DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Marco Giusti per Dagospia
La solita commedia – Inferno di Biggio e Mandelli e Martino Ferro
i soliti idioti la solita commedia
“Questo cocktail sa di scurreggia”. Arieccoci. “Mi chiamo Pietro, ho 32 anni e da 47 giorni non mi faccio selfie”. Benissimo. C’è pure Gesù, cioè Tea Falco con la barba (Tea/Teo) che si fa le canne, e scende sulla terra per staccare il pisello al protagonista se non aiuterà Dante Alighieri nella sua ricerca di nuovi peccatori. “Lo riavrai all’alba” . Ma siamo sicuri che se lo ricorderà? Dio è una specie di megadirettore tra un Eugenio Scalfari tabagista e facile alla bottiglia e il Paolo Paoloni di Fantozzi. Lucifero è una creatura bianca e nera che sembra provenire dai Cremaster di Matthew Barney. E Minosse, di fronte a nuovi peccatori, hacker o stalker che siano, non sa proprio dove sistemarli.
Nel nuovo film di Biggio e Mandelli, La solita Commedia – Inferno, diretto e scritto assieme a Martino Ferro, prodotto da Lorenzo Mieli e Mario Gianani, c’è più Cattelan nel senso di Maurizio l’artista che Cattelan in senso di Alessandro lo showman, più intelligenza che solita idiozia, anche perché il terzo film dei Soliti idioti -Biggio & Mandelli, se mai si farà, è legato a Pietro Valsecchi e alla Tao Due, e i due non possono usare qua nemmeno il grandioso Ruggero De Ceglie con tutto il suo carico di volgarità.
i soliti idioti la solita commedia
Meglio. Perché La solita Commedia – Inferno, punta decisamente su un pubblico meno cafone e più colto, dove Dante può parlare in rima, anche se sono rime che somigliano più a quelle dell’”Inferno di Topolino” di Guido Martina (quelli della mia generazione lo conoscono a mente) che a quelle originali del divino poeta. E le musiche possono ammiccare a quelle anni ’60 di Cochi e Renato.
Rispetto ai due fortunati primi film, 11 milioni il primo e qualche milione di meno il secondo, magari più divertenti, scatenati e giovanili, ma meno costruiti e amalgamati, anche se il secondo uscì il giorno che Berlusconi se ne andò (forse) per sempre e parve (almeno a me) un grande film politico sull’Italia a metà tra Ruggero-Silvio e Teocoli-Monti, qua Biggio & Mandelli riescono a fare un grande passo avanti.
Anche se forse un po’ troppo pulito e luccicante, qualcuno (lo so, lo so) direbbe pure un po’ renziano, questo La solita Commedia - Inferni è uno dei film più originali, sperimentali e intelligenti della stagione, quasi da portarlo a Cannes insomma più che darlo in pasto al pubblico italiano della domenica, dove i due riescono a fondere buffe osservazioni sull’inferno della nostra vita di tutti i giorni, sketch demenziali anche superclassici, il gusto per una rilettura della realtà cattelanistico (o cattelaniano), in un racconto molto ben organizzato e costruito come contenitore-distributore di altri mille racconti.
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Insomma l’opposto del Boccaccio non così maraviglioso dei Taviani, diciamo, ma anche qualcosa che è più vicino al mondo delle Storie pazzesche del messicano Damian Szafron, e alla sua deformazione in chiave da sketch horror di scivolamento dal reale, che a quello dell’Italiano medio di Maccio Capatonda, che ha certo molti punti di contatto con il loro. Scordiamoci però I soliti idioti e i loro personaggi più popolari, anche se nel titolo e nel manifesto il richiamo è ovvio, e scordiamo i “dai, cazzo!” di Ruggero.
Su giusta lamentela di Minosse, guardiano dell’Inferno, che non sa più come dividere i dannati e in quali gironi mandarli non conoscendo granché dei nuovi peccati e dei nuovi peccatori moderni, Dio, su consiglio di Sant’Ambrogio (“…portarci in Europa!”), ma l’idea era di San Francesco, decide di rimandare per un solo giorno sulla terra Dante Alighieri per stillare una nuova Commedia che comprenda nuovi girono e nuovi peccati. Dante, interpretato con notevole grazia e in un Toscano coltissimo da Francesco Mandelli, arriva quindi in Italia, su indicazione di Dio (“quale posto migliore per vedere il peggiore?”), e si “ri-ritrova in una selva oscura” trovando facilmente il suo nuovo Virgilio, cioè Francesco Biggio, che è il tipico uomo qualunque costretto a vivere la nostra infernale vita di tutti i giorni.
