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Lettera di Milena Gabanelli a Dagospia
 MILENA GABANELLI NELLA REDAZIONE DI REPORT FOTO LUCIANO VITI PER SETTE
MILENA GABANELLI NELLA REDAZIONE DI REPORT FOTO LUCIANO VITI PER SETTE 
Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci, per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori. E’ gravissima e lesiva della libertà di espressione e di denuncia la dichiarazione di Gucci «Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola - sabotando i sistemi di controllo in essere”.
E’ uno stravolgimento della realtà visto che Report non ha affatto "sabotato” ma “osservato” il metodo delle ispezioni “farsa”. Noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere. La truffa semmai è ai danni degli artigiani, del Made in Italy, della legalità e dei clienti.
Forse non hanno compreso che la SA8000 (la certificazione di responsabilità sociale di cui si fregiano) deve decidere se continuare a certificarli. Che sia un marchio del lusso a mettere in seria discussione la validità della SA8000 è paradossale (ricordiamo che la Nike fu scoperta a far cucire palloni da bambini, ma costavano un dollaro).
Cosa poi intenda per laboratori “selezionati” dovrebbe spiegarcelo, visto che li abbiamo filmati (appunto) con le telecamere nascoste e monitorati per mesi. Uno di questi in particolare è subfornitore di una società (Garpe) di proprietà della stessa Gucci, quindi non può neppur dire che la colpa è dei fornitori di primo livello (anche perché la certificazione gli impone verifiche).
Inoltre se per Gucci è davvero tutto normale”, spieghi perché non vuole che le aziende subfornitrici siano intestate a persone di nazionalità cinese.
Comunque abbiamo ore di registrato e molti più esempi di quanti mostrati (noi abbiamo anche limiti di tempo per la messa in onda) che mettiamo a disposizione della magistratura qualora si attivasse per accertare le responsabilità di un sistema illegale che origina dalla manodopera sottopagata e che, ricordiamo, una sentenza storica a Forlì estese ai committenti dei cinesi.
Sul tema dei controlli a Gucci è stata fatta richiesta scritta di intervista, ma hanno preferito declinare. La sottoscritta ha anche posto una domanda pertinente, sempre per iscritto: “a quanto ammonta il Made in Italy che viene fatturato in Italia e quanto esportato alla Luxury Goods (Svizzera) o comunque all’estero”. La loro risposta è stata : “il dato non è pubblico”.
Certo è meglio che non si sappia fino a che punto convenga all’Italia essere una “colonia” francese che non deve andare in Cina per produrre a basso costo il prestigioso “Made in Italy” grazie ai mancati controlli e ai prezzi sotto il limite che stanno riducendo alla fame i “maestri artigiani”, come li pubblicizza Gucci.
 
						
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