
DAGOREPORT! IL CALCIO È POLITICA! NEL FLOP DELLA NAZIONALE SI RINTRACCIANO GLI INGREDIENTI PEGGIORI…
Marco Giusti per Dagospia
The Revenant di Alejandro G. Iñárritu
“Hai fatto tutta questa strada per una vendetta?” è la domanda che viene fatta alla fine di un viaggio di 320 chilometri nella neve al trapper Hugh Glass, abbandonato in una buca e condannato a morte dai suoi uomini dopo una paurosa lotta con un orso grizzly. Sì, il Glass di Leonardo Di Caprio in The Revenant, il film che Alejandro G. Iñárritu ha diretto e scritto assieme a Mark L. Smith, fotografato dall’incredibile Emanuel Lubezki e musicato da Ryuichi Sakamoto con Alva Noto e Bryce Dessner, ha fatto tutto questo per vendicarsi, come si fa in ogni western che si rispetti.
Il “revenge movie” è una cosa seria, Kill Bill insegna. Del resto anche nel racconto scritto nel 2002 da Michael Punke, curioso scrittore e ambasciatore americano, “The Revenant: A Revenge Story”, si parla di vendetta.
Nella realtà, però, la storia di Glass e della sua lotta con l’orso e il suo viaggio nella neve e nel gelo, che si svolsero nel 1823 nel Missouri, qui ricostruito tra Canada e Argentina, e che già ebbe una grande trasposizione cinematografica nel 1972 con Man in the Wilderness, cioè Uomo bianco va’ col tuo Dio di Richard Sarafian, girato in Spagna, dove Richard Harris era il protagonista e John Huston il capitano Henry, ha toni meno vendicativi.
In pratica Glass, che allora aveva già una quarantina d’anni, se la piglia con i trapper che lo lasciarono a morire al gelo, ma perdonò Jim Bridger perché era giovanissimo, 19 anni, e tutto quello che fece a Fitzpatrick, che qui si chiama Fitzgerald e è interpretato da un cattivissimo Tom Hardy, fu riprendersi il suo fucile. Magari gli avrà anche dato qualche pugno, dopo 320 chilometri a piedi, ma la storia finì lì.
Al punto che Fitzpatrick/Fitzgerald, che nella realtà aveva 23 anni, campò ancora parecchio, e ancor di più Jim Bridger, che se ne andò nel 1881, dopo aver sposato ben tre donne indiane e essere diventato una celebrità del West. Fu proprio Glass, invece, a venire ucciso dagli indiani Arikara, quelli che vediamo all’inizio del film attaccare il convoglio di trapper del capitano Henry, interpretato dal bravissimo Domhnall Gleeson, nel 1833.
Dieci anni dopo. E aveva già una cinquantina d’anni. Poco importa, però. Perché a Inarritu e a Di Caprio serve questa vendetta, e serve aver dato dei ricordi a Glass, una famiglia indiana, una moglie uccisa dai bianchi, per dare vita a un film costruito per 156 minuti sull’attraverso di un territorio selvaggio dove non sono gli indiani i soli selvaggi, e sul corpo a corpo continuo del protagonista con la natura, con l’orso, col gelo, con la morte, con gli alberi, con un Grande cielo alla Howard Hawks, impossibile non pensarci nella scena della fuga sul battello, con i Cacciatori del Missouri alla William Wellman.
Grandi e incredibili film della nostra infanzia, che Inarritu e Di Caprio fanno rivivere magari casualmente, solo rimettendo in scena le stesse situazioni disperate di uomini che vanno into the wilderness o across the wide Missouri. Anche lì c’erano donne indiane da ricordare, fiumi da attraversare, tanti alberi altissimi, francesi e americani, indiani di ogni razza, coltelli e fucili da ricaricare.
E poco importa se quello che vediamo sia il Canada o l’Argentina ricostruiti dallo scenografia Jack Fisk, subito l’Oscar, o la Spagna leoniana del film di Sarafian, perché quello che conta è la credibilità di quel che è messo in scena. E qui Leonardo Di Caprio che lotta contro l’orso e si rinchiude, nudo, nella carcassa del cavallo per non morire congelato è qualcosa di totalmente realistico.
leonardo di caprio nei panni di hugh glass
Ci credi, come credi che stia attraversando questi 350 chilometri in territorio indiano per acciuffare l’uomo che lo ha ucciso. Non ha caso è chiamato, già nel racconto e nella realtà, revenant, in francese, come lo chiamarono i trapper francesi.
il tragitto percorso da hugh glass
Non so se il coreano Park Chan-wook con Samuel Jackson o l’australiano John Hillcoat con Christian Bale, ne avrebbero fatto un film migliore, certo il messicano Alejandro G. Iñárritu, dopo il successo di Birdman, lo costruisce come un tour de force visivo grazie alle immagini di Lubezki e alla ricostruzione di Jack Fisk, e come un tour de force fisico per Di Caprio, che riesce a darci uno dei suoi più grandi film in assoluto.
Anche se non amate il cinema aggressivo e tutto motefacciovedeio di Inarritu, la performance di Di Caprio è così straordinaria che va oltre la costruzione del film. E, va detto, anche la musica sofisticatissima di Sakamoto e Alva Noto ci riporta a un cinema molto più alto del solito.
Ovvio che, personalmente, possa preferire il West di Tarantino, anche questo un film costruito sull’immagine del sangue sulla neve, ma il West di Iñárritu, magari è meno politico, meno attuale, ma il suo impatto è comunque molto forte sullo spettatore.
Ha trionfato ai Golden Globe, miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista. E non è detto che non trionfi anche agli Oscar. Certo, Hawks e Wellman lo avrebbero un po’ sforbiciato, 156 minuti sono tanti, ma avrebbero sforbiciato anche The Hateful Eight. In sala dal 16 gennaio. Attenti agli schizzi di sangue.
DAGOREPORT! IL CALCIO È POLITICA! NEL FLOP DELLA NAZIONALE SI RINTRACCIANO GLI INGREDIENTI PEGGIORI…
DAGOREPORT - L’ESITO DEL REFERENDUM, LANCIATO DALLA SETE DI POTERE DI LANDINI IN CUI SONO CADUTI…
DAGOREPORT - IL GIORNO DEL GIUDIZIO SI AVVICINA, CAMPO DI BATTAGLIA: L’ASSEMBLEA DI MEDIOBANCA DEL…
DAGOREPORT - ANTONIO MONDA, IL ''BEL AMI'' PIÙ RAMPINO DEL BEL PAESE, È AGITATISSIMO: SI È APERTA…
DAGOREPORT - BUNGA BUNGA FOREVER! IL VERO ''EREDE ORMONALE" DI SILVIO BERLUSCONI È IL NIPOTE SILVIO,…
DAGOREPORT: MAI DIRE RAI! – COME MAI “REPUBBLICA” HA INGAGGIATO UNA BATTAGLIA CONTRO L’ARRIVO DI…