DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Luca Valtorta per il Venerdì-la Repubblica
Pugno chiuso, bandiera rossa, Batti il tuo tempo. Uno dei primi dischi della storia del rap italiano, firmato Onda Rossa Posse, è appoggiato sulla lunga scrivania della sala adiacente allo studio di Fabri Fibra dove ci incontriamo per l' intervista.
È strano, perché Fibra con quel tipo di hip hop più politico, quello delle cosiddette "posse" nate nei primi Novanta, non c' entra proprio niente.
Quindici anni fa il suo primo disco, Turbe giovanili. Due anni dopo, nel 2004, con Mr. Simpatia il ragazzo di Senigallia utilizza un linguaggio che nessuno ha mai usato in Italia e se l' album non fa scandalo è solo perché esce per una piccola casa indipendente.
Infine "tradita", e siamo nel 2006, per una major, la Universal: Tradimento, appunto, è il titolo del cd che cambia il rap. All' improvviso un perfetto sconosciuto in una settimana finisce al primo posto in classifica e il singolo Applausi per Fibra consacra l' hip hop a fenomeno di massa.
Nonostante siano passati più di dieci anni, Fabri Fibra resta il numero uno. Nessuno, neppure in un ambiente molto litigioso come questo, osa metterlo in discussione. Il suo ultimo disco si intitola Fenomeno e, dopo aver dominato l' estate con il singolo Pamplona (inciso con l' altro personaggio dell' anno, Tommaso Paradiso dei TheGiornalisti), è appena diventato disco di platino.
Per questo abbiamo chiesto a lui di farci da guida in quel fenomeno (musicale, culturale, sociale...) che è diventato l' hip hop italiano da settimane ai primi posti di tutte le classifiche.
Torniamo a quel disco degli Onda Rossa Posse. Come mai si trova qui nello studio? Dì la verità, comprato da poco?
«No, no, è originale, giuro. Ero anche andato a vederli nell' aula magna del liceo linguistico a Senigallia dove studiavano delle mie amiche.
È stato il mio primo concerto rap: me lo ricordo benissimo perché cominciavi a vedere che c' erano dei tipi vestiti "larghi", i primi B-Boy.
Avrò avuto sedici anni, manco avevo ancora scopato, questo me lo ricordo benissimo... Anzi no, aspetta un attimo. Mi sa che non erano gli Onda Rossa, ma gli Assalti Frontali, sarà stato il '92-'93. Vabbé comunque...».
Comunque tu non rappavi ancora...
«No, però avevo cominciato a fare i graffiti. E a fumare marijuana. Me l' avevano fatta scoprire dei ragazzi di Bologna che venivano al mare lì da noi, a Senigallia. Mi fanno: "Ma qui fumo ce n' è?". E io: "Cosa?".
"Fumo. Canne. Marijuana". E poi mi parlano dei Cypress Hill, di Tupac Shakur, mi dicono che nell' hip hop tutti parlano di marijuana. Giuro: per me fu un trauma».
Chi seguivi in quegli anni della prima scena italiana?
«Ho il vinile degli Ak47, e poi mi piacevano i Sangue Misto: nel '94 ero andato a vedere la presentazione di un loro disco e c' era tutta la ballotta bolognese: Neffa, Deda, Dj Gruff, gli Otr, la Pina, Dj Lugi.
A Roma e Bologna il rap era politico, arrivavi a Milano e vedevi il cartellone di Giorgio Armani e tutto finiva. C' era J-Ax degli Articolo 31 che andava all' Hollywood a caccia di donna. Io avevo già fatto un disco ma avevo fallito. Il mio fottuto film era già finito, non avevo futuro.
Andai via dall' Italia, a Brighton, e lì mi è scattato qualcosa, ho calcato la mano sul fatto di essere andato giù di testa. Mi dicevo: perché gli Otr hanno fallito? Perché parlavano solo di rap.
Perché i Sangue Misto hanno fallito? Perché non volevano fare i singoli. Perché i Colle der Fomento hanno fallito? Perché non volevano fare le interviste e andare in televisione.
Ho fatto la lista dei motivi per cui le cose non avevano funzionato e ho anche capito che quello era un momento particolare perché era morto il vecchio e non stava nascendo il nuovo. E ha funzionato. Io lo sento l' odore di quando cambia una generazione, quando ci sono cose nuove...».
Così esci con Mr Simpatia, e dici cose tipo «io non rimo/ inietto veleno in questo casino/ lancio freccette sulla mio foto da bambino/ e se non mi ammazzo/ è grazie al cazzo». Ottieni così quel successo che oggi rinneghi, o che comunque dici di non amare.
«Io sono contento di avere successo, però la gente ti toglie tutto, vuole un po' della tua fama, dei tuoi soldi, vuole far parte della situazione mentre io voglio solo starmene un po' per i cazzi miei.
Il rapper italiano che va nel privé della discoteca lo fa perché lo vede fare agli americani, così come quelle cazzo di Instagram Stories per cui adesso stanno tutti su Instagram a cercare polemica: Soulja Boy, Chris Brown, Travis Scott fanno così e gli italiani copiano.
Ci saranno ancora tra cinque anni? Io almeno per dieci sono riuscito a rimanere sulla scena solo con il rap, senza andare in tv più di tanto, e senza Instagram Stories».
Però il momento in cui l' hip hop sta esplodendo è adesso.
«Siamo solo agli inizi. Negli Stati Uniti o anche in Inghilterra l' hip hop è una cultura viva e condivisa da milioni di persone.
