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Gloria Satta per il Messaggero
È’ passato un trentennio da quando Emmanuelle Seigner, indomabile e sensuale, veniva lanciata da Roman Polanski nel noir Frantic. Oggi che ha 51 anni, una carriera internazionale e due figli, Morgane e Elvis, nati dal matrimonio con il regista 84enne, l'attrice francese conserva il fascino un po' selvaggio degli inizi, la voglia di dire quello che pensa e il gusto di lavorare con il suo pigmalione.
«Continuo a girare film con Roman non perché sia mio marito, ma perché ha un enorme talento», scandisce Emmanuelle, poco trucco e anfibi ai piedi, in un hotel parigino, «e sono dalla sua parte: sia quando ha successo, sia quando viene attaccato per la presunta violenza sessuale di 40 anni fa. Che follia: perfino la donna con cui ha ammesso di aver avuto un rapporto, Samantha Geimer, lo ha perdonato e oggi è con lui in ottimi termini».
La nuova impresa che vede riunita la coppia Seigner-Polanski per la quinta volta s'intitola Quello che non so di lei: è un thriller (in sala con 01 il 1 marzo) in cui Emmanuelle interpreta una famosa scrittrice alle prese con una fan talmente invadente (Eva Green) da entrare nella sua vita fino a disintegrarla. Storia al femminile, colpi di scena, tensione: Madame Polanski si racconta.
Cosa l'ha sedotta del film?
«Il mistero, l'ambiguità, l'incrocio continuo tra realtà e immaginazione. Il mio personaggio vive in una dimensione psicologica in cui è difficile distinguere il confine tra cosa è vero e cosa è frutto di un'allucinazione».
Lei ha mai sofferto le conseguenze della celebrità?
«A vent'anni non me ne importava niente, oggi so che essere famosi ti condanna a una vita infernale: ogni cosa che dici viene giudicata, rilanciata, vivisezionata».
Cosa pensa del movimento #Me Too contro le molestie?
«Certe rivendicazioni sono giuste, ma stiamo andando troppo lontano. La guerra contro gli uomini è inaccettabile».
È d'accordo con Catherine Deneuve che, con altre cento intellettuali, ha difeso il diritto maschile alle avances?
«Ammiro Catherine e ha fatto bene a dire quello che pensa. Le donne devono essere rispettate e soprattutto pagate come gli uomini, ma il tema è complesso. Bisogna distinguere tra violenza sessuale e corteggiamento. Noi donne non siamo vittime in cerca di protezione. Sappiamo difenderci benissimo».
A lei è mai capitato di venire importunata?
«Tutti i registi che mi hanno diretta si sono comportati in maniera ineccepibile. Unica eccezione, Jean-Luc Godard: durante le riprese di Detective mi chiese di rimanere completamente nuda».
E lei come reagì?
«Avevo solo 18 anni, non ero affatto d'accordo e lasciai arrabbiatissima il set. Quando tornai qualche giorno dopo, capii che avevo vinto perché il regista mi disse: hai guadagnato il diritto di tenere le mutande».
È soddisfatta della sua carriera?
«Non mi accontento mai, cerco continuamente di superarmi. È il motivo per cui detesto rivedere i miei film, mi troverei troppi difetti».
Eva Green e lei, due primedonne sul set: siete riuscite a non litigare?
«Ci siamo trovate, siamo diventate amiche. Amo mantenere buoni rapporti con le persone con cui ho lavorato».
C'è un personaggio, tra i tanti che ha interpretato, che le somiglia particolarmente?
«Un paio in altrettanti film di Roman: la protagonista di Frantic, l'attrice spregiudicata di Venere in pelliccia».
Cosa le piace fare al di fuori dal cinema?
«Cantare in un gruppo rock: uscirà presto un mio nuovo disco. Faccio anche yoga e sport. Ma negli ultimi mesi ho lavorato come una pazza: ho interpretato la serie tv The Fall e il nuovo film di Julian Schnabel At eternity's Gate su Vincent Van Gogh. Mescolo i generi per non rischiare di annoiarmi».
Qual è il complimento che preferisce ricevere?
«Mi piace sentirmi dire che sono un tipo singolare. Anche se essere indefinibile rischia di diventare un handicap».
Con un maestro in casa, non ha mai la tentazione di diventare regista?
«Scherziamo? Uno in famiglia basta e avanza. Dietro la cinepresa io farei solo disastri».
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