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La situazione, insomma, è ribaltata, visto che il nuovo Inferno è la terra, anzi, il nostro paese, anzi il nord del nostro paese (una Torino costruita a imitazione di Milano), e nel suo viaggio Dante non incontra peccatori morti, ma vivissimi. I loro gironi infernali sono i luoghi naturali che affrontiamo tutti i giorni, il bar della prima colazione, il traffico, il supermercato, la piazza con la pubblicità invasiva, il mondo del lavoro, il condominio, la movida notturna. E’ lì che si muovono i nuovi Farinata degli Uberti della nostra italietta.
C’è il molestatore di chi ha fretta, quello che ti ferma mentre i vigili ti portano via la macchina, il covatore di rabbia, quello che esplode di rabbia ricordando una cosa accaduta chissà quando e non se fa una ragione, gli abusatori di comando, cioè gli “sbirri allo sbando” che esplodono nella violenza per far parlare una macchinetta delle bibite, i prevaricatori di file, cioè quelli che ti passano davanti alla cassa del supermercato. Non male neanche gli adoratori di tragedie, che aspettano di vedere la morte in diretta per poterla riprenderla col telefonino.
Ogni peccatore ha un nome ben preciso, questo sì un po’ fantozziano, come tale Walter Pistacchi, tiratore di pacchi, che ti ha dato appuntamento per un concerto e non verrò mai in tempo. Alla fine siamo davanti a una massa di sketch, più o meno riusciti, ma molto ben organizzati come racconto complessivo, interpretati tutti dalla stessa compagnia, che oltre a Biggio e Mandelli ci propone le bellissime Daniela Virgilio e Tea Falco e i talentuosi Marco Foschi, Polo Pierobon, Giordano De Plano in tanti ruoli diversi. A trionfare, a livello comico, sono i peccatori più legati alle nostre pessime abitudini tecnologiche. Come “Klaus e Nikolai, incapaci di wi-fi”, che non riescono a scrivere sul computer la password del nuovo modem che hanno in casa.
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O “Pietro Valente, tecnoincontinente”, oscuro impiegatuzzo che diventa dipendere da smartphone e da whatsapp, qui chiamato messapp, racconto magistrale del nostro orrore quotidiano che spiega molto bene cosa sia il nuovo inferno, che non è quello che ci racconta sul “Fatto” Buttafuoco, malgrado il nome dantesco. Quando Mandelli viene portato da un collega d’ufficio in un orrendo posto da drogati per messaggiare senza limiti e precipita con la testa dentro al cesso alla ricerca del suo cellulare come in Trainspotting, il film sviluppa perfettamente quell’idea di racconto dell’Italia tra I mostri di Dino Risi e una lunga tradizione di sketch televisivi e poi internettari, che ci indica davvero la buona strada per la nostra commedia (all’italiana, non divina).
Sono notevoli anche “i consumatori di bruttezza”, i fighetti del sabato sera che si divertono con il trash con il cafonal e lo squallore, che adorano bere “un cocktail di merda” e sono un po’ come l’altro lato degli adoratori del bello di Italiano medio. Curiosamente Biggio e Mandelli non toccano nel loro inferno né la politica, e fanno bene, visto che già così è un film politico, né cinema e tv, dove potrebbero insistere all’infinito. Visti i peccati e i peccatori che riempiono le sale con film italiani tremendi, fiction demenziali, reality supercafoni.
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Registi più o meno intellettualoidi, autori esaltati, produttori fuori di testa che si sentono Harvey Weinstein, l’elenco è lunghissimo. Meglio astenersi. Ma già così ne abbiamo abbastanza per quanto riguarda l’inferno (purgatorio e paradiso a quando?). Stavolta, purtroppo, saranno costretti a ricredersi anche i criticoni che avevano massacrato i due precedenti film dei Soliti idioti. No, ma non è renziano, davvero… In sala dal 19 marzo.
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