
DAGOREPORT – ARMATI DI RIGHELLO, GLI SHERPA DI PUTIN E TRUMP SONO AL LAVORO PER TROVARE L’ACCORDO…
FAZIO, CHE STRAZIO! RITRATTONE AL VETRIOLO BY PIROSO DI FABIOLO, IL "FURBETTO DEL QUARTIERE TELEVISIVO": "UN TEMPO ERA SEMPRE PRONTO A FINGERSI OSTRACIZZATO, ORA CHE NON È PIÙ IN RAI MA A NOVE, TV DEL GRUPPO WARNER DISCOVERY, HA L’ARIA DI CHI È IN ESILIO (AUTO-IMPOSTO) MA CON IL FATTURATO PER UNA SERENA VECCHIAIA ASSICURATO. FAZIO ODIA ESSERE DEFINITO “BUONISTA”, MA C’È UN RIMEDIO: BASTEREBBE FARE VERE DOMANDE AGLI INTERVISTATI ANZICHÉ ECCELLERE IN SVIOLINATE COME GLI FECE NOTARE NANNI MORETTI NEL 2012: “A CHIUNQUE SI SIEDE DAVANTI A TE DICI: SEI IL MIO MITO, A CHIUNQUE, SEI GIORNI A SETTIMANA” - LA FRASE: “IN UNA SOCIETÀ DI MERCATO IL DENARO MISURA IL VALORE DELLE PERSONE”. UN ASSIOMA NON PROPRIO “DE SINISTRA”. PERCHÉ L’ETICA CONTA. MA PURE LA COTICA…”
Antonello Piroso per “la Verità” - Estratti
Cognome e nome: Fazio Fabio. Aka - conosciuto anche come - FabioFazio.
O FazioStrazio.
«Chissà dov’è il segreto di FF, si chiedono i più sospettosi. Forse nel binomio di nome e cognome, direbbero gli enigmisti alla Stefano Bartezzaghi: cambio di consonante, cinque lettere, un presagio di abilità combinatoria fin dal battesimo» annotò con una punta di perfidia Edmondo Berselli.
Alle due effe di Berselli ne aggiungerei una terza, «f» come furbetto del quartierino (televisivo).
In passato, sempre pronto - alla bisogna- a far intendere di essere ostracizzato e perseguitato, incassando una compunta solidarietà universale: poveretto, lo vessano!, lo imbavagliano!, lo costringono a traslocare altrove!
Questo, quando era in Rai.
Ma adesso, che dal 2023 è a Nove, tv del gruppo Warner Discovery?
Il fatturato per una serena vecchiaia è assicurato.
È dura però non sentirsi più al centro dell’attenzione mediatica, non più preceduto dall’aura del martire (da palcoscenico).
E sentendosi fondamentalmente «parcheggiato» in un’azienda che non è la Rai, dove entrò come imitatore nel 1982. Lo ha rilevato il 10 giugno, Aldo Grasso, critico tv del Corriere della Sera: «Fazio è chiuso nel suo mondo, frequentato solo dal ristretto numero degli amici suoi. Ha sempre l’aria dolente di chi è in esilio e non vede l’ora di tornare in Rai, che considera casa sua».
(...)
Detto anche buonismo, ovvero la pulsione all’esibizionismo etico, i buoni sentimenti come loro «ostentazione» (così la Treccani).
Etichetta che l’interessato non gradisce: «Non capisco cosa sarebbe il buonismo, il contrario del cattivismo? E come si potrebbe essere cattivisti?». Beh, magari rivolgendo all’intervistato -una volta ogni tanto - una domanda scomoda, anziché eccellere in sviolinate, una sorta di disturbo adulatorio-compulsivo, come gli fece notare ghignando Nanni Moretti nel 2012: «A chiunque si siede davanti a te dici: ho i brividi, sei il mio mito, a chiunque, sei giorni a settimana!».
Intendiamoci. Se vuoi avere ospiti -chapeau!- Barack Obama e Papa Francesco, non è che ti puoi mettere in testa di incalzarli su temi scivolosi, perché altrimenti col piffero che quelli si concedono.
O che ti fanno uno spot all’Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico, come lo scorso 26 gennaio, quando - non c’è più religione! - Bergoglio invitò a seguire la trasmissione fazista.
«Si è mai alzato qualcuno per andarsene da Fazio? No.
Ed è un peccato. Magari venisse fuori un alito di vita, uno scazzo, una contrapposizione. La vita, l’editoria e il giornalismo non dovrebbero essere solo inchini e bomboniere» (così Francesco Vezzoli, uno dei nostri artisti contemporanei più conosciuti e apprezzati a livello internazionale).
Che poi Fazio sia davvero buono, oltre che buonista, è altro discorso: «È un uomo che ama e odia in maniera netta: se gli piaci è per sempre, altrimenti con lui scatta il “mai”. Niente grigi», parola di Nino Frassica, da anni sua «spalla» in tv.
Uno che se la lega al dito, ma che è pure irriconoscente, almeno secondo Pier Luigi Celli, direttore generale della Rai dal 1998 al 2001 (epoca ulivista): «Con me Fazio ha condotto due Festival di Sanremo e quello che posso dire è che ignora il significato della parola gratitudine».
Funziona ancora in tv, Fazio, negarlo sarebbe stupido e ingiusto.
Ma è come se (così Berselli in Liù. Biografia morale di un cane, Mondadori 2009, ancora di attualità) «il conformismo pensoso di Fazio» avesse fatto perdere la spinta propulsiva a Che tempo che fa, santuario e cenacolo dei ceti medi riflessivi. Che poi chi sarebbero?
