MUSK NON S’È INVENTATO NIENTE – NEL 2012, ERIC SCHMIDT, L’EX AD DI GOOGLE CHE ORA FA AFFARI VENDENDO DRONI ALL’UCRAINA, FU CRUCIALE PER LA RIELEZIONE DI OBAMA: CON I SUOI INGEGNERI CREÒ IL “PROGETTO NARVALO”, UN ALGORITMO CHE PASSÒ AL SETACCIO I DATI DI TUTTI GLI AMERICANI ED ERA IN GRADO DI IDENTIFICARE OGNI ELETTORE, "COLPENDOLO" CON MESSAGGI PERSONALIZZATI. OBAMA VINSE, E SCHMIDT OTTENNE L’ETERNA RICONOSCENZA DEI DEMOCRATICI: LA COMMISSIONE ANTITRUST ARCHIVIÒ LE INDAGINI SU GOOGLE, E L’EX CEO FU NOMINATO CONSIGLIERE ALLA CASA BIANCA, PROPRIO QUANDO SI DECIDEVA DI NON REGOLARE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE (È ANCHE MERITO SUO SE OGGI L’IA NON È SOTTO IL CONTROLLO DEI GOVERNI MA DI AZIENDE PRIVATE SEMPRE PIÙ POTENTI…). ALTRO CHE MUSK E TRUMP…

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Estratto da “L’ora dei predatori”, di Giuliano da Empoli (ed. Einaudi)

 

eric schmidt 6

Prima di Musk c’è stato Eric Schmidt. Per educazione, per carattere e per tattica, Eric Schmidt è l’esatto contrario di Elon Musk. Tanto quest’ultimo è sfrontato e trasgressivo, tanto il primo è garbato, discreto, conciliante.

 

A vederlo muoversi nei corridoi del Pentagono o in mezzo ai pezzi grossi dell’Aspen Institute, un po’ goffo nel suo completo oversize, sempre sorridente, con un’espressione di infinita tolleranza dipinta sul volto, potrebbe passare per un prete di campagna, di quelli che diventano il pilastro della loro comunità, come accadeva un tempo.

 

In realtà, è più simile a un cardinale, di quelli troppo astuti e consapevoli del proprio potere per puntare al soglio di Pietro.

 

sergei brin eric schmidt larry page

Se il padre di Carlo VIII non voleva che suo figlio imparasse più di queste cinque parole di latino, qui nescit dissimulare, nescit regnare, «chi non sa dissimulare non sa regnare», pur non essendo il re di Francia, ma un semplice professore di Economia internazionale, il padre di Eric Schmidt deve aver impartito al figlio una lezione simile.

 

All’inizio degli anni Duemila, quando Google era un’azienda sull’orlo del fallimento, i due geniali sociopatici che l’avevano fondata si resero conto di aver bisogno di un adulto a bordo e si rivolsero a Eric Schmidt.

 

Da quel momento Schmidt ha preso in mano le redini dell’azienda, trasformando Google nel colosso che è oggi e lasciando i due fondatori, Larry e Sergey, liberi di dedicarsi alle ricerche postumane, le uniche a suscitare il loro interesse.

 

barack obama eric schmidt

Durante le riunioni del comitato esecutivo a Mountain View, i due restavano immancabilmente incollati ai loro schermi finché Schmidt non cambiava tono: «Larry, Sergey, ho bisogno della vostra attenzione su questo punto». Allora i due riemergevano per qualche istante, prima di ripiombare nella loro ricerca metafisica.

 

Durante la presidenza Obama, Schmidt era onnipresente. Non appena si parlava di scienza, di tecnologia, di digitale o di politica industriale, lo si vedeva spuntare, col suo completo troppo grande e l’espressione beata, sempre sul punto di rivolgere al pubblico un gesto di benedizione cristiana.

elon musk eric schmidt

 

Nel 2012, il suo contributo alla rielezione del presidente democratico è stato di gran lunga superiore a quello di Musk in favore di Trump. All’epoca le cose non si stavano mettendo bene per Obama.

 

L’entusiasmo suscitato dalla sua elezione si era spento da un pezzo, la ripresa economica si faceva attendere e i soldati americani continuavano a morire a causa di ordigni esplosivi improvvisati in Iraq e in Afghanistan. Di tutti gli ingredienti che avevano reso possibile la sua trionfale elezione, ne restava solo uno su cui puntare le ultime fiches: Internet.

 

Per fortuna, sua eminenza Eric Schmidt non era lontano.

 

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Il 20 gennaio 2011, la Casa Bianca annuncia la costituzione della squadra per la rielezione del presidente. Jim Messina, già responsabile della parte digitale della campagna precedente, assume la direzione delle operazioni.

