
FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO…
ORIANA FALLACI ALEKOS PANAGULIS
Estratti del libro Solo io posso scrivere la mia storia di Oriana Fallaci pubblicati da La Verità
Siamo stati educati a pensare che un rapporto deve essere duraturo. Ma sappiamo che non lo è. Allora perché andare da un prete oda un sindaco che ti legano per tutta la vita? C' è il divorzio, graziaddio, ma se devi divorziare perché sposarsi?
Il divorzio rende il matrimonio più forte: autorizza il matrimonio. Se uno si sposa vuol dire che è sposato. E io non voglio essere sposata, tutt' al più divorziata.
NON SONO ALBERTO SORDI
Io non sono nubile per avarizia o per vigliaccheria, come certi uomini ostinatamente scapoli. Come Alberto Sordi, per esempio, che in Italia è considerato il prototipo dello scapolo e che è scapolo per paura: di regalarsi a qualcuno o di dividere con qualcuno le sue ricchezze. Io sono nubile per scelta politica cosciente, e per ragioni storiche.
Cioè perché sono un prodotto abbastanza tipico del mio tempo; quello della donna che lavora e che conduce un' esistenza nomade e che è esposta a tutti i cambiamenti sociologici di una società tecnologica. Vedremo poi perché. Il mio tipo umano infatti è oggi abbastanza frequente e domani lo sarà sempre di più. Ieri lo era meno: quando ho incominciato a dire no al matrimonio ciò non era di moda. E non solo in Italia.
[...] Non ero di moda dunque quanto oggi lo sono. E naturalmente le ragioni cambiano da individuo a individuo, però la ragione principale storica, direi, esiste sempre. E ora mi spiego.
Io ho sempre avvertito di avere fatto una scelta per me giusta e inevitabile ma non sono mai riuscita a darle una spiegazione più vasta finché tempo fa in America ho fatto un incontro: quello con Toffler, l' autore de Lo choc del futuro. E Toffler mi ha spiegato perché io ero scapola. Le ragioni sono molte perché nella nostra società, che è una società superindustrializzata e tecnologica, soprattutto tecnologica, tutto avviene più in fretta e di più. I rapporti, cioè gli incontri, sono più numerosi e più brevi.
Ed è più difficile, oggi, avere rapporti duraturi. Si è portati ad avere rapporti temporanei.
In altre parole, ci si incontra più di prima e ci si perde più di prima. Questo nelle amicizie e nelle conoscenze e negli affetti. E ciò non favorisce il formarsi di una famiglia la quale è il prodotto tipico della società agricola che non era una società mobile e che era una società lenta. In questa società non mobile e lenta ci si incontrava tra poche persone e i rapporti erano duraturi.
Nella società industriale, dice Toffler, le cose incominciarono a cambia re: la società industriale era infatti una società mobile e non più una società lenta: la famiglia si ridusse. Con l' urbanizzazione, le case in città più piccole, la famiglia si ridusse nel senso che si liberò dei nonni e degli zii e dei cugini e dei cognati: divenne un nucleo composto solo dai genitori e dai figli. Nella società superindustriale tecnologica, la famiglia si è ridotta ancora di più e ha partorito il tipo umano dello scapolo e della nubile. Il quale è diventato caratteristico soprattutto fra i nomadi come me: la gente senza fissa dimora.
Io sono senza fissa dimora: ho una casa in America, ho una casa in Italia, ho tante case sparse nel mondo che sono rappresentate dagli alberghi in cui vivo e ho vissuto per anni. E in tale situazione come si fa a legarsi a una persona, a fare una famiglia? Mi si dirà che anche i marinai prima si facevano una famiglia: ma questo perché dall' altra parte c' era la donna schiava ubbidiente che restava ferma. L' uomo non accetta un simile ruolo.
SONO SENZA FISSA DIMORA
Io paradossalmente credo che il personaggio della nubile sia più frequente oggi del personaggio dello scapolo perché lo scapolo può conciliare le due cose, avere il partner che se ne sta fermo: la nubile invece no.
Per l' arroganza del maschio.
