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Enrico Girardi per corriere.it
L’ambiente musicale era preparato alla notizia perché da qualche tempo la sapeva sofferente nella sua casa di Modena. Ora però che la morte di Mirella Freni è stata annunciata ufficialmente, nel tardo pomeriggio di ieri, il dispiacere non è meno tangibile e profondo.
Perché Mirella Freni ha avuto, prima ancora degli infiniti meriti musicali che tutti le hanno sempre riconosciuto, lo speciale carisma della cantante nella quale ciascun appassionato poteva riconoscersi. Il suo talento è stato così naturale e “facile”, il suo aspetto così comune, la sua adesione espressiva così autentica che chiunque poteva sentirla come l’amica di tutti i giorni, la vicina che fa piacere incontrare sotto casa.
Se l’espressione non fosse abusata, e nel modo non poco fastidioso con cui la si inflaziona, la si direbbe una donna del popolo: Modenese, come Pavarotti, ma meno “guascona” di lui, meno costruita sotto i riflettori, anche se i passi della propria carriera li ha percorsi con la logica e il raziocinio dell’artista pienamente consapevole delle proprie qualità e dei propri difetti.
Ruoli celebri
Voce ed espressione naturale, si diceva. Questa facilità di entrare nel personaggio e di nascondere le insidie delle numerose parti che ha sostenuto poteva essere un limite, per certi versi. Herbert von Karajan, che per lei aveva una speciale predilezione e che l’ha lanciata ai più alti livelli della vita operistica internazionale – le incisioni con Karajan di «Bohème» nel ’73 e di «Butterfly» nel ’74 appartengono alla leggenda della storia dell’interpretazione –, la rimproverava di essere pigra.
Come dire: “il fatto che venga tutto facile e naturale non significa che non si possa andare ancora oltre, scavando nelle pieghe della scrittura musicale”. E lei ha fatto tesoro di quegli insegnamenti tanto autorevoli, diventando un punto di riferimento per generazioni di soprani lirici che l’hanno presa a modello. Ed è anche divenuta, quando la voce ha cominciato a non essere più quella di prima, una formidabile didatta, come lo sono i musicisti dall’istinto infallibile ma dalla consapevolezza stilistica ancora più marcata.
La carriera
La carriera di Mirella Freni è iniziata prestissimo. Già a 10 anni aveva stregato gli ascoltatori cantando «Un bel dì vedremo» a un concorso Rai. Tanto studio, da allora. E il debutto, quello vero, arriva quando appena 20enne è Micaëla in una produzione di «Carmen» del Comunale di Modena, il teatro della sua città oggi intestato a Luciano Pavarotti. Diverse produzioni in Italia e in Europa e nel ’62 è già alla Scala, dove sostiene la parte di Nannetta nel «Falstaff» , prima tappa di una storia scaligera che pochi altri cantanti potrebbero vantare altrettanto continuativa e prestigiosa. Già a metà degli anni Sessanta, la Freni è una cantante che può permettersi di dire un sì tra dieci no e di accettare le proposte più attraenti e più corrette per la propria carriera.
Come già si accennava, Mirella Freni ha incarnato la quintessenza del soprano lirico. Il primo personaggio che le viene associato, nella percezione di tutti, è quello di Mimì della «Bohème». Ma non c’è figura di donna nel teatro pucciniano che non abbia interpretato con altrettanta devozione. E anche nel repertorio verdiano e donizettiano ha sempre detto la sua, così come nell’ambito del Verismo e nell’opera francese di secondo Ottocento. Quando era giovane, ha offerto contributi di un certo interesse anche nelle opere mozartiane di lingua italiana.
Luciano Pavarotti e il soprano Mirella Freni MIRELLA FRENI STONA
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