PRIMA GREGARIO, ADESSO SCIALLA! - DOPO ANNI NELL’OMBRA A FARE DA SCENEGGIATORE PER VIRZÌ, CALOPRESTI E SPIKE LEE, FRANCESCO BRUNI GIRA IL SUO PRIMO FILM A 50 ANNI (“SCIALLA!”) E FA IL BOTTO: “IL CINEMA ITALIANO HA UN PROBLEMA DI CONTENUTI. SIAMO BLOCCATI NELLA LETTURA, ANCHE POLITICA, DEL PRESENTE” - “NON ESISTONO EROI BUONI, NÉ TOTALMENTE NEGATIVI. IL SEGRETO È QUELLO DI PRENDERE PER IL CULO IL VIRTUOSO E DARE QUALCHE CAREZZA AL BRUTTO CEFFO”…

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Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"

Avevo un compagno di basket, Papalla, che qualunque cosa gli dicessi rispondeva: Vaffanculo, il budello di tu ma'. Buongiorno Papalla, come stai? Vaffanculo, il budello di tu ma'. Oggi hai giocato bene, Papalla: Vaffanculo, il budello di tu ma'. A 18 anni i miei coetanei livornesi mi consideravano uno sfigato che parlava troppo bene. Misi l'equivoco anche in Ovosodo. Basta un congiuntivo di troppo e sei bollato per sempre come finocchio. La nostra fotografia. Così mi adattai e a un certo punto per integrarmi, iniziai a sbagliare le consecutio".

Alla parete, una caricatura di Furio Scarpelli guarda dall'alto. Doppi sensi su pillole blu, cartine geografiche e vecchi copioni. "Questo è Dimenticare Piombino. Lo scrivemmo nel '91. Me lo faccia nascondere". Francesco Bruni è alto, magro e ride spesso. Con qualche ragione. Scialla!, il suo film d'esordio, l'ha girato a 50 anni. Decenni nell'ombra a sceneggiare per Paolo Virzì, Calopresti e Spike Lee. Poi l'occasione. Una storia semplice.

Un padre, un figlio, Roma sullo sfondo, la musica di un rapper indigeno (Amir) e un pubblico da alta marea che porterà la zattera a superare i marosi dei cinepanettoni. Bruni ha due figli. Il più grande è servito da ispirazione: "Stare dietro alle pischelle è un po' da froci è una sua battuta. A suo modo voleva dire: Non mi piace l'armamentario romantico. Scialla! è un moderno Pinocchio sull'adolescenza. A quell'età i ragazzi sono incontrollabili. Entra in ballo l'ormone, annusano i guai, li cercano".

Li ha trovati anche lei?
Caschetto, il produttore, mi chiese un soggetto sui tradimenti. Provai, ma sono un monogamo. Allora ho proposto un film su una conoscenza tardiva, scritto senza sapere chi lo avrebbe girato.

E poi?
Caschetto lo ha letto e ha sibilato: ‘Lo fai te'. Io ho preso l'autobus e ora godo come un pazzo.

Non scende più?
Sarà dura. Non per la gloria, ma per la compagnia. Il set è un circo. Per uno come me, abituato a passare la vita davanti al computer, il calore umano della tribù è una droga.

Le sue origini?
Mia madre era figlia di un ufficiale di marina beneventano e di una croata di Fiume. Mio padre un operaio della Saint Gobain. Scappò dalla fabbrica, riuscì a trovare lavoro alla Arthur Andersen e con una mostruosa scalata sociale divenne dirigente d'azienda. Aprì filiali ovunque. Anche ad Atene.

Atene?
Rimanemmo 4 anni, fino al '66, a un passo dall'avvento dei colonnelli. Poi Milano e infine Livorno. Un pezzo di California. Un'estate perenne. Il mare, il vino, l'asciugamano sulla spalla. Lì ho conosciuto Virzì.

L'amico di una vita.
Culturalmente Livorno è un po' morta. Io e Paolo facevamo teatro lontani dallo struscio, in una buia saletta del dopolavoro portuale. Pirandello, Pinter, Mamet.

Con quali soldi?
La questua. Ci appostavamo dietro alle porte dei negozi, aspettavamo uscissero i clienti e poi andavamo alla cassa: ‘Signore, ci darebbe centomila lire per la scenografia?'.