Non saranno l’esatto riflesso del conformismo nazionale e della sua buona creanza coatta? Perché in quel caso mi verrebbe una voglia matta di citare ciò che disse di Fazio il terribile Antonio Ricci (padre-padrone di Striscia la notizia, che notoriamente non lo ama, idionsicrasie tra liguri, vai a sapere): «Noi siamo diventati di sinistra perché avevamo professori di destra.
Fazio è diventato di sinistra perché aveva professori di sinistra».
Un’accusa di opportunismo al campione dei compagnucci della parrocchietta tendenza Walter Veltroni?
Giampaolo Pansa in Carta straccia - Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli, 2011), lo dipinge come un coniglio mannaro.
Si presenta come «l’abatino estraneo a qualsiasi conventicola, amico di tutti e nemico di nessuno, con l’aria dimessa, l’espressione sempre stupita, il vestito strafugnato del ragazzo di provincia capitato per caso in un posto e in una funzione che non ritiene di meritare».
In realtà è «un signore gelido, capace di muoversi senza guardare in faccia a nessuno, curatore attento dei propri comodi».
Possibile?
Sì, almeno a dar retta a Michele Santoro, nel maggio 2023 su La7.
«Fazio ha detto di essere stato 40 anni ininterrotti in Rai, ma non è vero: andò a lavorare a La7, all’epoca di proprietà della Telecom. Non fece nemmeno una puntata (del suo Fab Show, nda), quella esperienza si concluse e andò via con una paccata di miliardi, devastato, ma molto più ricco di prima».
fabio dazio - meme by emiliano carli
Basta? Macché: «Il vero problema è però un altro: come è ritornato in Rai nel 2003? Io non rientrai in Rai, lui sì, e non per i buoni uffici del suo agente ma perché la politica ha voluto che lui tornasse», la sinistra, certo, ma anche la destra, in quel momento al governo con Silvio Berlusconi. Che non si mise certo di traverso.
Anche per via dei precedenti. Ricostruiti da Dagospia: «Sotto raccomandazione del Psi di Bettino Craxi, Fazio incontrò il Berlusca in via Rovani a Milano. Il Cav gli propose di entrare a far parte del cast di Premiatissima, show della rete ammiraglia del gruppo. Si racconta che Fazio, forte della sua «copertura», pretendesse però la conduzione, ma dopo averlo sperimentato ad una soirée di Capodanno tenutasi a Campione d’Italia, il progetto fu abbandonato».
Bubbole? Mica tanto. Lo stesso Fazio confermò che B.
aveva messo sul piatto 150 milioni di lire «per andare a fare Risatissima e Drive In. In Rai prendevo 80.000 lire a puntata, ma dissi no». Per sprezzo del vile denaro? Insomma.
Più che altro «pensai: in Rai sto come in una famiglia, e poi, dopo Drive In, che cosa mi faranno fare? Diciamo che la indovinai».
La carriera di Fazio comunque non ne ha risentito.
Quelli che il calcio (1993-2001), il palco dell’Ariston (1999-2000), Anima mia (1997) con Claudio Baglioni.
La coppia provò a bissarne il successo nel 1999 con L’ultimo valzer, che doveva traghettarci nel nuovo millennio.
Ma andò a sbattere come il Titanic.
fabio fazio whoopi goldberg luciana littizzetto
Dai giornali dell’epoca: Com’è triste quel valzer (Il Giorno). Fazio inciampa sull’ultimo valzer (Messaggero). Giro di valzer con flop (La Stampa). Peraltro, l’anno prima Baglioni all’ultimo momento si era reso indisponibile per un altro show, Serenate.
A quel punto, pure Fazio si tirò indietro, e rifilò la conduzione a Andrea Pezzi. Così la Balaklava la rimediò lui (il programma fu chiuso anzitempo). Ricomparirà in Rai, un giorno? Possibile, why not? Dipenderà dal contesto, ovvio. Del resto nel 2017, dopo decenni nella tv di Stato, risvegliandosi da un apparente torpore scoprì che sono i partiti a dettare legge in viale Mazzini. Maddai.
Alzò alti lai: «Intrusioni senza precedenti, vulnus forse insuperabile». Dove quel «forse» fu letto come «trattenetemi, sennò me ne vado». Il renziano - almeno all’epoca - direttore generale Mario Orfeo, oggi alla guida di Repubblica, non rimase insensibile al grido di dolore, la presidente Monica Maggioni arrivò a sostenere, senza ridere (titolo di Repubblica): «Non so se la Rai avrebbe retto senza Fazio. Possibile impatto sistemico, occupazione a rischio». Nientemeno: le sorti dell’azienda, e forse, chissà, dell’informazione e della stessa democrazia italiana collegati al destino di un conduttore. Che alla Rai ha dato molto, ricevendo tanto.
Per esempio nel 2008, quando rinnovò per tre anni a 2 milioni di euro l’anno, il 30% in più rispetto al triennale precedente, da 4.690.000 euro. Così nel 2018, con un accordo quadriennale per un’edizione di Che tempo che fa dal costo di 18 milioni l’anno (cifre del Sole 24 Ore nel 2019: 2.240.000 a lui, 10.644.000 alla società che produceva il talk, sua al 50%, il resto sono costi industriali), Si è sempre fatto strapagare, beato lui, in omaggio a un principio che espose durante un’intervista a Luigi Di Maio: «In una società di mercato il denaro misura il valore delle persone». Un assioma non proprio «de sinistra».
Degno semmai di Gordon Gekko, il rapace speculatore del film Wall Street di Oliver Stone. O del vituperato Donald Trump. E del resto al «profitto come segno della grazia divina» era già arrivato Max Weber con il suo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Perché l’etica conta. Ma pure la cotica.
ANTONELLO PIROSO - CAVALIERE NERO VIRGIN RADIO
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