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Marco Giusti per Dagospia
La prima luce di Vincenzo Marra
Ma se tua moglie ti molla dopo sette anni di matrimonio e se ne scappa col tuo figlioletto dalla mamma in Sudamerica per non farsi ritrovare mai più, che fai? Ecco, questa è più o meno la storia di La prima luce, il nuovo film, molto personale, di Vincenzo Marra, il regista di opere anche interessanti e già vanto di Cannes e Venezia come Vento di terra, Tornando a casa, L’ora di punta, presentato alle Giornate degli Autori pochi giorni fa a Venezia e ora in sala.
Molto personale, perché sembra che lo spunto venga proprio dalla storia privata di Marra che si è ritrovato in una situazione simile. E tragico. Perché se per metà la storia si svolge in quel di Bari, Apulia Film Commission rules, dove capiamo che tra moglie e marito, la bella cilena per noi inedita Daniela Ramirez e il nostro Riccardo Scamarcio, qualcosa non va, lei lo accusa di violenza e lui non si rende mai conto di cosa intenda lei per violenza, per l’altra metà si svolge in Cile, dove l’uomo la cercherà e la troverà cercando di capire il perché della sua fuga e come riprendersi il figlio.
Il problema centrale, però, non è tanto il meccanismo alla Chi l’ha visto? del film o la guerra legale fra avvocati a Bari come in Cile, ottima idea per una fiction tv, quanto la guerra fra due persone che non riescono a mediare su nulla mentre il loro amore finisce (almeno per lei). Chi è il mostro dei due? Forse nessuno dei due, forse entrambi, visto che non riescono neppure a ascoltarsi.
Marra, però, non ci spiega bene cosa sia capitato nei sette anni precedenti e perché lei si senta così sola e triste e voglia tornare a casa, né ci spiega perché lui non sappia nulla della famiglia di lei, non sia mai stato in Cile a capire il rapporto della donna col proprio paese e con la propria realtà. Non sa nulla nemmeno della suocera. Come è possibile?
Di interessante, e nuovo, invece, è far passare l’idea che la crisi europea ha reso il Sudamerica, il Cile in particolare, un paese dove si può pensare a un futuro migliore per un ragazzino rispetto all’Italia, che il nostro sia cioè un paese vecchio e malato, poco vivibile.
Anche se vedendo una Bari luminosa da Apulia Film Commission (Scamarcio quando parla in barese è sempre uno spettacolo) e la metropoli cilena così grigia e triste si direbbe il contrario. Scamarcio e l’inedita Ramirez sono bravi e profondi, come gli altri attori cileni di scuola Pablo Larrain. La sceneggiatura e la regia di Marra, invece, hanno qualche momento di stanchezza, qualche ripetizione e lasciano altre cose non spiegate o non approfondite.
Magari è così anche nella vita, ma al cinema lo spettatore desidera sempre quel po’ di chiarezza che i rapporti umani non ci offrono nella vita di tutti i giorni. Così capiamo la caparbietà di Scamarcio nel non capire e l’assoluta sicurezza della Ramirez nel voler scappare, ma il loro non comunicare spesso blocca il racconto. Rispetto a altri film di Marra ci sembra un po’ meno risolto, forse proprio perché il regista è così dentro a quel che racconta.
Ma molti spettatori, magari, si riconosceranno totalmente nei personaggi. Producono, bene, Isabella Cocuzza e Arturo Paglia della Paco Cinematografica assieme a Rai Cinema. In sala dal 24 settembre.
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