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Enrico Sisti per "La Repubblica"
Una coda legale riavvolge nel mistero gli ultimi giorni di Pietro Mennea. «C'è l'ipotesi di una firma apocrifa sul testamento». E' giallo, in fondo al rettilineo. I legali dei suoi fratelli Giuseppe, Luigi e Vincenzo, gli avvocati Valerio Corsa e Tiziana Dell'Anna, hanno depositato ieri presso il Tribunale ordinario civile di Roma un ricorso per il sequestro giudiziario del patrimonio immobiliare italiano del campione scomparso. Al centro della contesa c'è il testamento di Pietro. Vergato ufficialmente nove giorni prima della sua morte, non avrebbe convinto i tre fratelli al punto da «costringerli», racconta l'avvocato Valerio Corsa, «a richiedere una perizia calligrafica ad un grafologo iscritto all'albo del Tribunale di Trani».
L'esito della consulenza, secondo loro, non lascerebbe dubbi: «Data e firma sono apocrifi», quindi la scrittura non sarebbe quella di Pietro Mennea. Siamo soltanto alla perizia di parte. «La legge consente in questo caso», prosegue Corsa, «una tutela, un sequestro dei beni e una successiva impugnazione del testamento». Per
ora la richiesta si limita al sequestro dei beni intestati a Pietro sul territorio italiano («e la loro preventiva custodia»).
Ora si attende la valutazione dell'autorità giudiziaria che andrà ad accertare se ci sono le condizioni per procedere secondo quanto richiesto dai fratelli di Pietro. Per legge, non avendo Pietro dei figli, in caso di mancanza di testamento, l'eredità andrebbe divisa tra i fratelli e la moglie. «I nostri assistiti vogliono fare chiarezza».
Non è chiaro invece l'ammontare dei beni di cui si discute: si parla di 10 milioni di euro: «Non ci siamo limitati agli immobili "italiani", ma sembrerebbe che il patrimonio sia più vasto». E contraddittorie sono le voci sui rapporti che esistevano fra Pietro e i suoi tre fratelli.
Secondo sua moglie Manuela i rapporti sarebbero stati pessimi da tempo: solo con Angela, la sorella, l'unica a non aver sporto denuncia, Pietro avrebbe tenuto ancora contatti (e solo Angela pare sapesse della sua malattia). Invece i fratelli avrebbero informato i loro legali dell'esatto contrario: e cioè che regnasse una stabile armonia familiare e che per questo, all'apertura del testamento, Giuseppe, Luigi e Vincenzo Mennea siano rimasti di sasso.
«Stiamo lavorando perché vengano accertati i diritti di eredità dei nostri assistiti », conclude Corsa. à appena iniziata, ma sembra proprio una brutta storia, e comunque vada a finire, una storia antipatica.
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