Ciò non significa che io sia una farfallona, come Alberto Sordi. E neanche che viva priva di affetti come lui. Cominciamo col dire che sono una donna seria, fedele di natura e che l' affetto di un uomo non mi è mai mancato. Quando dico infatti che non sono mai stata sposata, avverto come la sensazione di dire una menzogna.
Senza l' intervento del prete o del sindaco, lo sono stata e lo sono. In senso morale, affettivo. Poi magari ho divorziato e mi sono risposata.
Però non sono stata sposata con la convivenza continua che caratterizza il matrimonio. Perché? Vi sono ragioni parallele: difficile dire quale sia più importante dell' altra.
Una è quella storica: essendo un nomade di natura e di scelta, non potevo e non volevo fissare una fissa dimora.
NON RINUNCIO ALLA LIBERTÀ
L' altra è che non volevo e non potevo rinunciare alla mia libertà. Mi risponderai che gli umani hanno bisogno di un rapporto totale e duraturo. Ma io questo rapporto ce l' avevo: ed era la famiglia creata da mio padre e mia madre: la quale esaudiva quel bisogno di rapporto totale e allo stesso tempo non mi schiavizzava. I genitori ti lasciano scappare, ti lasciano andare e venire: un marito no. Io ho provato a vivere maritalmente col mio compagno. O meglio, ci sono stata costretta da alcune circostanze: peraltro abbastanza nobili.
ORIANA FALLACI CON ALEKOS PANAGULIS
Impazzivo lentamente. Non ce la facevo proprio. E devo dire che ce la faceva male anche lui, perché in questo siamo uguali: in questa sete di indipendenza. Ce la faceva male anche lui sebbene lui si prendesse la fetta migliore del dolce: quella più comoda. Badare alla casa toccava a me, e a fare da mangiare eccetera. Lui non faceva un cavolo. Ma più di questo mi schiacciava questa convivenza obbligata: sentirselo lì anche quando stava zitto o dormiva.
Dividere il telefono ad esempio. Non avere segreti! Quando poi le circostanze della vita ci hanno fatto tornare ai nostri rispettivi indirizzi, o meglio lui al suo e io ai miei, tutto ha ripreso ad andare splendidamente. Eravamo di nuovo due creature libere: libere anche di amarci, non obbligate ad amarci perché vivevamo insieme. Potevamo esercitare la nostra personalità, senza tiranneggiarci a vicenda. E allora mi dirai: che rapporto è questo? È un matrimonio il vostro, è una famiglia? Toffler dice di sì.
Perché ho dimenticato di dirti una cosa: allo stesso modo in cui questa società tecnologica, transitoria, questa società che va in fretta, ci fa incontrare più alla svelta e ci separa più alla svelta, ci riunisce anche. Insomma le separazioni non sono mai, o non sono necessariamente, separazioni definitive.
L' aeroplano che ci ha fatto incontrare, ci fa incontrare di nuovo: e così diventiamo una unità a distanza che fisicamente si scompone per ricomporsi di nuovo e poi per scomporsi di nuovo.
SPOSARSI È DA VECCHI
Io credo che il matrimonio sia una cosa da vecchi. Nel mio libro Lettera a un bambino mai nato ho scritto che la maternità è una cosa da vecchi. Ora aggiungo che il matrimonio è una cosa da vecchi. Di tutti i libri che ho scritto, solo due sono fiction: Penelope alla guerra e Lettera a un bambino mai nato. Tutti e due hanno per protagonista una donna. E in tutti e due si tratta di una don na non sposata ma con un legame. La cosa più straordinaria è che, se li leggi con attenzione e anche senza attenzione, ti accorgi che nessuna delle due parla mai di sposarsi. Nessuna delle due lo desidera. Inventando storie altrui insomma il mio subcosciente non mi ha tradito: no, no. Ha confermato quello che dico. Dev' essere proprio spontaneo in me questo non vederlo nemmeno il matrimonio.