 

Lo stesso giorno, a Mountain View, Eric Schmidt si dimette in sordina dalla sua posizione di numero uno di Google, mantenendo solo quella di presidente, il che gli lascia le mani libere per aiutare il suo protetto Messina a far rieleggere l’amico Barack. Insieme, i due elaborano la strategia: costruire la più grande e dettagliata banca dati elettorale mai vista con l’obiettivo di prendere di mira individualmente ogni elettore in ogni Stato conteso.

 

Se la campagna del 2008 era stata quella di Internet come strumento di comunicazione, quella del 2012 dovrà diventare la campagna di Internet come strumento di raccolta di informazioni. L’operazione viene denominata «Progetto Narvalo», dal nome del cetaceo dal lungo corno che emerge dai flutti come un mostro marino cogliendo di sorpresa gli avversari.

 

I repubblicani non si accorgeranno di nulla. Per mesi, sei giorni su sette, quattordici ore al giorno, decine di ingegneri prestati da Google, ma anche da Twitter, Facebook e molte altre aziende della Silicon Valley, lavorano alla creazione di questa potente creatura degli abissi.

 

barack obama eric schmidt

Grazie a essa, Obama entra nell’anno della sua rielezione con la certezza di conoscere il nome di ognuno dei 69 456 897 americani il cui voto lo ha portato alla Casa Bianca. Sebbene i voti siano stati espressi a scrutinio segreto, i dati di Narvalo sono così granulari da permettere agli analisti di identificare i sostenitori di Obama in ogni circoscrizione.

 

A ciascun elettore viene assegnato un punteggio di probabilità da zero a cento. Un punteggio zero significa che l’elettore voterà per Romney. Un punteggio cento significa che l’elettore è totalmente a favore di Obama. A quel punto non resta che concentrare tutte le risorse sui punteggi compresi tra quarantacinque e cinquantacinque negli Stati cruciali, e il gioco è fatto.

 

eric schmidt

Per l’intera campagna, Narvalo rintraccia casa per casa gli elettori «utili», inviando a ciascuno di loro un messaggio personalizzato in base alle loro idee e ai loro interessi.

 

Venuta meno la grande visione del 2008, gli strateghi di Obama invertono la marcia. Da strumento per mobilitare, Internet diventa uno strumento per segmentare: un gioco da ragazzi per Schmidt, alla testa della più grande azienda pubblicitaria del pianeta, ma una rivoluzione per la politica americana, e non solo.

 

Nel 2012, per la prima volta, la campagna elettorale nella più grande democrazia del mondo si trasforma in una guerra di software e, grazie al cardinale della tech, la superiorità dei democratici si rivela schiacciante.

 

La sera delle elezioni, Schmidt è al quartier generale della campagna a Chicago: una foto sfocata lo ritrae in jeans e camicia a quadri, circondato da mangiatori di patatine fritte. Quella notte, Obama ottiene il cinquantuno per cento dei voti, tre milioni e mezzo in meno rispetto alla volta precedente, ma distribuiti strategicamente in modo tale da consentirgli di conquistare la maggioranza dei grandi elettori.

 

Se la vittoria del 2008 era di natura politica, quella del 2012 ha rivestito un carattere essenzialmente tecnico.

barack obama eric schmidt

 

A partire da quel momento, l’aura di santità che emana dal cardinale di Google permea ogni angolo dell’amministrazione democratica. Due settimane dopo la rielezione di Obama, la commissione antitrust, che aveva avviato un’azione legale contro Google, archivia la pratica.

 

Già membro dell’Ufficio per le politiche scientifiche e tecnologiche della Casa Bianca, Schmidt viene nominato presidente del primo Defense Innovation Board, responsabile delle strategie per «garantire la supremazia tecnologica e militare degli Stati Uniti» – secondo la missione da lui stesso formulata per questo nuovo organismo –, e poi della prima Commissione sull’intelligenza artificiale: il cardinale si è stabilito al centro del reattore e la sua parola fa testo su tutti i temi del futuro.

 

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La parabola del cardinale di Google non è che l’esempio più clamoroso degli innumerevoli casi di conquistadores del digitale che sono andati a braccetto con i democratici per anni, praticamente fino alla fine dell’amministrazione Biden. Questa vicinanza ha fatto sì che il partito degli avvocati, sempre puntiglioso circa il rispetto delle norme e dei diritti, abbia dimenticato di imporre la benché minima regola alle piattaforme su cui si è spostata gran parte della vita politica della nazione.