Reazioni?
Compatimento. Livorno sa essere feroce con gli artisti: Ma cosa fate? I filmini?.

Primo copione?
La bomba nel teatro. Testo di Virzì e regia di Bruni. Una metafora molto ambiziosa, forse troppo (ride).

Lei come arriva al cinema?
Virzì lascia l'università e va a Roma al Centro Sperimentale. Andavo a trovarlo a via della Lungara. Viveva con Bentivoglio e Francesca Marciano. Feste, ragazze, albe. Un gran bordello.

Il salto?
Scrivo sceneggiature e le mando al Solinas. Vinco con La seconda volta. A quel punto Virzì mi convince: ‘Vieni a Roma, non fare il bischero'.

E lei?
Mi laureo in Lettere. Tesi sui regni neo-ittiti dell'Anatolia. Poi mi aggrappo al treno e lo raggiungo. Paolo mi coinvolge, ma non ha pazienza con i registi e passa dietro alla macchina da presa. Io, appena diplomato, divento il suo sceneggiatore.

Avete mai litigato in fase di scrittura?
No, però il maestro di entrambi, Scarpelli, teorizzava la rissa e la cercava sistematicamente. Ti attribuiva pareri non tuoi. Provocava: ‘Come dice quello stronzo del tuo amico Berlusconi'. ‘Non è mio amico'. ‘Come no? Si vede benissimo'. Con Scarpelli e Contarello scrivemmo La bicicletta. Un viaggio su due ruote di un nonno, pensato per Noiret. Non si fece mai.

Discutere è importante?
Gli scrittori si trincerano dietro alle loro certezze. Cercano di non essere stanati. Se provochi una scintilla, anche pretestuosa, ne guadagnano le idee.

Il cinema italiano è scritto male?
Non è un problema di tecnica, ma di contenuti. Siamo bloccati nella lettura, anche politica, del presente. La tv come dicono a Livorno, ‘ti mangia la pappa in capo'. Hai sempre la sensazione che dall'idea alla realizzazione, l'argomento sarà cannibalizzato.

Il suo primo film chiave?
Per cinismo e coralità, Nashville di Altman.

Metodo di lavoro?
Una fase preliminare, chiacchiere e appunti. Poi si passa al trattamento e solo dopo alla stesura. Con Virzì è semplice. Lui si mette alla tastiera e parliamo entrambi. Ci completiamo.

E ironizzate su destra e sinistra.
Se fai commedie, aderire completamente al proprio ambiente è un grave errore. Non esistono eroi buoni, né totalmente negativi. La monodimensionalità è una serranda sull'ironia. Il segreto è quello di prendere per il culo il virtuoso e dare qualche carezza al ceffo.

Come in Ferie d'agosto.
Due famiglie in vacanza. Conservatori e progressisti. Silvio Orlando è un moralista pedante che rimprovera la moglie e non si lascia andare: ‘Non puoi dire che un'insalata è simpatica, un succo di frutta geniale e un film scomodo'. Fantastichini un bruto arricchito e volgarissimo. In certi momenti sembra più vero dell'omologo di sinistra. Ci hanno dato dei qualunquisti.

E lo siete?
Non lo deve chiedere a me.

I vostri personaggi sono spesso fragili, duplici e si ritrovano nelle debolezze.
In Scialla! Barbara Boubulova è un'ex attrice porno ungherese che affida la biografia all'intellettuale in disgrazia Fabrizio Bentivoglio. Barbara è l'unica figura astratta di tutto il film e ha contribuito in modo decisivo. Trasfigurata, capace di sfumature inimmaginabili in sole cinque pose.

Con Spike Lee lei scrisse Miracolo a Sant'Anna.
Una delusione. Molto scostante, freddo, anzi gelido. Non sono riuscito a costruire nessuna simpatia o amicizia. Intorno a lui c'è soggezione, timore, terrore quasi.

Rimpianti?
Nessuno. Tengo a mente la felicità immensa degli inizi. Ci davamo di gomito: ‘Facciamo i film e ci pagano anche'. Come se da bambini ci avessero detto: ‘Andate nello spazio con Laika'. Bisognerebbe ricordarselo sempre. Col tempo, ed è triste, si tende a far diventare routine anche una scopata.

 

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