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Alain Elkann per “la Stampa”
Professor Guerri, lei è a Londra per il Chelsea Flower Show con alcuni membri dei Grandi Giardini italiani in qualità di presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Cosa rappresentano i Giardini del Vittoriale?
«Il Vittoriale appartiene al circuito dei Grandi Giardini Italiani e nel 2012 ha vinto il premio per il più bel Parco d’Italia. Nel testamento di D’Annunzio è scritto che la sua eredità, compresi i diritti d’autore, è della Fondazione del Vittoriale. I presidenti precedenti a me, per gioco ma non troppo, si definiscono “Le vedove di D’Annunzio”».
Il giardino aveva un posto importante nella vita del poeta?
«Si, amava molto la natura e non voleva vicini intorno. E così pezzo dopo pezzo ha comperato 10 ettari di terreno. Ci sono limoni, palme e ulivi come lungo tutto il lago di Garda che aveva incantato Goethe. D’Annunzio ne ha fatto anche un museo a cielo aperto della I guerra mondiale.
Ci sono enormi pietre da tutti i fronti dove si è combattuto, cannoni, il Mas con cui compì la famosa “Beffa di Buccari” e l’aereo Fva con cui volò su Vienna per lanciare dei volantini. E soprattutto la nave “Puglia” un incrociatore della I Guerra Mondiale che lui fece tagliare a pezzi e rimontare qui».
Lei si occupa del Giardino?
«Io ho il pollice velenoso! Però ho arricchito il parco con opere d’arte contemporanee come il Cavallo Blu di Mimmo Paladino o l’Obelisco di Arnaldo Pomodoro o i Cani di Velasco Vitali e ora è arrivata anche la Poltrona di Proust di Alessandro Mendini che ne ha dedicata una speciale a D’Annunzio di colore “violato”, un viola tenue inventato dal poeta. Ho anche fatto riempire le Vallette sotto la nave Puglia che erano chiuse dal 1938 ed erano diventate una foresta impenetrabile»
Lei ha scritto due libri su D’Annunzio L’amato guerriero e La mia vita carnale, cosa l’attrae tanto di questo poeta?
«La vita, che è il suo capolavoro. Diceva “Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”. E’ una frase tratta dal suo primo romanzo, Il piacere, scritto a 25 anni nel 1888. Mi piace dire che D’Annunzio è un uomo che non solo è riuscito a realizzare i suoi sogni ma è riuscito a farli sognare agli altri uomini. Ha influenzato la cultura e il costume italiani ed europei per mezzo secolo. Morì nel ’38, l’anno delle leggi razziali».
Come giudicava l’alleanza con Hitler?
«Quando Hitler salì al potere scrisse una poesia per definirlo “un imbianchino con la testa sporca di calce”. E fece la sua ultima uscita dal Vittoriale nel 1937 per fermare a Verona il treno di Mussolini che tornava dal suo primo incontro con Hitler e dirgli che non doveva allearsi con lui. Purtroppo non venne ascoltato».
La politica aveva un ruolo importante nella sua vita?
«L’aveva avuta ai tempi del nazionalismo. Agli inizi del ’900 poi con l’Interventismo lui fu determinante con i suoi discorsi infiammati per fare entrare l’Italia in guerra. Poi diventò un eroe. Si arruolò come volontario a 52 anni e dopo la guerra, come un condottiero rinascimentale, occupò la città di Fiume che gli accordi di Versailles non volevano dare all’Italia.
Tenne Fiume per 16 mesi. Dette una Costituzione, una delle più avanzate del ’900, per esempio prevedeva che le donne potessero essere elette quando ancora nel mondo si discuteva se potessero votare. A Fiume diventò anche cocainomane perché era una città senza regole, un’anticipazione del ’68. Tutto era libero, il sesso, la droga, la cocaina non era proibita».
Con chi viveva allora il Vate?
«Era agli inizi del suo amore con Luisa Baccara, una pianista veneziana che starà con lui fino alla morte. Però nel ’22 lo spinse giù dalla finestra perché lui - che era un erotomane e un grande seduttore - cincischiava con una delle sorelle di lei. Le più belle donne furono sempre ai suoi piedi. Da quando la Baccara lo buttò dalla finestra, cosa che lui definì “Il volo dell’Arcangelo”, non la toccò più.
Quell’incidente cambiò forse la storia d’Italia, perché tre giorni dopo avrebbe dovuto incontrare Mussolini e convincerlo a non marciare su Roma. E forse ci sarebbe riuscito, perché in quel momento era l’uomo più popolare d’Italia. I capi fascisti del ’21 andarono a chiedergli di prendere il posto di Mussolini mentre Antonio Gramsci nel ’21, appena fondato il partito comunista, gli offrì la guida».
D’Annunzio era un uomo d’azione o un uomo di penna?
«Di penna. La scrittura era la cosa che più amava al mondo, poi le donne. Proust, Joyce e Hoffmansthal dissero che aveva rinnovato il romanzo e della poesia italiana e anche Montale si ispirò a lui. Lui inventò l’intellettuale moderno, il concetto di Beni Culturali».
Perché si chiuse al Vittoriale?
«Era disgustato dalla vita pubblica e voleva lasciare oltre alle imprese militari e alle opere letterarie un ricordo di pietra. La casa dove abitava per legge non può essere toccata. Ha fermato il tempo e ottenuto lo scopo che tutto venisse fermato al 1° marzo del ’38 quando morì. Fu amato e odiato come tutti gli uomini di successo. Dopo la guerra per almeno 30 anni è stato cancellato.
Forse perché era legato al fascismo, gli piaceva essere adulato dal fascismo e a Fiume aveva inventato dei riti, dei miti di cui si impossessò Mussolini. Per esempio il discorso dal balcone o il culto del caduti…
Lui era un uomo generosissimo e all’ingresso del Vittoriale c’è uno dei motti più famosi “Io ho quello che ho donato”. Era anche molto ricco, gli editori lo coprivano di denaro e Mussolini gli ha dato 20 milioni per il Vittoriale. Tutto sommato non era poi così tanto, forse il valore dei suoi 33 mila volumi. Il Vittoriale con la sua economia e i suoi visitatori mantiene un paese intero, Gardone Riviera».
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