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1. "NESSUNA PROVOCAZIONE"
Dario Pappalardo per "la Repubblica"
"Nessuna provocazione, la mia è un'opera spirituale. Ho portato a Varsavia il mio Hitler inginocchiato perché dialogasse con la città ". Maurizio Cattelan risponde così alle polemiche sulla sua statua esposta nell'ex ghetto della città polacca. Che si può vedere solo di spalle e da lontano, appoggiata a un cancello della via Prozna.
Non si tratta di un semplice manichino, ma proprio di Him, l'opera che ritrae il Fuerher. A Maurizio Cattelan, artista italiano tra i più stimati e riconosciuti all'estero, la città polacca dedica una grande mostra. Mostra allestita (fino al 24 febbraio, a cura di Justyna Wesolowska) al castello Ujazdowski, sede del Centro di arte contemporanea diretto da Fabio Cavallucci.
La scultura iperrealistica con il capo del Terzo Reich ha trovato posto però in uno dei luoghi simbolo della Shoah. Una scelta spettacolare, secondo le intenzioni dei curatori. Un affronto gratuito alla comunità ebraica, secondo molti altri. Tanto che il Centro Simon Wiesenthal ha definito l'operazione «una provocazione insensata che insulta la memoria degli ebrei vittime del nazismo ».
«La sola preghiera che Hitler aveva in testa era di spazzare gli ebrei dalla faccia della Terra», ha puntualizzato Efraim Zuroff, direttore dell'organizzazione. Ma per il rabbino capo della Polonia, le cose stanno diversamente: «La statua messa lì può avere addirittura un effetto educativo», ha fatto sapere Michael Schudrich. Intanto la mostra intitolata Amen mette in fila migliaia di visitatori e il direttore Cavallucci tende a stemperare le polemiche: «Non si vuole offendere la memoria di nessuno: Him rappresenta il male che si nasconde dappertutto e la sua collocazione è stata concordata con le autorità cittadine», spiega.
Chi ancora una volta è chiamato a difendersi dalla sua arte sotto accusa, è Maurizio Cattelan. Dall'installazione con i bambini impiccati in piazza a Milano (2004) al dito medio che tuttora svetta in piazza della Borsa, l'esposizione delle sue opere negli spazi pubblici continua a dividere. Anche adesso che l'artista si è ufficialmente ritirato: il suo Hitler risale al 2001 ed era già stato censurato in versione manifesto due anni fa dal Comune di Milano.
Cattelan, non è una scelta provocatoria?
«Più che "provocatoria" l'aggettivo che mi viene in mente pensando a quell'opera è spirituale, non c'è volontà di provocare. Nessuna mia opera è mai nata con quell'intento. L'Hitler è stato esposto anche in Svezia, un Paese neutrale durante la Seconda guerra mondiale».
Proporre il ritratto di Hitler in un luogo simbolo della Shoah ha un significato diverso...
«Sì, portarlo a Varsavia, è ben diverso. Ma mi piaceva l'idea che un'opera del genere dialogasse con la città . Ci sono stato nel 2006 mentre lavoravo alla Biennale di Berlino e poi lo scorso anno. Ho visitato il ghetto, i luoghi storici e tutto questo ha avuto un impatto molto forte su di me».
Come è stato deciso di collocare l'opera lì?
«Ho pensato al gesto di Willy Brandt che arrivando a Varsavia 25 anni dopo la guerra andò a inginocchiarsi davanti al monumento dedicato agli ebrei vittime della Shoah. Da qui è nato il mio dialogo con quel posto»
Per il Centro Wiesenthal si tratta di una "provocazione insensata"...
«Ma non c'è alcuna volontà di provocare. Da una mostra mi aspetto che ponga delle domande, più che dare risposte. Una mostra è fatta da opere il cui stesso significato cambia con il tempo. Vent'anni fa non ci ponevamo le domande di oggi. Se un'opera realizzata più di dieci anni fa, come è il caso di Him, continua provocare discussione significa che assolve ancora al suo ruolo».
Non è la prima volta che a Varsavia viene contestato...
«Sì, alla Galleria Zacheta nel 2001 cercarono di danneggiare La nona ora che
ritraeva Giovanni Paolo II. Un deputato voleva staccare i pezzi del meteorite che aveva colpito il papa. Ma anche qui: esporla in Polonia non significava essere provocatori. à stata portata anche a Venezia e a Basilea...».
Perché nel 2001 scelse di raffigurare Hitler?
«Hitler incarna l'immagine della paura. Mettendolo in scena non ho fatto che impossessarmi di un'icona del XX secolo. Non c'è mai stata alcuna intenzione di offendere nessuno. Semmai c'è la fortuna di continuare a dialogare ancora attraverso le opere. Non tutte sopravvivono ai loro autori, quasi nessuna ».
2. SCANDALO PER L'HITLERINO A VARSAVIA MA L'ARTE DI OGGI Ã DISSACRANTE
Angelo Crespi per Corriere della Sera
Che Cattelan, da buon ex pubblicitario, conoscesse bene i meccanismi della comunicazione era cosa scontata. Scontato anche che l'arte concettuale si serva dei mass media essendo quasi sempre provocazione e cortocircuito massmediatico. Un po' come il terrorismo che - ogni buon sociologo sa - non può prescindere dalla comunicazione avendo il terrorista, a differenza del criminale comune, interesse per il riconoscimento simbolico che la sua azione può dare.
Eppure questa volta il giochino sembrava non funzionare. L'esposizione al ghetto di Varsavia di un pupazzetto inginocchiato dal sembiante di Hitler durava ormai da un mese col rischio di passare sotto silenzio. D'altronde l'hitlerino (titolo «Lui») realizzato nel 2001 girava da almeno una decina di anni mostre e happening senza destare scalpore. La bomba è però esplosa quando il Centro Simon Wiesenthal ha deciso di criticarne la collocazione, definendola «una provocazione insensata che insulta la memoria delle vittime ebree del nazismo».
Indignazione sacrosanta, ma che ha portato di colpo alla ribalta l'opera di Cattelan in tutto il globo e in ogni lingua. Ovviamente, ha perfino destato una serie di fan assopiti del nostro artista nazionale pronti a difenderne la libertà di espressione e tesserne le lodi di gran «furbacchione».
La dissacrazione è uno dei meccanismi più utilizzati dall'arte contemporanea: Cattelan stese a morte papa Woityla colpendolo con un meteorite, Damien Hirst mandò uno scheletro crocifisso a una collettiva a Teheran in Iran. L'Occidente che dileggia se stesso è ben accetto ed esaltato, meno politicamente corretto (e più rischioso) screditare le altre religioni, il buddismo, l'induismo, soprattutto l'Islam.
Certo che mettere un Hitler in preghiera nel luogo teatro di un infame massacro nazista, è un po' come tirare un rigore senza portiere. Troppo facile suscitare attenzione, ma non si comprende l'operazione artistica, sempre che l'arte, anche dopo la Shoah, possa avere ancora un senso catartico, di purificazione dal male.
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