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Fotografie di Luciano Di Bacco
Marco Giusti per Dagospia
Festa di Roma. Ieri era il giorno della santificazione di Gianluigi Rondi. Tornato da vincitore all’Auditorium dopo gli anni di Mullerone, Rondi è stato accolto fra le braccia di Walter Veltroni come se fosse stato Berlinguer redivivo, mentre Pupi Avati lo beatificava come migliore direttore della Mostra di Venezia di sempre e Stefano Rulli doveva accettarlo come “comunista cattolico” e “partigiano”.
Da parte sua, Rondi ha detto che ha sempre votato il poro Walter, non ne dubitavamo, e quindi il nomignolo inventato dal perfido “Espresso” di Doge Nero di Venezia andrebbe corretto come Doge Rosso. Pensa un po’. Solo Carlo Verdone ha ricordato che in tv, prima di lui, c’era stato suo padre Mario, forse poco adatto, parlava troppo senese per la tv di stato. O, forse, un po’ meno andreottiano di Rondi.
Mai nominato lo scomparso critico nemico, Morando Morandini. Mai ricordati, ovviamente, neanche i lati diciamo un po’ oscuri di Rondi, le censure di film importanti, da Nazarin di Bunuel a Persona di Bergman, i dialoghi completamente cambiati. Solo Verdone, incredibile, ha ricordato che Rondi fu anche il Richelieu del cinema italiano. Capace di salvare un film, ma anche di nasconderlo. Comunque, ormai, tutti gli altri sono morti e la storia la scrive chi rimane in vita.
Non male il secondo film in concorso italiano, Dobbiamo parlare, diretto con grazia e grande attenzione ai suoi attori, sperimentandolo prima a teatro e poi al cinema, Sergio Rubini, che lo ha pure scritto assieme a Carla Cavalluzzi e Diego De Silva. Di scena sono due coppie borghesi, cioè due medici e due scrittori, cioè un totale di quattro attori, Sergio Rubini, Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese, in un attico del centro di Roma, che discutono di tradimenti, rancori, gelosie, frustrazioni, sinistra e destra e d’amore per una notte.
Non a caso il film si intitola Dobbiamo parlare. Parlare, si sa, è meglio di niente. “A 45 anni che ci fai con l’amore?”, si chiede realistica Costanza, interpretata con grande padronanza da primadonna da Maria Pia Calzone, la dermatologa che ha scoperto il tradimento dell’esuberante marito chirugo, Alfredo, cioè Fabrizio Bentivoglio, grazie alla lettura dei messaggini che scambia su whattsup con l’amante, moglie di un macellaio infartato. Storia bollata più tardi come una storia di pompini.
“Il tipico pompino dei Parioli”. Tranquilli, poi ci ritorniamo. Ma anche lei, Costanza, nasconde una storiella, con un avvocato più giovane. Anche se, appunto, a 45 anni che ci fai con l’amore? E la più giovane Linda, Isabella Ragonese, sposata con lo scrittore Vanni, Sergio Rubini, nasconde un segreto anche peggiore. Ghostwriter del suo uomo, scrittore di successo un tempo e ora un po’ in crisi, progetta di scrivere un romanzo da sola e per questo lo va a scrivere in segreto in un monolocale all’Eur.
william friedkin con la moglie sherry lansing
E lui nasconde la sua insofferenza di vederla un po’ come un accollo, forse causa anche dell’insuccesso del suo ultimo libro, “Se perdi pubblico, devi farti delle domande”. Ora, se la coppia dei medici fin troppo su di giri, Alfredo e Costanza, è in crisi riconosciuta da tempo, non è che la coppia dei padroni di casa, Linda e Vanni, stia così meglio. Solo che se lo nascondono. Ma “la superficie è importante”, dice a un certo punto uno dei personaggi.
Come è importante l’urlo. Costruito un po’ sul modello di Carnage e di Le prénom, il film di Rubini trova la sua forza nella vitalità e nella presenza dei suoi attori, erano anni che non vedevamo assieme Rubini e Bentivoglio, vecchi amici, mentre la Calzone è una grande scoperta per il nostro cinema e la Ragonese una ovvia riconferma, e nel desiderio da parte dell’intero cast di mettere in scena un lavoro sperimentale. Nel senso che è un testo che si è andato componendo sia nelle tante repliche teatrali sia nella riduzione cinematografica e che avrà una nuova vita successivamente a teatro con una versione che partirà proprio dal film.
walter veltroni gian luigi rondi carlo verdone
Per rendere le cose più difficili, Rubini ha affidato a Bentivoglio un ruolo che non ha mai fatto, quello del borghese romano un po’ gradasso, il chirurgo tutto battute e volgarità, “Hai un occhietto da frocio inculato!”, ha messo la Calzone nel tipico ruolo da Margherita Buy, e in un primo tempo doveva essere proprio lei a interpretare Costanza, e ha lasciato per sé e per la Ragonese la rogna di mettere in scena, ma con una certa finezza, un bel po’ della coppia misteriosa di scrittori alla Elena Ferrante.
Non a casa Domenico Starnone è stato per anni sceneggiatore dei primi film di Rubini. Ma ognuno degli attori, poi, a cominciare da Rubini, sembra poi mettere nel proprio personaggio anche un bel po’ di se stesso. Ne viene fuori un film che gioca sì molto sulle mode e sui tic di un tipico mondo romano, a un certo punto compaiono anche il vero editore Paolo Repetti nel ruolo dell’editore di Vanni, il pittore Marco Tirelli e Stefania Casini come amici della coppia di scrittori, ma anche un film che scava parecchio nella profondità di ciascun attore per non fernarsi alle banalità e alla superficie.
vittoria schisano fabrizio vannucci
Viene fuori così un film molto più realistico e sentito del previsto, dove niente è scontato, la comicità apparente di Bentivoglio può diventare a esempio drammaticità, e dove gli interpreti sono costretti a mettersi a nudo. Può essere un film in parte derivativo, ma non è mai banale e ritroviamo qui il Rubini degli anni migliori. Quanto al “tipico pompino dei Parioli”, beh, magari si poteva spiegare meglio, tecnicamente, la cosa… Ma chi abita ai Parioli sa sicuramente di cosa si parla. Come quando si allude alla tirchieria di Repetti che si presenta con un vinazza da 15 euro… In sala dal 29 novembre.
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