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“IL PROBLEMA NON È LA VOCE, SONO TUTTE BRAVE. MANCA LA PERSONALITÀ. SPESSORE ZERO” - ENRICO RUGGERI SPARA A ZERO CONTRO LE GIOVANI CANTANTI “CHE FANNO PEZZI SUL MOJITO E POI SI SCOPRONO DEMOCRATICHE”: “FRANÇOISE HARDY NON HA MAI FATTO VEDERE NEANCHE UN GOMITO ED ERA INFINITAMENTE SEXY” (CON CHI CE L’HA? FUORI I NOMI!) – IL “MARE D’INVERNO” (“LA SCRISSI DOPO IL BIDONE DI UNA RAGAZZA CHE NON FINIRÒ MAI DI RINGRAZIARE”), I CONCERTI CON I NUMERI GONFIATI: “NON MI RIGUARDA, HO UN PUBBLICO MOLTO PIÙ ELEVATO. SI VENDE PIÙ IL TAVERNELLO DELLO CHAMPAGNE” – LA DELUSIONE: “DOPO AVER CONTESTATO TUTTA LA NARRAZIONE SUL COVID SONO STATO MESSO IN CANTINA PER TRE ANNI” - VIDEO
Sandra Cesarale per corriere.it - Estratti
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Quel Festival lei lo ha vinto con «Si può dare di più» insieme a Gianni Morandi e Umberto Tozzi.
«Credo non sia mai successo di arrivare primo e contemporaneamente ottenere il premio della critica con una canzone diversa».
Come lo ricorda?
«È stato frenetico, era la prima volta che sentivo la pressione dei favoriti, i fotografi fuori dalla stanza d’albergo, sempre al centro dell’attenzione. Ci rincorrevano ovunque».
Come ne siete usciti?
«Ci ha aiutato essere molto affiatati. Umberto, Gianni e io ci conoscevamo da tempo, eravamo compagni di squadra nella nazionale italiana cantanti. Si può dare di più è nata negli spogliatoi».
Stadio Olimpico di Roma, 25 maggio 2000: la Nazionale Cantanti gioca contro una squadra di calciatori israeliani e palestinesi. In tribuna d’onore, Peres e Arafat.
«Fu il loro ultimo incontro. Una giornata complicatissima. È come se oggi portassimo allo stadio i leader di Hamas, Netanyahu e il presidente Mattarella. Perché allora il “terzo” era Carlo Azeglio Ciampi».
Cosa la emozionò?
«Arafat. Aveva un’aura superiore a tutti i politici, gli uomini pubblici, i papi, compresi Gorbaciov e il Dalai Lama, che ho incontrato. Respiravi una luce, vedevi la storia. Ha pranzato con noi, ma lo abbiamo lasciato tranquillo, non abbiamo parlato del Medio Oriente».
gli occhi del musicista enrico ruggeri 1
Un argomento che ha affrontato più volte nelle canzoni.
«Ne ho scritto prima che diventasse una moda, prima che la bandiera palestinese finisse su poster e magliette come la faccia di Che Guevara. Prima che fosse un hype per giovani cantanti che fanno pezzi sul mojito e poi si scoprono democratiche».
Ce l’ha con qualcuna in particolare?
«Il problema non è la voce, sono tutte brave. Manca la personalità. Spessore zero».
Mai?
«Non mi voglio avventurare. Ma posso dire che Françoise Hardy non ha mai fatto vedere neanche un gomito ed era infinitamente sexy».
Ha dato i suoi brani a interpreti grandissime. A Mina, Il portiere di notte.
«La scelse lei, mi chiamò per darmi la notizia. Pensai a uno scherzo».
Loredana Bertè.
«Non c’eravamo mai incontrati. Dopo una serata al Festivalbar, Ivano Fossati venne in camerino, si complimentò e mi chiese se avevo dei versi per un nuovo album di Loredana. Lei si innamorò del Mare d’inverno. Fu un grande atto di fiducia nei miei confronti, perché era già un mito».
gli occhi del musicista enrico ruggeri 3
È una canzone che nasce da una delusione d’amore.
«Vero. La scrissi insieme a Nuovo swing in un pomeriggio, dopo il bidone di una ragazza. Non finirò mai di ringraziarla».
A Patty Pravo ha dato Strada per un’altra città.
«E l’ho pure intervistata per una mia trasmissione. È carina, gentile e una vera diva. Le riprese erano in Galleria del Duomo a Milano. Lei arrivò, girò lo specchietto dell’auto della polizia che sostava all’ingresso, e si diede un’occhiata».
Il programma si intitolava Quello che le donne non dicono.
«Sì, nel 2008, erano gli anni in cui c’erano i budget per fare dei bei programmi in seconda serata. Entravo in un cubo trasparente insieme a una donna che si raccontava».
Cosa la colpì?
«La sofferenza di Loredana Bertè, la determinazione di Federica Pellegrini e mi emozionò Rita Rusic che da profuga istriana si è presa grandi rivincite».
Le piace fare televisione?
«Sì e credo anche di essere piuttosto bravo».
È stata confermata una nuova stagione de Gli occhi del musicista su Rai 2.
«L’impianto sarà sempre lo stesso: dimostrare che la musica italiana è viva e vegeta, non è quella di Spotify, non è quella degli algoritmi, non è quella delle radio commerciali o dei canali televisivi, però c’è eccome».
Cosa ne pensa dei concerti con i numeri gonfiati?
«Non mi riguarda, non ho nessuna velleità di fare live di quel tipo e non ho neanche quel bacino di utenza che riempie gli stadi. Al massimo mi sono spinto fino al Forum. Francamente ho un pubblico molto più elevato. D’altra parte si vende più il tavernello dello champagne».
La più grande delusione?
«Dopo aver contestato profondamente tutta la narrazione sul Covid sono stato messo in cantina per tre anni, senza mai affacciarmi in tv».
Da cosa dissentiva?
«Dal pensiero dominante che ci portò ad esibire un green pass anche per andare a lavorare, peggio del ventennio fascista dove forse senza tessera qualcosa riuscivi a fare».
Una grande soddisfazione?
«Ricordo quando arrivai in uno studio televisivo per cantare Il portiere di notte. Giulio Andreotti stava andando via, lo vidi tornare indietro e lessi il labiale: questa la voglio sentire».
Ruggeri da giovane.
«Ero un ragazzo determinato che non aveva la minima idea di cosa volessero dire soldi e successo. Suonavo perché avevo delle cose dentro che dovevano esplodere. Tutt’al più cantavo per piacere alle ragazze».
Sbagli?
«Artisticamente mi sembra di aver svolto un buon lavoro, ma professionalmente gli errori strategici sono stati tantissimi».
Quali?
«Aver fatto 200 concerti all’anno senza risparmiarmi, aver inciso per un periodo tre album ogni due anni: forse avrei dovuto centellinarmi di più. Mi sono dato parecchio da fare, sono vecchio. A me non piaceva andare in vacanza, volevo lavorare».
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enrico ruggeri
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enrico ruggeri anni 20
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ENRICO RUGGERI
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