“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Marco Giusti per Dagospia
Preparatevi. Esce "This Must Be The Place" il film americano di Paolo Sorrentino e finalmente sapremo se hanno ragione i giornalisti italiani che urlano al capolavoro, perfino Malcom Pagani che si lancia in un'operazione di curziomaltesismo per il suo ritorno a "Il Fatto" (e lascia "L'Espresso" con un'intervista a Smaila, ma non poteva fare l'inverso?) o quelli stranieri che, in verità , e ci dispiace contraddire Natalia Aspesi, non lo hanno trattato troppo bene.
"E' sgradevole da abbracciare criticamente o commercialmente", scrive Todd McCarthy su "The Hollywood Reporter", "Un tacchino che si crede un pavone", "Se Lars Von Trier è persona non grata per Cannes, Sorrentino lo dovrebbe essere per il cinema", scrive il più cattivo di tutti, Serge Kaganski su "Les Inrock", che descrive come "ignominia estetica, storica e politica" tutta la parte legata all'Olocausto.
Meno cattivo Olivier Séguret su "Libération", che lo trova però "un oggetto indefinibile, divertente e vuoto, molto ordinato nella sua forma e goffo nei significati storici a cui si riferisce". Peter Bradshaw, su "The Guardian", che pure considera il regista uno dei maestri del cinema contemporaneo, si domanda "come sarebbe stato il film se semplicemente avesse trattato del confronto di Sean Penn con i suoi fantasmi personali".
Molto più realisticamente, un amico, dopo la proiezione di Cannes, mi ha dato il giudizio più equilibrato: "Ce se po' sta". Nel senso che, sì, non è del tutto riuscito, ma avrebbe fatto la sua figura in tutti festival. In pratica, soprattutto da un punto di vista italiano, avercene di Sorrentino.
Detto questo, già a Cannes era apparso abbastanza chiaro che il film soffre non poco la sua parte di road movie con il vecchio rocker Cheyenne che va a caccia di nazisti in un'America wendersiana. Anche perché il road movie arriva dopo una prima parte davvero divertente e ben costruita con Cheyenne, uno Sean Penn esagerato ma affascinante nella sua ricostruzione delle macerie del rock, che in quel di Dublino va a fare la spesa, parla con i giovani amici, gioca a pelota nella piscina vuota con la moglie Jane, una grande Frances McDormand.
E' vero, se Sorrentino avesse tentato di fare tutto il film su questi personaggi scoppiati e stravaganti a Dublino, sarebbe stato un gran piacere per tutti. Invece, non si sa bene perché, a un certo punto si scopre che il vecchio padre ebreo di Cheyenne è morto a New York. Cheyenne parte e inizia il suo viaggio, prima verso l'America, poi dentro l'America, alla guida di una grossa Hummer alla ricerca del vecchio nazista che il padre tanto aveva cercato.
Francamente non si sentiva il bisogno di questo viaggio nella storia, ma se Sorrentino e il suo sceneggiatore, Umberto Contarello, lo hanno ideato, ci sarà un motivo valido per farlo. E' vero, durante il viaggio ci sono delle buone trovate di regia, la grande sequenza del concerto di David Byrne con la scenografia che si muove, l'incontro con il vecchio Harry Dean Stanton, già protagonista di "Paris Texas" di Wenders (un omaggio?, no, Sorrentino a Cannes ha detto che non ci aveva proprio pensato...), ma il finale col vecchio nazista è un po' imbarazzante, senza arrivare alle offese che gli lancia "LesInrock" ("...il megapoint Godwin della stupidità e dell'oscenità ...").
Alla fine, come hanno scritto un po' in molti, è un film un po' indefinibile, difficile da amare completamente, anche se il mascherone di Sean Penn, un miscuglio di Robert Smith dei Cure, di âEdward Mani di Forbici' (lo ho scritto Todd McCarthy) e del Cipolla strafatto da "Mamma mia come sto!?" (questo lo scrivo io), è divertentissimo e commovente, e Sorrentino si divide coraggiosamente tra voglia di rock e voglia di cinema.
Purtroppo, alle prese con l'America, Sorrentino e Contarello, da bravi provinciali cadono nella trappolone del road movie, come era già accaduto a Alberto Sordi e Rodolfo Sonego, oltre che a Antonioni e Wenders. Ci aggiungono pure l'Olocausto e la caccia al nazista. Magari avevano solo bisogno di un pretesto per far muovere il loro personaggio, ma scomodare la storia, la tragedia del Novecento, forse, non è giusto per un personaggio così sospeso nei fumi del rock come Cheyenne. Detto questo, non fosse che per le sequenze a Dublino e per i dialoghi tra Sean Penn e Frances McDormand, â'ce se po' sta''. Anche largamente
Il grande Marco Giusti - Copyright PizziThis Must Be The Place - Sean Penn SEAN PENN FRANCES MCDORMAND THIS MUST BE THE PLACE this must be the place sean penn paolo sorrentino ddtv DAVID BYRNEthis must be the place sean penn paolo sorrentino xzni SEAN PENN SUL SET DI THIS MUST BE THE PLACE SEAN PENN E PAOLO SORRENTINO SUL SET MALCOM PAGANI Wim Wenders
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