore, Alessandro Cassinis) ha illustrato il progetto alla redazione.
Due incontri, a fine novembre 2014: al mattino a Torino, nel pomeriggio a Genova. Ecco alcuni stralci dell’assemblea: “I detrattori di questo progetto sostengono che si stiano sommando due debiti. Questo invece è un matrimonio intelligente. Il Secolo cambierà formato, che sarà uguale al nostro, e avrà una grafica dialogante con la nostra. Le sinergie di stampa, di distribuzione e acquisti portano risparmi di diversi milioni di euro. È prevista la vendita della doppia pubblicità su entrambi i quotidiani e ci sono altre possibilità, dalle operazioni di marketing e agli “speciali” comuni . Questa è la prima vera operazione di consolidamento nell’editoria italiana, un’operazione che consente di mettere in equilibrio due giornali”.
Ammette il direttore che il futuro era segnato: “Il Secolo – prosegue Calabresi – vende 60 mila copie e continua a fare pagine nazionali e internazionali, con costi e dispersione di sforzi non più sostenibili, che andrebbero concentrati sul locale. Inoltre continuava ad avere un amministratore delegato, un responsabile marketing, un capo del personale e altre figure che in uno spazio così piccolo non riuscivano più a stare in piedi”. Ma il punto è che al grande giornale serve il piccolo per continuare a rimanere tale.
“Il nostro obiettivo era salvare un modello giornalistico – insiste Calabresi – Senza la fusione, con questo Natale saremmo usciti dalla partita con Repubblica e Corriere della Sera. Non saremmo più stati in grado di mandare inviati in Sierra Leone per Ebola o in Libia. C’è chi sostiene che la Stampa ha l’ottanta per cento delle copie nel Nord Ovest e che questa politica è insostenibile. Il nostro bacino di copie, se aggiungiamo quelle del Secolo, giustifica il fatto di avere un corrispondente da Gerusalemme o da New York”.
Ma per volare alto, qualcosa va sacrificato: “C’è un’evidente problema di sovrapposizione a Savona”, spiega Calabresi: “Insieme vendiamo circa 15 mila copie. Noi 8500-9000, loro 5500-6000 a seconda dei mesi. È ridicolo farsi concorrenza quando sì è nella stessa azienda. A Savona i pubblici di lettori sono diversi, lontani tra loro, che spesso sono protagonisti di sfottò tra loro. Resta il fatto che sono 15 mila copie su un progetto che vende insieme 280 mila copie. Non è che per salvare Savona si possono chiudere Roma, New York e Bruxelles”.
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