POSSESSO INSOPPORTABILE
A me dà fastidio questo senso del possesso che c' è nel matrimonio: questa palla al piede che ti impedisce di correre e saltare e arrampicarsi sugli alberi. Ed è inutile che io berci tanto contro i padroni, il padrone Stato, il padrone Chiesa, il padrone capitale, se poi accetto un individuo padrone che si chiama marito. Non voglio essere padrona di nessuno, io, e allora perché lui deve essere padrone mio? Io non lo controllo ma non voglio essere controllata. Non lo spio ma non voglio essere spiata. Naturalmente questo modo di vive re e di pensare richiede una grande disciplina e una grande serietà. Sennò si diventa tutti e due due cialtroni, due farfalloni che saltano da un letto all' altro. È una sfida, la mia, è un sacrificio, ma è anche una grande scuola di disciplina e di serietà. [...]
"NON RINUNCIO AL NOME
E poi c' è la faccenda del nome. Per lo meno in questa nostra civiltà occidentale. Non è che io abbia un bel cognome, e poi neanche quello è mio, è di mio padre eccetera. Però l' idea di rinunciare al mio nome mi ha sempre disturbato. Fin da bambina. Lo giuro. Cioè prima che il mio nome diventasse noto. È curioso: uno, mi pare, si sente meno menomato a prendere o veder imporre il nome del padre che a prendere o vedersi imporre il nome dell' uomo che sposa. Anche se è una scelta adulta e consapevole. Ti fa sentire annullata. Ti fa sentire una proprietà.
Proprio come gli schiavi dell' antica Roma i quali prendevano il nome del padrone. [...] La donna nubile, e l' uomo scapolo, sono i tipici prodotti di una società in cambiamento e senza dubbio sono i prodotti della società del domani. [...] Io che abito a Bari incontro te che abiti a Milano, oppure io che abito a New York incontro te che abiti a Sydney. E, con molta probabilità, dopo il nostro incontro, tu torni a Milano e io torno a Bari, tu torni a Sydney e io a New York. Perché ho un lavoro qua, e tu hai un lavoro là. Potremmo sposarci, ovvio, ma allora uno di noi dovrebbe rinunciare a qualcosa cui oggi si è molto più legati che alla famiglia: il lavoro. E nessuno dei due si piega.
Ecco dunque che il nostro incontro diventa breve, ma non per questo si esaurisce. C' è il telefono che ci tiene legati e ci sono gli aerei che ci hanno fatto incontrare e che ci fanno incontrare di nuovo. Ora, il lavoro. Né io né te, abbiamo detto, vogliamo rinunciarvi. E mettiamo che abbiamo due lavori in contrasto, per natura e per orario. Il nostro matrimonio diverrebbe tale solo di nome, non come fatto.
INSIEME MA SEPARATI
Così che accade? Accade che entrambi, pur abitando a Milano, preferiscono stare soli. O meglio, insieme ma in case separate. Direi che è proprio questo a scoraggiarli dalla cerimonia del matrimonio. Cioè un fatto pratico prima che intellettuale. O, se volete, morale. L' incontro oggi, infatti, essendo condizionato da tali realtà, porta con sé come un' incertezza. Come una paura.
Non ci si fida, non si crede che possa durare. (E la realtà dimostra che, quasi sempre, " non dura). E qui sorge la domanda legittima: perché non dura? Non dura proprio perché non c' è più la costrizione dello stare insieme. Perché si è esposti ad altre esperienze, altri incontri, a distrazioni insomma.
Prima durava perché si era costretti a stare insieme e perché si aveva meno tentazioni. Nella società agricola era l' unico modo di vivere. Ed anche nella società industriale dove le due solitudini (quella dell' uomo macchina, ingranaggio della società industria le, e della donna idem) venivano unite in una solitudine doppia. Un incontro insomma era definitivo. Ora un incontro non è più definitivo. Perché non è più unico.
Possono comporre una famiglia due persone separate e sole? Forse il discorso è prematuro nella nostra società. Ma io credo che queste due persone, pur vivendo sostanzialmente separate o, dovrei dire, fisicamente separate per la maggior parte del tempo o per metà del tempo o comunque per una parte del tempo, si sentono legate.
