DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1 - HASHTAG - #YOLATENGO O #STAISERENO IL TORMENTONE DIVENTA TWEET
Stefano Bartezzaghi per “La Stampa”
Un tormentone si può cercare o si può subire, ma non lo si può davvero preordinare. Tormentoni cercati erano Pippo Franco che dice «Giuallo» (ci rivolgiamo ai lettori archeologi), o Renzo Arbore che canta «La vita è tutta un quiz», o la pubblicità «Nuovo? No, lavato con Perlana».
È quel tipo di frasi che una volta Guia Soncini ha definito «a riempimento automatico». Stava commemorando Lucio Dalla. Basta dire «Caro amico» e qualcuno subito completa «...ti scrivo», come in quei programmi di scrittura in cui si incomincia “nov...” e il dispositivo propone subito “novembre”, anche se uno voleva digitare “Novalis”, o “novità”.
laura pausini con la patonza al vento
Il tipico tormentone subìto è il clamoroso «a mia insaputa» di Claudio Scajola. Magari in un momento di imbarazzo si usa una frasetta che si considera innocente. Ma invece, senza che il locutore possa farci niente (ma non certo a sua insaputa), la frase diventa un emblema, la fotografia esatta di un atteggiamento, una perfetta chiusura di mille vignette satiriche. Un tormentone.
laura pausini con la fica al vento 6
È il caso di «Yo la tengo como todas», la frase che la fulminea Laura Pausini ha coniato dopo che le era appena capitato un incidente letteralmente da incubo. Il sogno di esporsi nude o nudi in pubblico è comune e per quanto non sempre risulti propriamente angoscioso si è ben contenti, da desti, di appurare che la circostanza non si è mai realmente verificata.
A lei invece si è aperto l’accappatoio indossato alla fine di un concerto affollatissimo per un bis e non è parsa indossare biancheria. Se ne è accorta, si è coperta e con prontezza e praticità, che forse solo una romagnola potrebbe avere, ha detto nel microfono «Si has visto, has visto. Yo la tengo como todas». Se avete visto, avete visto. Ce l’ho come tutte. E con Il desiderio di essere come tutti Francesco Piccolo ha appena vinto il Premio Strega.
Dispiace ora ricordare l’incubo divenuto realtà, dopo che la stessa Pausini ha pregato di essere graziata dalle continue evocazioni dell’incidente. Ma in poche ore la frase è stata già ripetuta ovunque, è stata stampata su magliette, promette di diventare il tormentone dell’estate 2014. Non ci si può fare niente.
laura pausini con la fica al vento 5
La circostanza ha anche dimostrato che, se nessuno ha ancora inventato la macchina per produrre tormentoni industrialmente, la natura del tormentone è però cambiata. Non nelle sue origini: copywriters, parolieri, titolisti, umoristi, teste d’uovo della comunicazione possono sforzare al massimo la loro arte e la loro tecnica; editori, produttori, direttori marketing, politici possono investire milioni per dare visibilità a uno slogan. Ma il tormentone è tale solo se prende vita autonoma e se il passaparola (letteralmente) popolare e popolano lo adotta.
Si ride quando grandi capi poco in sintonia con Internet comandano: «Dobbiamo produrre un video virale». Non esiste il tormentone o il virus artificiale: c’è solo quello voluto, quello involontario, quello preterintenzionale. E questo si sapeva già.
È a valle che il tormentone ha cambiato natura. Con Twitter è arrivata una certa misurabilità del tormentone, che con l’aggiunta di un cancelletto (nome da tastiera del diesis) e l’abrogazione degli spazi fra le parole e dell’interpunzione si trasforma in hashtag (Yolatengocomotodas).
laura pausini con la fica al vento 4
L’hashtag viene computato e inserito in una graduatoria di quelli più popolari in quel momento. Sul modo in cui tale graduatoria venga prodotta dagli algoritmi circolano le voci più discordanti, perché non c’è nulla di più opinabile dell’aritmetica. Ma in un mondo in cui ha valore solo ciò che è denumerabile, vedere un tormentone entrare in una classifica non fa che aumentarne l’uso e la visibilità: lo rende una notizia in sé e lo indica come «quello che oggi tutti dicono» e di conseguenza «quello che bisogna dire oggi per dimostrare di essere nel trend».
laura pausini con la fica al vento 3
Da risorsa espressiva per battutari solitari l’hashtag è infine arrivato sino a Palazzo Chigi, con Beppe Grillo che twitta colpodistato e Matteo Renzi che ribatte sidicesole o con quell’enricostaisereno che ha generato una quantità pressoché infinita di varianti.
“Come tutti” è il vero hashtag del momento. Siamo un paese a vocazione maggioritaria.
Riempimenti automatici, riflessi condizionati, voglia di essere parte della corrente, comportamenti apparentemente volontari ma in realtà (quelli sì) obbedienti agli impulsi dell’empatia, del mirroring neuronale, del comando lasciato alle emozioni, del riso e del pianto come uniche forme di reazione inequivoche e quindi “spontanee”, “sincere”. Ce l’abbiamo, questo, tutte e tutti, come tutte e tutti. Non ci sono accappatoi che possano coprirlo.
2 - AUTOGRAFO ADDIO, C’È IL SELFIE
Da “La Repubblica”
mara carfagna stefania prestigiacomo selfie
Fine di un rito, meglio, sua evoluzione tecnologica. Per anni l’autografo ha avvicinato l’attore al suo spettatore, al fan, all’ammiratore. Un pezzo di carta, una firma per unirsi alla star. Ormai è arrivato il selfie, la foto col cellulare, la testimonianza elettronica che cancella la parola scritta. Nel West End, la zona dei teatri di Londra, ormai è prassi.
È un miracolo tutto britannico che la gente riempia i teatri per spettacoli di ogni tipo: l’anno scorso i biglietti emessi hanno superato quelli per le partite di calcio. Ma anche per le migliori commedie, per i drammi e l’opera più seri, la modernità si impone: nessuno chiede più autografi, tutti si fotografano con l’attore amato e ammirato. A pagina 3 del Sunday Times ieri c’era Carey Mulligan che si lascia selfare da una sua fan alla fine di “Skylight”.
L’attrice, che ha recitato con Leonardo Di Caprio, nel “Grande Gatsby” di Baz Luhrmann si concede alle foto col telefonino, sorridendo impostata. Ci sono 22 milioni di spettatori che ogni anno pagano un biglietto nei teatri di Londra e Robert Fox, il produttore di “Skylight”, dice che «gli attori sono felici di farlo, dipende solo dalla loro disponibilità, ma alla fine della recita rimangono sempre per 15 minuti con i loro ammiratori, e accettano i selfie con naturalezza». Il selfie è un passo in avanti rispetto all’autografo: col selfie siamo tutti accanto al nostro beniamino, con lui, allo stesso livello. Almeno in foto.
selfie giulia innocenzi daria bignardi myrta merlino
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
FLASH! – MARIA ROSARIA BOCCIA CONTRO TUTTI: L’EX AMANTE DI GENNY-DELON QUERELA SANGIULIANO (GIÀ…
DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA…