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Marco Giusti per Dagospia
Elle di Paul Verhoeven
“Sei un fiore appassito, ma puoi ancora toccarmelo”, dice poco romanticamente a Michelle il suo amante, nonché marito della sua migliore amica, calandosi i pantaloni. Lei prima di toccarglielo gli mette un cestino davanti, per non sporcare a terra.
Quello che c’è di sconvolgente in Elle di Paul Verhoeven, due Golden Globe, due César, una nomination agli Oscar per la sua protagonista, Isabelle Huppert, non è tanto una sceneggiatura perfetta, opera di David Birke, che l’ha tratta dal romanzo di Philipe Djion (lo stesso di betty Blue), o la complessità dell’interpretazione della Huppert, davvero incredibile, o la freschezza della regia che rende alla Verhoven un film che Claude Chabrol avrebbe diretta in maniera totalmente diversa, quanto il grado di violenza e di realismo, anche di sgradevolezza, che regista e attrice spingono attorno alla rete di relazioni che Michelle ha con tutti gli altri personaggi che le ruotano attorno.
Sappiamo dall’inizio che Michelle, che vive sola in casa, che di professione fa la direttrice di una società di videogiochi, e che ha un passato tenebroso, visto che il padre, tanti anni prima ha ucciso 27 bambini, per non parlare di 6 cani e qualche gatto (ma ha salvato un criceto), è stata brutalmente violentata da uno sconosciuto col passamontagna. E pensiamo che, in qualche modo, come in un film di Chabrol o il La sposa in nero di Truffaut, vorrà vendicarsi. Verhoven e Huppert, prima di arrivare alla scoperta del violentatore e al cosa farà la loro Michelle, ci mostrano con una precisione da grande cinema tutti i suoi lati psicologicamente più oscuri.
E la curiosa combinazione di ironia, senso di superiorità, voglia di dominio, sadismo, masochismo, che la donna riesce a far convivere nelle sue relazioni di tutti i giorni. Michelle ha un ex-marito, Richard, Charles Berling, che lei stessa ha lasciato, ma che forse rivorrebbe ancora con sé. E, comunque, non accetta di buon grado che lui abbia una donna più giovane di lei. Ha un amante, Robert, Christian Berkel, il marito di Anna, Anne Consigny, la sua migliore amica. Se lo fa solo perché le va di scopare, sostiene. Ma potrebbe avere anche Anna, facilmente. Ha un figlio, Vincent, fragile, che è nato lo stesso giorno che il figlio di Anna nasceva morto.
E che Anna vede quasi come suo figlio. Ha una madre, Judith Magre, rifatta di botox con amante più giovane e coatto, che detesta. Come detesta il padre, maniaco religioso e assassino di bambini a Nantes, che non ha più visto da quando è stato rinchiuso in prigione. E’ il padre che l’ha segnata per sempre. Perché agli occhi del mondo lei non è una delle sue vittime, ma la figlia del carnefice, quindi un carnefice anche lei. E, infine, ha un vicino, il bel bancario Patrick, Laurent Lafitte, che ha una moglie cattolica militante. E Michelle si masturba vedendolo mettere in piedi il presepe per Natale.
La violenza subita e l’ombra pesante della violenza del padre che le cronache riportano a galla negli stessi giorni, violenze maschili che la vedono vittima, la scuotono a punto tale che si sentirà di ribadire con tutti, parenti, amici e colleghi, il proprio predominio sessuale. Fino al nuovo incontro con lo stupratore. Il percorso, anche se in qualche modo un giallo c’è, non è nel senso della scoperta dell’identità del violentatore e in uno scivolamento da revenge movie alla Kill Bill, ma nella ricostruzione di una identità non solo sessuale del personaggio di Michelle, soprattutto di una identità lontana da un complesso di colpa di un male che ha subito.
Film superiore sotto qualsiasi aspetto a quel che si vede di solito, Elle ci riporta a un cinema dove niente è definitivo e semplificabile, le ambiguità di Michelle sono, enfatizzate, le nostre stesse profonde ambiguità, come il suo muoversi continuamente da un desiderio all’altro, spesso solo per provare la propria forza con la debolezza altrui. Come il suo muoversi tra la paura e l’ironia. Al gatto di casa, Marty, che ha visto la scena del suo stupro dirà: “Non dico cavargli gli occhi, ma almeno un graffio…”. E tutto avviene, sempre, sotto gli occhi di un cattolicesimo provinciale che lei ritiene responsabile degli orrori non solo paterni. Grande film. In sala dal 23 marzo.
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