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1. FACCI, L' ORDINE E IL RUOLO DEI GIORNALISTI
Lettera di Gabriele Dossena , presidente ordine dei giornalisti della Lombardia, al ‘Corriere della Sera’
Caro direttore, nella sua rubrica settimanale Particelle elementari , il collega Pierluigi Battista critica senza appello l' operato del Consiglio di disciplina dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, nei confronti di Filippo Facci, per un articolo sul terrorismo islamico. E rincara la dose lanciando accuse allo stesso Ordine. Ci sono alcune osservazioni sull' utilità o meno dell'Ordine, che trovo (almeno in parte) condivisibili.
Per fortuna pochi mesi fa è arrivata una legge (la 198, fortemente sostenuta dai Consigli regionali) che ridimensiona numeri e competenze del Consiglio nazionale. L' alternativa, in mancanza di un segnale di cambiamento, sarebbe stata, inevitabilmente, la chiusura dell'Ordine. Accompagnata da un coro di consensi di chi vuole lasciare campo libero a un'informazione senza regole, che alimenta blog e social, assecondando senza vincoli una schiera di editori avventurieri e tutti i desideri degli uffici marketing.
Al di là di questi dettagli, anch'io, come Battista, non vorrei entrare nel merito della vicenda che ha visto coinvolto Facci (anche se invocare il diritto all' odio credo sia contro la Costituzione). E mi piace ricordare un insegnamento: «Il giornalista deve saper respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, piuttosto favorisca la cultura dell' incontro». Parole che non vengono né da destra né da sinistra, ma da papa Francesco.
Gabriele Dossena , presidente ordine dei giornalisti della Lombardia
LA RISPOSTA DI PIERLUIGI BATTISTA: Non riesco a capire quale inesattezza avrei compiuto. Continuo a ritenere moralmente illegittima la funzione censoria di un organismo nato, appunto, in epoca fascista.
2. SCUSATE, FACCIO UN PO' D'ORDINE SULLA MIA VICENDA.
Filippo Facci sulla sua bacheca Facebook
1) Per ora non sono sospeso. Ho 30 giorni per fare Appello (all'Ordine di Roma: la condanna emessa è del Consiglio di disciplina territoriale della Lombardia, composta da tre persone) e nell'arco di sei mesi la sentenza potrà essere confermata o modificata o annullata. Non c'è reformatio in peius, perlomeno: peggio, cioè, non mi può andare.
2) Se confermata, la pena prevede che il mio stipendio e il mio lavoro siano sospesi per due mesi durante i quali non potrò scrivere (collaborare) neppure per altre testate. Credo di non poter neppure scrivere a titolo gratuito. Potrò, forse, scrivere delle lettere, o andare in tv a opinare.
3) La condanna nasce da un esposto fatto da una collega che non conosco. Ogni procedimento viene inviato per conoscenza anche alla Procura generale presso la Corte d'Appello, e questo significa che, se fossero stati ravvisati reati penali - tipo la violazione della Legge Mancino, che tratta l'incitazione alla violenza e alla discriminazione razziale-etnico-religiosa - la Procura avrebbe proceduto.
4) La questione, per me e per chi l'ha capito, non verte sull'Islam, ma sulla libertà di espressione sancita dalla Costituzione. Tutte le questioni attinenti all'Islam fanno parte delle ragioni per cui scrissi quell'articolo-invettiva, e discuterne ora magari è molto interessante, così come è intyeressante notare l'ipersensibilità dimostrata dall'Ordine dei giornalisti (e non solo) proprio su questo argomento.
Ne ho scritto anche per questo. Ma non è esattamente il punto che m'interessa ora. Il punto è che io ho criticato non delle singole e individuabili persone (esprimendo odio) ma una religione e un inseparabile sistema politico-culturale, ho espresso cioè delle idee e dichiarato di odiarne altre. Mi è capitato spesso. Dire che odio qualcosa non può essere fatto automaticamente equivalere a fomentare odio, altrimenti la parola odio diverrebbe inutilizzabile in ogni occasione.
5) Il termine «razzismo» in tutta questa vicenda dimostra solo che tanta gente non sa letteralmente che cosa significhi l'espressione: perciò la invito a leggersi vocabolari o enciclopedie.
6) Io non sono, per definizione, un personaggio pubblico. Sono un giornalista sufficientemente noto e, su Libero, come da contratto, la maggior parte delle volte esprimo delle opinioni personali (anche se non dovessero corrpondere alla linea editoriale della testata) e più raramente mioccupo di altro. Si dice: i fatti separati dalle opinioni.
7) Non sono mai stato un «teocon» e non sono cristiano né cattolico, anzi. Su Libero, per dire, ebbi a scrivere che considero il Vaticano «quella monarchia assoluta situata sulla riva destra del Tevere, uno staterello guidato da soli uomini secondo i quali la nostra vita apparterrebbe alla collettività oppure a un dio: come in Unione Sovietica o come nelle teocrazie islamiche». Se ciò non piace ai cattolici, pazienza.
8) La sentenza la trovate qui: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10155401478042103&set=pcb.10155401438452103&type=3&theater
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