 

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Anche dopo la prima elezione di Trump, quando era ormai chiaro che il potere delle piattaforme stava alterando profondamente il funzionamento della democrazia americana, i democratici non hanno mai pensato sul serio di fare il più piccolo tentativo per imporre un minimo di responsabilità a coloro che erano chiaramente diventati i nuovi padroni del vapore.

 

E quando la partita si è spostata sul terreno dell’intelligenza artificiale, il partito degli avvocati ha mantenuto la stessa olimpica indifferenza, limitandosi a qualche incontro cordiale con i capi di Google e Microsoft.

 

barack obama eric schmidt

È grazie a loro se oggi l’IA, invece di svilupparsi sotto il controllo dei governi, come nel caso delle armi atomiche e altre tecnologie militari, si dispiega in maniera incontrollata nelle mani di aziende private che assurgono al rango di Stati-nazione. Per trent’anni, dalla metà degli anni Novanta a oggi, i democratici americani si sono sdraiati di fronte agli imprenditori della tech che hanno così potuto trasformarsi dai simpatici nerd un po’ Asperger che promettevano un futuro di fraternità universale, in spaventosi moloch, sempre affetti da Asperger, impegnati in una guerra spietata per la supremazia planetaria e intergalattica.

 

«L’impero messicano è stato, in un certo senso, conquistato dai messicani», osservava uno dei primi storici della colonizzazione spagnola all’epoca di Montezuma II. Un manipolo di avventurieri, sprovvisti di mappe e senza alcuna conoscenza della lingua e dei costumi locali, non sarebbe mai riuscito a impadronirsi dello Stato più potente d’America e della sua capitale di duecentomila abitanti, se non avesse potuto contare sulla complicità dei signorotti locali, intimoriti dalle stregonerie dei nuovi arrivati o allettati dalla prospettiva del guadagno.

eric schmidt con larry page e sergei brin

 

Nell’èra della colonizzazione digitale, i leader moderati hanno svolto la stessa funzione. Alcuni di loro hanno addirittura cambiato casacca, mettendosi al servizio dei nuovi conquistadores.

 

Come l’ex vice- presidente Al Gore, che, dopo aver guidato il processo sulla legislazione di Internet alla Casa Bianca, ha guadagnato centinaia di milioni, prima alla Apple e poi in una società di venture capital della Silicon Valley. O come Nick Clegg, ex vice primo ministro britannico, che è diventato il principale lobbista di Mark Zuckerberg prima di essere licenziato come un maggiordomo qualsiasi pochi giorni dopo la rielezione di Trump.

 

eric schmidt 3

Nel frattempo, infatti, come c’era da aspettarsi, i conquistadores hanno gettato la maschera. Nessuno nega la sincerità di Eric Schmidt o Bill Gates nel presentarsi come bravi democratici progressisti. Alcuni di loro si considerano ancora tali. Ma è chiaro che, al di là delle simpatie individuali, la convergenza tra signori del digitale e predatori è strutturale.

 

Entrambi traggono il loro potere dall’insurrezione digitale e nessuno dei due gruppi è disposto a tollerare alcun limite alla propria volontà di potenza: gli avvocati sono i loro nemici naturali, il bersaglio da abbattere per permettere al nuovo mondo di prosperare.

 

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Nell’ora dei predatori, i Borgiani al potere offrono i territori che governano a mo’ di laboratori ai conquistadores digitali, permettendo a questi ultimi di dispiegare la propria visione del futuro senza essere vincolati da leggi e diritti d’altri tempi.

 

MbS costruisce enclavi in cui si applicheranno solo le leggi della tecnologia, Bukele ha adottato il Bitcoin come moneta ufficiale del suo Paese e Milei progetta di costruire centrali nucleari per alimentare i server dell’intelligenza artificiale. Trump, da parte sua, ha affidato pezzi interi della sua amministrazione ai più sfrenati accelerazionisti della Silicon Valley.

 

Sotto la loro guida, il mondo si sta trasformando in un mosaico di territori in corsa verso un futuro postumano, senza la minima barriera di sicurezza. Gli avvocati si sono inchinati ai nuovi padroni, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Si illudevano che la loro sottomissione li avrebbe salvati, ma non è stato così.

 

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Anche quando il cielo gli è caduto sulla testa, la maggior parte non ha capito cosa stava succedendo […] Continuano a credere che un dissapore tra Donald Trump ed Elon Musk possa cambiare le cose. Chissà, forse stanno ancora aspettando un De Maistre che gli annunci, come in una celebre lettera indirizzata alla marchesa De Costa: «Bisogna avere il coraggio di ammetterlo, Madame: per molto tempo non abbiamo capito la rivoluzione a cui stiamo assistendo; per molto tempo l’abbiamo considerata un evento. Ci sbagliavamo: si tratta di un’epoca»