Come una famiglia che non è più la famiglia che si concepiva prima. Toffler dice ne Lo choc del futuro che una famiglia può essere composta anche da due omosessuali, cioè due pederasti o due lesbiche. E molti sociologi americani d' oggi accettano questa tesi: che a me sembra un po' discutibile. Non molto discutibile ma un po' discutibile. Ma se tale tesi è accettabile, allora perché non è accettabile l' idea che io e l' uomo cui sono legata ormai da parecchio tempo non componiamo un tipo di famiglia?
SONO UNA DONNA FEDELE
E quando lui viene da me, viene a casa sua. Quando io vado da lui, vado a casa mia. Siamo così abituati, ci viene spontaneo considerarci a casa propria sia al mio indirizzo che al suo indirizzo, che quando l' uno o l' altra suggerisce o pretende di spostare un mobile o un quadro, bè...si litiga perché siamo tutti e due litigiosi, ma non si discute il diritto dell' uno e dell' altro a suggerire di spostare o spostare quel mobile e quel quadro. Uno può tirare fuori il problema della fedeltà. Per quel che mi riguarda personalmente, lo sento molto.
Sono una donna che, finché dura il suo legame, è fedele. E senza fatica. Ma sollevare il problema nel caso della donna nubile mi sembra artificiale giacché il matrimonio non garantisce affatto la fedeltà. Se una vuol fare ciò che con dubbio gusto viene chiamato corna, lo fa anche se è sposata. È la convivenza forzata del matrimonio che io respingo. E qui devo fare un discorso proprio femminista, cioè un discorso che viene a onore degli uomini. La convivenza con un uomo, il più amato, il migliore, è una pena insopportabile per una donna moderna cioè una donna che non sia una donna schiava o come si usa dire oggi una donna oggetto.
Proprio per la ineducazione degli uomini, in quel loro cercare una mamma in ogni donna e soprattutto nella donna che sposano o con cui convivono. Ciò rimane anche nei brevi incontri ripetuti, d' accordo (io inorridisco quando vado dal mio compagno e vedo il disordine eccetera. E mi metto subito a fare ordine e pulire un po'. Mi viene spontaneo, e poi è un fatto egoistico visto che lì per qualche tempo anche pochi giorni devo starci anch' io e non mi va di vivere in quel caos. Però è per poco. Non lo devo fare tutti i giorni che dio manda in terra).
QUALCUNO DA AMARE Senza dubbio, in un passato che ora mi sembra remoto come la preistoria, pensai anch' io di sposarmi. Parlo dei miei quindici, diciotto anni.
Tuttavia è strano: più il ricordo fruga in quella stagione, meno vi trovo la parola matrimonio.
Già da bambina essa mi incuteva un misterioso fastidio come le parole moglie, marito, fidanzato, fidanzata. Ciò che volevo da bambina, suppongo, era un uomo da amare e da cui essere amata per sempre: come nelle fiabe. Ma nella fiaba avvertivo una specie di minaccia, un rischio mortale: e se quest' uomo m' avesse requisito alla vita? Non sono mai stata un animale domestico.
Non mi sono mai vista chiusa a chiave nel piccolo cosmo della famiglia. Ilmestiere di moglie mi ha sempre inorridito. Non volevo fare la moglie. Volevo scrivere, viaggiare, conoscere il mondo e sfruttare il miracolo d' essere nata. Quasi ciò non bastasse, l' idea di rinunciare al mio nome per prendere quello di un uomo mi riempiva di indignazione. Rinunciarvi perché?
Annullarsi in tal modo perché? Io ero mia. Sia pure confusamente, inconsapevolmente, penso d' essere stata una femminista ante litteram.
Del resto sapermi donna in una società inventata e determinata dagli uomini non mi ha mai dato complessi di inferiorità, non ha mai posto limiti ai miei programmi e ai miei so gni. Al contrario, li ha provocati ed accesi. In una specie di scommessa, di sfida. La mia prima giovinezza si consumò in quella sfida.
