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Marco Giusti per Dagospia
“Sparami in testa! Sparami in testa!” urla Luca Marinelli, qui in veste di partigiano, mentre scappa inseguito da un folto gruppo di fascisti. Ci siamo. Coi Taviani bros tornano i partigiani, i fascisti, il cinema d’autore politico d’una volta e pure la prosa difficile da tradurre al cinema di Beppe Fenoglio.
Ovvio che non sia un film alla moda questo Una questione privata diretto dal solo Paolo Taviani, ma scritto e ideato assieme al fratello Vittorio, che per i postumi di un incidente non ha potuto girare. Per quello è anche un vecchio progetto di molti, come ricordava nella sua autobiografia il grande Giulio Questi, che quella guerra partigiana l’aveva davvero fatta e con lo stesso Fenoglio cercò di scrivere una sceneggiatura dal romanzo.
Ma la storia del partigiano Milton, Luca Marinelli, sempre bravissimo e sempre con quel qualcosa in più che lo rende una star nel panorama italiano, che vuole salvare la vita al suo amico Giorgio, Lorenzo Richelmy, anche lui molto bravo, catturato dai fascisti, e lo fa cercando di catturare una camicia nera da proporre come scambio di ostaggi, è davvero notevole. Anche perché porta con sé una componente romantica e ambigua, visto che Giorgio e Milton sono innamorati della stessa ragazza, Valentina Bellé, che un giorno, a guerra finita, tornerà, e allora dovrà scegliere chi dei due vuole davvero. Se il bel Giorgio o il romantico e studioso Milton. Così, quando i fascisti fanno prigioniero Giorgio, massacrandolo di botte, a Milton non resta che cercare di salvarlo in ogni modo, cercando appunto un ostaggio. Una vita per una vita. Mentre ripensa al suo amore e alla gelosia per l’amico.
Ovvio che sia una questione privata all’interno di una guerra che non è affatto privata. E proprio questo inferno farà esplodere, man mano che si procede nella storia, la testa di Milton. Anche se parecchi anni sono passati dai tempi de Allosanfan e I sovversivi, per non citare La notte di San Lorenzo, troppo ovvio, è chiaro che i Taviani bros si trovano perfettamente a loro agio in una situazione di giovani in guerra, anzi presi in una guerra di liberazione, quindi politica, alle prese con sentimenti contraddittori che dal privato si espandono al pubblico. E ogni sbaglio può essere fatale non solo per il singolo. Malgrado un inizio un po’ lento e quel tipo di messa in scena minimalista tipica dei Taviani che in qualche modo sembra scollarsi dalla realtà della storia che stiamo seguendo, il film cresce nella seconda parte rivelando una serie di grandi scene che offrono a Marinelli il modo di far crescere anche la follia e le contraddizioni del suo personaggio.
E facendoci capire, che nel bene e nel male, i Taviani, come i vecchi maestri della Nouvelle Vague, possiedono uno stile ben preciso che gli anni e i nuovi modelli cinematografici non riescono a scalfire. Nessun regista moderno si permetterebbe di filmare una scena come quella della bambina, stesa in mezzo a un gruppo di contadini uccisi dai fascisti, che si alza, va a bere un bicchier d’acqua, e ritorna a stendersi come morta in mezzo al gruppo di finti cadaveri. Insomma, dimezzati, con la loro fedele aiutoregista, Mimmola Girosi, scomparsa durante le riprese, a lei è dedicato il film, riescono a raccontare una storia, sospesa tra la morte e la vita e la rappresentazione continua della morte e della vita, come solo loro potrebbero fare.
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