In Italia ci sono solo alcune decine, adesso forse alcune centinaia, di persone che fanno rap e centinaia di migliaia di persone che stanno incominciando ad ascoltarlo.
Ma è vero che la società sta cambiando molto velocemente e artisti come Ghali, Tommy Kuti, Laïoung e gli altri rapper italiani della nuova generazione cominciano ad essere una cosa diversa, non imitativa ma espressione vera della realtà in cui vivono».
Tu venivi dalla provincia, la maggior parte dei nuovi rapper nasce nelle periferie. C' è un perché?
«L' Italia è quasi tutta provincia, e la periferia è un po' la stessa cosa: non sei in centro, punto.
Quando sono venuto a Milano mi sono detto "cazzo, qui sono già tutti vestiti rap!". Ma a Senigallia ero io l' evento, ero io il mostro».
Tra pochi giorni compi 41 anni. Ma si può ancora fare hip hop a quest' età?
«Non mi è mai andata così bene. È a questa età che inizi a scrivere roba bella, non hai niente da dimostrare, puoi sperimentare, come ho fatto io con Squallor, il mio album più difficile. Senza fare nessun tipo di promozione né sui giornali né in tv è arrivato comunque al disco d' oro».
Sperimentare è anche fare il testimonial della Wind con Panariello?
«L' ho fatto per divertimento, per soldi e anche per rompere i coglioni».
Scusa, a chi?
«Al vecchio mondo della musica italiana e della televisione gli sta sul culo che la pubblicità della Wind la faccia un rapper, e cioè un musicista considerato di seconda categoria. Vuol dire che qualcosa sta cambiando e che magari domani non ci sarà più posto per loro».
Quindi Manuel Agnelli ha fatto bene a fare X Factor?
«No. A me hanno offerto un milione di euro per andare a fare il giudice a X Factor e ho rifiutato. Ti danno quei soldi per non fare più il rap. Per spegnerlo. In programmi come quello ci vado ma solo se mi pagano per suonare.
E poi io non riuscirei a stare su quella scrivania in mezzo a gente che urla. Mi viene una crisi dopo poco, lo so. La mia storia è che vengo dal nulla, che non ho mai avuto conoscenze, che quando sono venuto a Milano ero solo, senza soldi e con un lavoro di merda.
Se non ti piace la mia storia non ti piace la meritocrazia. Non li demonizzo 'sti programmi ma non me ne frega un cazzo: andate a vedere un concerto piuttosto che stare davanti alla tv, questo è il mio consiglio».
Un artista può permettersi di dire qualsiasi cosa o c' è un limite? In un disco è necessario il senso di responsabilità?
«La gente non può decidere cosa devo dire io. I media nemmeno. Se tutti i giornali del mondo domani dicessero che non devo dire una cosa, io la dico. Se una vignetta colpisce, allora ha ragione la vignetta».
Però cose come «se non mi ammazzo è grazie al cazzo» per alcuni potrebbero essere anche un' istigazione al suicidio...
«Ovviamente significava il contrario.
Quelle parole esprimevano un senso di rivalsa di Mr. Simpatia, il mio alter ego che, non a caso, era fuori di testa. E infatti sono qui e le cose vanno bene».
Cosa cambia tra la prima generazione dell' hip hop e l' ultimissima, quella della trap?
«Tutto, dalla musica all' abbigliamento. Ghali, che ha vent' anni, vede Militant A quasi come un nonno. Ma la domanda è: chi sopravviverà? Ghali è il migliore che c' è oggi in Italia ma con tutta 'sta roba di Instagram l' attenzione è spostata su altro.
D' altro canto quelli della generazione degli anni Novanta ti dicevano: tu non puoi fare questo né quello perché si discosta dalla tradizione che abbiamo stabilito noi e noi siamo il vero hip hop.
I giovani giustamente hanno detto: sai qual è la novità? Non faccio un cazzo di quello che fai tu e si sono inventati la trap».
Adesso c' è anche il SoundCloud rap di gente come i Suicide Boys che, tra l' altro, sono veramente inquietanti.
«Ma sì, poi c' è l' emo-trap di XXXTentacion e persino l' hipster hop di Macklemore e tanta altra roba. E ce ne sarà sempre di più».
Degli italiani nuovi prendi spesso in giro la Dark Polo Gang. Ma secondo me ti piacciono...
«Molto. Li prendo in giro ma con affetto perché ci vedo la continuità. E li sento molto "truci" (il loro produttore Sick Luke, è figlio di Duke Montana dei romani TruceKlan, ndr)».
Non ti dà fastidio tutto quel consumismo: Gucci, soldi, ragazze mezze nude?
«Guarda, per me ascoltarli è come vedere La grande bellezza: interpretano in chiave moderna e hip hop l' eterna decadenza romana.
Sono la voce della mafia capitale, dello shopping assurdo del sabato pomeriggio. E poi non so quanto Gucci sia davvero felice di averli come testimonial mentre si fanno una canna dopo l' altra supergriffati. C' è gente nuova in Italia che sta diventando famosa con mezzi inediti.
I più vecchi entrano in crisi perché sono spiazzati. Se ne fregano di te, hanno i loro canali che gestiscono direttamente. E a me questo, che cosa ti devo dire, mi fa proprio piacere. Un tempo tu dovevi seguire la major, il passaggio in radio, cose così. Ghali, Sfera Ebbasta, Dark Polo se ne fottono: se li vuoi sei tu che devi seguire loro».
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