Ossessionata dal timore di venir presa al laccio e neutralizzata da una museruola, me ne andai per anni come un cane senza medaglia: libero e ringhioso. Respingevo chi si innamorava di me, mi proibivo di innamorarmi. E certo soffrii, feci soffrire: ma non gettai l' àncora. Non la gettai nemmeno quando mi regalai al primo amore. Del resto il mio primo amore non fu gioioso. Servì solo a farmi intuire che amare significa costituirsi coi polsi ammanettati e che la retorica dellostesso verbo è un imbroglio. L' intuizione mi indurì. Per anni non permisi più a nessuno d' esser mio carceriere e gli aerei furono i complici più fedeli delle mie fughe.
Fuggire non mi costava troppa fatica, spesso nessuna. Per quanto celebrati, a volte, e stimati, quegli uomini non valevano un granché. Anzi, capitava sempre il giorno in cui dimostravo d' avere più coglioni di loro. In un romanzo giovanile, Penelope alla guerra, mi confessai con una storia dove l' eroe piangeva dopo aver sverginato l' eroina. E lei lo consolava porgendogli il fazzoletto perché si soffiasse il naso. Forse il mio tipo di donna è strangolato dal dramma d' esser divenuto, a forza di lacrime, più forte d' un uomo.
NON ODIO GLI UOMINI Non sono nemica degli uomini, al contrario. E questo è un altro dramma del mio tipo di donna. So che non è colpa loro se vivono su una reputazione usurpata, grazie ad essa commettono soprusi e meschinità. Per secoli, millenni, sono stati educati male: in un lavaggio cerebrale che li ha falsati quanto ha falsato noi. Non odio gli uomini.
Quando ne amo uno, divento tenera come un agnello. Mi sacrifico come un agnello. E il ragionamento, l' istinto materno, mi induce sempre ad assolverlo. Però senza farmi illusioni, senza farmi indurre a gettare l' àncora che non ho mai gettato. E nessuno, dico nessuno, ha mai potuto convincermi che ho torto a continuare sola il mio viaggio: che il matrimonio non è una prigione dove il primo detenuto è la donna. La condizione del matrimonio non è la convivenza?
ORIANA FALLACI E AYATOLLAH KHOMEINI
Ebbene: nulla quanto la convivenza ti fa perdere rispetto per un uomo. Il migliore degli uomini. Nella convivenza metà del tuo tempo se ne va a consolarlo, incoraggiarlo, servirlo, proteggerlo come un bambino capriccioso e viziato. Un bambino che non cerca in te una compagna, un' amante, ma una balia, una segretaria, una serva: la mamma che ha perduto crescendo. Nei casi più allegri (e la cosa non è allegra) cerca un balocco. Anche se tu lavori il doppio di lui, hai responsabilità più gravi delle sue, lui si aspetta che tu ti alzi prima per fargli il caffè, che tu corra a casa prima per fargli da mangiare, che tu dia la sua biancheria a lavare e magari che tu gliela lavi, che tu subisca i suoi malumori senza ammettere i tuoi. Povere mamme nostre. Quanti tormenti hanno subìto dal giorno in cui gli dissero che una donna è nata per sposarsi. Il mio più grande rimpianto è non esser riuscita ad avere un figlio per insegnargli alcune verità.
ORIANA FALLACI E AYATOLLAH KHOMEINI
Il matrimonio è contro natura perché i sentimenti si logorano come un paio di scarpe che ogni tanto devi risuolare, rattoppare, rimettere in forma. E poi perché la persona da amare e da cui essere amata per sempre non esiste: a meno di non mentire o piegarti per convenienza, per ipocrisia, per paura della solitudine.
Esistono solo compagni di viaggio, tutt' al più la vaga speranza di concludere il viaggio col compagno scelto e tollerato dalla tua maturità. Ma anche in quel caso non bisogna mai dimenticare che ciascuno dei due appartiene a sé stesso e può ritrovare sé stesso solo in pause di solitudine. Io quando saluto il compagno scelto e tollerato dalla mia maturità, perché parto o perché parte, sento la gola chiusa dal dispiacere della separazione. Allo stesso tempo, però, avverto uno squisito e irresistibile senso di sollievo. E me ne vado scodinzolando come un cane senza medaglia.
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