DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
Giovanni Floris, come farà a raccontare la politica, nel momento di massima disillusione?
«Di solito si dice che non ci sono più i politici di una volta; ma ora ci sono solo quelli di una volta. Vede bene Giannelli, quando sul Corriere disegna Renzi agli esami di riparazione. Ecco, siamo già alla prova d' appello, all' ultimo grado di giudizio per una generazione che ha appena iniziato a guidare il Paese. Sono giovanissimi; ma hanno dato spesso un' immagine non bella di sé».
Quale immagine?
«Immaturità, superficialità, impreparazione, improvvisazione nell' affrontare i problemi. Rischiano di essere ricordati come approssimativi, sempre a caccia di scorciatoie. Alla ricerca della battuta brillante per ovviare alla mancanza di competenza».
Sta facendo il ritratto di Renzi?
«Non solo. Penso a un' intera generazione di imprenditori, di tecnici presentati come geni assoluti e poi liquidati con grande velocità, di sindaci anche bravi che però affrontano quasi con goliardia questioni serissime come il terrorismo. Sembrano tutti schiacciati dall' ombra di Berlusconi. Quando lui ha iniziato, loro erano ragazzi; eppure non hanno saputo inventare nient' altro».
Lei crede al ritorno di Berlusconi?
«È come se la nuova generazione non sapesse liberarsi dalla chiave di lettura del presente che Berlusconi ha imposto, con la divisione tra simpatici da una parte e competenti ma pesanti dall' altra. Quelli con il sole in tasca, e quelli che si svegliano al mattino, si guardano allo specchio e sono già tristi. Intimoriti all' idea di stare dalla parte dei pesanti, i giovani leader sopravvalutano il proprio carisma, la velocità di battuta, la prontezza dell' analisi, che diventa semplificazione e perdita di vista del problema. Pareva la generazione che aveva capito il valore dell' autonomia della politica e l' importanza dei tecnici chiamati a risolvere i problemi individuati dalla politica. Invece sta combattendo battaglie populiste, inseguendo gli umori dell' elettorato».
Quindi ha fallito?
«È una generazione cui gli italiani avevano affidato molte speranze. Nei prossimi mesi ha ancora un' ultima chance per rivelarsi adeguata alle questioni aperte: migrazioni, povertà, terrorismo. Un banco di prova talmente pesante, che l' idea che possa essere affrontato in maniera superficiale è talmente brutta da non poter essere vera».
È un fallimento che coinvolge anche la sua generazione, Floris?
«È il rischio di un fallimento. Ma purtroppo sì. E dire che noi nati negli Anni 60 e formati negli 80 avevamo un grande vantaggio: eravamo liberi dalle ideologie. Non abbiamo odiato i comunisti né i fascisti.
Abbiamo visto crollare il pentapartito, trasformarsi il Pci e l' Msi, nascere Forza Italia e il Pd; e tutta questa cultura politica viene liquidata con qualche frase a effetto e qualche spiritosaggine? Si può con tanta facilità tornare all' errore del partito personale?».
Insisto: ce l' ha con Renzi? O anche con Salvini e Meloni?
«Non penso solo ai politici. Dai giovani industriali sono usciti nel tempo Abete, Fossa, la Marcegaglia, la Artoni; e ora? I sindaci avevano segnato un' epoca; ma adesso? Non avrei mai pensato che una nuova generazione al comando imputasse i nostri problemi di bilancio all' Europa e alla Merkel, e volesse tornare a battere moneta nazionale. Non eravamo quelli dell' Erasmus?».
Però non le sembra che Salvini di persona sia meglio della maschera che indossa quando va ai talk show?
«Sono tutti persone più ampie e più rotonde di quello che sembrano. Se parliamo del tema immigrazione, qualcuno può considerarla un' opportunità, qualcuno una disdetta; nessuno può pensare non sia necessario trovare forme di convivenza con gli immigrati».
E la Meloni?
«Non mi permetto di valutare i singoli. Cerco un tratto generale. La destra può semplificare dicendo "mandiamoli fuori", anziché gestire questo inevitabile fenomeno epocale? Il pragmatismo e' parte della cultura di questa generazione, e personalmente ho ancora fiducia in loro: Renzi, Salvini, Meloni. Oggi però i quarantenni stanno cedendo lo scettro ai 60-70enni, e forse agli ottantenni. Se prima sembrava fondamentale che il politico fosse giovane; ora sembra fondamentale che sia maturo. Gentiloni e Mattarella incarnano la competenza, il lasciar posare i problemi per spacchettarli e affrontarli in maniera metodica. Perché loro ci riescono e i giovani no?».
E i grillini?
«Si avviano alla necessaria normalizzazione; che è un' opportunità, anche se a volte la vivono come un rischio. Stanno scegliendo un leader tra Di Maio e Di Battista, si dividono tra maggioranza e minoranza.
Si può sperare che siano onesti, ma devono anche essere preparati. In pubblico lo disconoscono, ma pure loro sanno che tenere sospeso per un paio d' anni il referendum sull' euro avrebbe conseguenze gravi sui mercati».
I talk-show sono finiti?
«Certo che no. Quando ho iniziato ero l' unico in prima serata; poi ritornò Santoro; ora sono tantissimi. Se un prodotto si moltiplica, vuol dire che c' è domanda».
Ma gli ascolti calano.
«Ballarò durava due ore e faceva il 15% di media, ma eravamo all' apice dello scontro: non capita sempre che il premier sia indagato per sfruttamento della prostituzione minorile. Non era solo politica, era costume, cronaca. in una fase di normalità la politica interessa un 10% di spettatori da sempre. Le trasmissioni del martedì sera sono diventate due, e quel 10% ce lo siamo divisi».
L' altra trasmissione l' hanno chiusa.
«E noi siamo andati avanti, dalle 9 e un quarto sin quasi all' una di notte, aprendo alle inchieste sull' alimentazione, alla cultura, alla filosofia, all' arte. Ora vorrei parlare anche di sport. Abbiamo fatto come i giornali, che non hanno solo la pagina politica».
I giornali hanno un futuro?
«Tutto ha un futuro, se si inventa qualcosa. Ma non è il mio terreno».
L' arrivo di Giletti?
«Più siamo meglio stiamo. Un professionista con un vasto pubblico farà bene anche a noi: altra gente scoprirà il numero 7 sul telecomando».
Allora perché la Rai l' ha lasciato andare via?
«C' è un mercato, alla fine se uno vale lavora".
Il contratto di Fazio?
«Tutti i problemi sarebbero risolti da un bollino con scritto "finanziato dal canone" sotto un programma finanziato dal canone, e da un altro bollino che sotto un programma che si paga da solo, come quello di Fazio, dicesse: "Non si spendono soldi pubblici"».
Chi sono i suoi maestri?
«Non so. da ragazzo li seguivo tutti. L' ironia di Costanzo, la preparazione di Lerner, le domande di Minoli, lo stile di Giuliano Ferrara, la passione di Santoro. E le interviste di Biagi».
Vespa ?
«Un professionista. Mi piacevano le sue puntate di cronaca, come quelle della Sciarelli e, all' epoca, di Augias. Ho molto ammirato l' intervista di Vespa a Grillo. Abbiamo metodi differenti di gestire la trasmissione; ma vale anche per Santoro».
Lei inviterà Grillo?
«Io invito tutti. Quelli che non vedete è perché non vogliono venire. Temo che Grillo non verrà».
Perché?
«Forse non vuole togliere spazio a Di Maio».
giovanni florisRENZI FLORIS RAImassimo giannini giovanni floris
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