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Marco Giusti per Dagospia
Sarà il mio tipo? Di Lucas Belvaux
Lui è un professore di filosofia parigino con la puzza sotto il naso, lei una parrucchiera di provincia che si diverte con il karaoke il sabato sera. Altro che scontri di religione, gli scontri di classe nella vecchia Europa sono spesso invalicabili. Così, due persone così diverse, potranno mai amarsi davvero? E, al di là dell’amore, potranno far funzionare il loro rapporto in una società ancora così classista come quella europea?
Fidatevi, è un film intelligente, pieno di idee e, soprattutto, di grande sensibilità questo Sarà il mio tipo?, scritto e diretto dall’attore e regista belga Lucas Belvaux, tratto da un romanzo di Philippe Vilain, Pas son genre (che è appunto il titolo originale), interpretato dalla bellissima e luminosa Emilie Dequenne, indimenticabile protagonista di Rosetta dei Dardenne, e dal notevole Loic Corbery della Comédie Française.
Anche se poco o nulla sappiamo di Arras, la città di Robespierre, di Vidocq, di Camille Corot (“E ora chi c’è rimasto?”), dove viene schiaffato da un giorno all’altro il bel protagonista, Clément Le Guern, cioè Loic Corbery, parigino ultraborghese, che ha appena scritto un libro teorico sull’amore (“De l’amour…”), con tanto di sua foto in copertina, e si è appena lasciato con una bella compagna perché lui no, non vuole figli, non vuole impegnarsi più che tanto.
I suoi genitori sono ricchi e colti, vanno all’opera, a teatro. E, in fondo, è vero che lo hanno schiaffato a Arras (“E’ la morte!”), nel Nord, come in un possibile Benvenuti al Nord, ma è solo a un’ora e mezzo di treno, e le lezioni di filosofia che deve fare ai buzzurri del posto, sono tutte comprese fra lunedi e mercoledì, così si tratta di pochi giorni a settimana e poi può ritornare nella sua Parigi.
Lei, invece, Jennifer, come Jennifer Aniston, la sua attrice preferita, cioè Emilie Dequenne, adora vivere a Arras, ha sempre sognato di fare la parrucchiera, anche se, con un bambino piccolo e un matrimonio sbagliato alle spalle, non si fida tanto dei maschi che incontra, di solito uomini sposati che la vogliono solo scopare. Ma sogna l’amore, il principe azzurro.
Si incontrano perché lui si annoia un po’ a Arras, dopo le lezioni ai ragazzi volgarotti, ma simpatici (“Epicuro, vi dice qualcosa?” “Epi… che? Epi… culo?”), così è andato a farsi i capelli e ha incontrato le mani di Jennifer. Si mettono insieme malgrado una forte diffidenza da parte di Jennifer, malgrado le lezioncine su Kant, e lì le cose cambiano. Perché lei si innamora totalmente del suo professore di filosofia, che lei chiama forse imbarazzandolo Chaton, gattone.
Perché lui non riesce a concedersi completamente. Rimane fermo, impietrito, di fronte all’amore. Adora leggerle le pagine di Victor Hugo, ma non sa come presentarla in società, non vuole portarla a Parigi (“Che ci andiamo a fare?”), è come distaccato, anche se, a modo suo, è preso, e sa che lei illumina la sua vita. Ovvio che nascano gli scontri, legati proprio alla progettualità dell’amore (“Per te sono solo un culo”, fa lei), alla sua indifferenza, al suo non voler entrare nella vita.
E’ una commedia sentimentale di grande livello con due interpreti molto sensibili su un tema che tutti conosciamo bene, ma che è raro trovare trattato con questa precisione sullo schermo. Consigliato caldamente. Già in sala.
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