FLASH! - IL DAZISTA TRUMP, PER SPACCARE L'UNIONE EUROPEA A COLPI DI TARIFFE SUI PRODOTTI ESPORTATI…
Egle Santolini per “la Stampa”
Le foto gli vengono bene soprattutto in metropolitana: «Le luci al neon sono perfette e c' è molta tensione. È un limbo e insieme un luogo intimo. Si urla al telefono, ci si bacia. Tutti i miei amici sul metrò s' innamorano. Mi raccontano: stamattina con una tipa c' è stato un gioco di sguardi pazzesco, peccato che sia scesa a Cadorna».
Ray Banhoff, all' anagrafe Gianluca Gliori, 33 anni, di Montecatini, in giro per Milano s' innamora anche lui, ma soprattutto fotografa con il telefonino. Donne di tutti i tipi e le età, «vestite bene e malvestite», che corrono al lavoro o vanno a spasso, grasse e magre, timide oppure insolenti. Sempre sole, «se c' è vicino il ragazzo lo taglio».
Ma quella è l' unica concessione, perché «piuttosto che fotoscioppare o togliere un neo preferirei la tortura». La sua follia, nata su Whatsapp e sepolta per un po' in un computer, ha prodotto qualcosa come tremila immagini. E dopo un editing draconiano a cura di Toni Thorimbert è diventata un libro, «Fie» (da pronunciare alla toscana con acca aspirata, ed è proprio quella cosa lì ) e una mostra, dal 28 al 30 ottobre alla Biblioteca della Moda in via Alessandria, 8 a Milano.
«Fie» Gianluca alias Ray, laureato in Lettere e professore mancato, è un provinciale che sognava «la metropoli e il cemento». Quando ci è arrivato, nel 2009, è andato felicemente via di testa: «Era una sfilata continua, mi sembravano tutte fantastiche, dalla signora col carrello per la spesa alla studentessa, dalla badante ucraina alla modella in giro per agenzie. Di queste donne che si muovono per Milano so poco. Certo la loro femminilità è più marcata. Senti la scia del loro profumo ».
Prima delle donne, però, sono venuti i cani, anzi i «Canini», cioè il primo progetto di Ray. Che fotografo lo era da un pezzo: «Da freelance stendevo pezzi di cronaca per il Tirreno e facevo anche l' assistente in un piccolo studio fotografico locale». Ma che aveva perso l' ispirazione: «Un blocco. Non sapevo che dire ».
L' hanno salvato, a Milano, i botoli che aspettano i padroni davanti al supermercato: «Mica l' ho deciso coscientemente, chissà come ho cominciato a fotografarli al telefonino e subito mi sono sentito meglio». Nella faccenda delle ragazze c' entra però anche un certo spirito goliardico, perché con due o tre amici cominciano a beccarle di nascosto, a gara, e a postarsele in chat. Il gioco sta nel non farsi accorgere, naturalmente, e nell' avvicinarsi sempre di più al soggetto: «In quel periodo leggevo una biografia di William Burroughs, El hombre invisible . Così mi sentivo: invisibile, felpato».
L' uomo invisibile Quelle che si accorgevano di essere nel mirino «o ci giocavano oppure, qualcuna, si arrabbiava: dammi il cellulare, cancellale subito. Con molte ho scambiato qualche parola, con un paio ho fatto anche amicizia: ne ricordo una simpatica, che fumava una sigaretta all' uscita di una mostra al Leica Store. Ma questa confidenza è possibile solo a posteriori. Se le dici: ti faccio una foto?, si mette le manine a selfie, stile giapponese. Per carità». Nella grande tradizione della street photography, nessuna richiesta di liberatoria: «Lo spirito è quello.
Ma ora che le immagini cominciano a circolare sui social, mi scrivono e, contente, la foto me la chiedono».
Di certo siamo agli antipodi rispetto ai Sartorialist assediati da quei personaggi variamente addobbati che darebbero una gamba per finire nei loro blog: in "Fie", lo sguardo ti può cadere sullo stivaletto leopardato o sul tanga sovraesposto, ma quella che conta è la spontaneità. Lontane le copertine di moda, massimamente quelle in questi giorni molto criticate per la scelta di modelle emaciate e mortuarie. Cinque chili in più o il taglio di capelli sbagliato non sconvolgono queste forti guerriere metropolitane.
Resta da capire se in questo modo si cucchi. «Non mettiamo in giro la voce. Le basti sapere che "Fie" è nato grazie alla mia ragazza, Martina, e alla sua socia nello studio "Strip-Project". È stata Martina a convincermi a disseppellire le immagini dal computer». E la parola voyeurismo non lo scompone: «Il mio è uno sguardo lieto, non morboso. Sì, insomma: un po' voyeur lo siamo tutti. Anche se non le avessi fotografate, quelle ragazze le avrei comunque guardate».
twitter @esantoli.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - UCRAINA, LA TRATTATIVA SEGRETA TRA PUTIN E TRUMP È GIA' INIZIATA (KIEV E UE NON SONO…
DAGOREPORT – IL MIRACOLO DEL GOVERNO MELONI: HA UNITO LA MAGISTRATURA – LE TOGHE SI SONO COMPATTATE…
DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
L’AMBIZIOSA E INCONTROLLABILE BARBARA BERLUSCONI HA FATTO INCAZZARE MARINA E PIER SILVIO CON LA…