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Marco Giusti per Dagospia
DONALD TRUMP STELLA SULL HOLLYWOOD BOULEVARD
Benvenuti nella Trump Trump Land. Non avevamo bisogno di vedere la cerimonia della premiazione dei Golden Globes e il discorso di Meryl Streep che ha rubato la scena perfino ai 7 premi del supervincitore La La La Land, per renderci conto che da ora in poi sarà Hollywood contro Trump. Magari al ritrmo della canzoncina cantata da Ryan Gosling e Emma Stone, “City of Stars”.
Ma non c’è un film di Hollywood, un film di quelli che davvero contano, che non venga visto oggi come un macigno nell’occhio del neo presidente. A cominciare da Rogue One, quasi un miliardo di dollari di incasso in tutto il mondo, che vede all’opera un commando capeggiato da una donna, con messicani, neri, cinesi, arabi in lotta contro un nemico, l’Impero, che nelle dichiarazioni dei suoi autori, è chiaramente l’incarnazione del suprematismo bianco.
Ma anche film più piccoli come Manchester By The Sea, Moonlight, Split, Nocturnal Animals, Paterson, il geniale Arrival, lo stesso La La Land, sono di fatto film antitrumpiani e sinceramente democratici lanciati alla difesa di valori che negli anni di Obama il cinema americano ha saputo coltivare. Mentre in Italia, con l’arrivo di Berlusconi, per anni, a parte i casi isolati di Virzì e Moretti, nessuno dei nostri eroici registi espresse critiche e commenti, visto che la produzione di tutto il nostro cinema era nelle mani delle televisioni, in America, dobbiamo riconoscerlo, la sfida è partita subito.
“Take your broken heart, make it into art”, ha detto Meryl Street ricordando la sua amica, la principessa Leia. E, certo, la morte della principessa Leia e di quello che rappresentava nell’immaginario di più generazioni di americani, è stata particolarmente sentita da un pubblico che l’aveva appena ritrovata in Rogue One e ne Il risveglio della forza, che sono in pratica i film che più incitano alla chiamata alle armi per la lotta contro il demonio Trump.
meryl streep e il discorso contro trump
Ma anche i toni malinconici di Manchester By The Sea, il desiderio di superare una sconfitta, o la figura del protagonista di Moonlight, che deve mascherare la propria omosessualità dentro il corpo da macho nero, o il tentativo di riscrivere una storia che non è andata come doveva andare, come in La La Land, o la ricerca di una pace attraverso il dialogo al femminile mentre i poteri maschili forti spingono alla guerra come in Arrival, sembrano mostrare una Hollywood che è profondamente cambiata negli anni di Obama. E che non può non vedere nell’elezione di Trump un controsenso rispetto al proprio nuovo e fresco indirizzo.
Aspettiamoci così un’altra puntata dello show anti-Trump nella cerimonia degli Oscar, dove riavremo gran parte del cast dei vincitori dei Golden Globes. Ma non sappiamo se al muso duro mostrato da Hollywood Trump saprà e vorrà reagire con la stessa durezza. Gli interessi economici in ballo sono molti e anche i rapporti internazionali con mercati estesi e importanti come quello asiatico e quello europei.
Non puoi far finta di niente contro gli attacchi di una vera macchina da guerra come quella della Disney per la saga di Star Wars. Magari, come diceva Troisi, “gli americani fanno la guerra non perché vogliono fare la guerra, ma perché così possono fare i film”.
E quindi anche Trump e il trumpismo verranno riletti e macinati in chiave di cinema nei prossimi anni, inglobati nella fabbrica dei sogni. Ma, ammesso che Hollywood non sia il primo dei problemi per il nuovo presidente, Trump sa che la partita è appena cominciata e può essere rischiosa.
Molto più rischiosa che rispondere coi tweets al discorso di Meryl Streep. E da un presidente così attivo sui social, ogni dichiarazione o mossa sbagliata può essere fatale. Qua ti linciano per il più piccolo spoiler…
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