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Carlo Bonini per "la Repubblica"
Con la certezza dell'indicativo, il nostro Governo e la nostra Intelligence hanno sostenuto in queste ultime due settimane che quantomeno «la privacy delle comunicazioni tra cittadini italiani all'interno dei nostri confini è garantita». Dunque, che il traffico dati scambiato in Italia tra operatori Internet italiani è a tenuta stagna dalla sorveglianza elettronica clandestina delle Intelligence di Paesi stranieri (l'americana Nsa e l'inglese Gchq in primis), dalle pratiche di raccolta a strascico e archiviazione di massa di metadati. E tuttavia non è così. O, almeno, è stato così per 17 anni, ma non lo è più da almeno quattro mesi.
Dal giugno scorso, il traffico dati del 60 per cento di utenti italiani di adsl è infatti obbligato a transitare attraverso nodi di interconnessione e provider esteri anche quando il tragitto dei dati mette in collegamento provider italiani e si svolge dunque all'interno dei nostri confini. Quando cioè ci si connette a pagine web italiane, come ai siti della nostra pubblica amministrazione o a banche dati pubbliche e private. Parliamo di almeno 10 milioni di italiani che, senza saperlo, ogni giorno, navigando in banda larga dal loro computer di casa o ufficio si agganciano a indirizzi domestici ovvero scambiano mail con chi è cliente di provider nazionali.
In giugno, è accaduto infatti che Telecom Italia (che con il suo 50 per cento di "utenza residenziale" è il maggiore operatore nazionale di telecomunicazioni), con una decisione di cui, a quanto pare, il nostro Sistema di sicurezza nazionale non ha avuto neppure percezione, abbia deciso di chiudere gli accessi alla propria rete ad una sessantina di piccoli e medi Internet provider italiani cui, dal 1996, in forza delle leggi antitrust, garantiva gratuitamente l'ingresso. Nel linguaggio degli addetti, la mossa ha un nome, "depeering".
E il suo effetto immediato è stato duplice.
Primo. Tutti gli utenti Adsl degli Internet provider italiani esclusi da Telecom dai suoi Network access Point (vale a dire i punti in cui convergono le reti fisiche che trasportano i dati all'interno del nostro Paese e che sono a Milano, Bari, Padova, Firenze, Udine, Torino e Roma) per navigare devono ora connettersi a provider stranieri. Il loro traffico dati è cioè obbligato a superare quelle colonne d'Ercole dei nostri confini oltre le quali si è in terra di pirati. E dove nessuno, ormai lo sappiamo, può garantire ciò che verrà fatto di quel traffico.
Secondo. Anche gli utenti di "Alice", la banda larga di Telecom (circa 7 milioni di italiani), per poter ora accedere ai contenuti messi a disposizione da altri provider italiani cui da giugno è negato l'accesso, devono transitare dall'estero. Il che significa, per fare un esempio, che per aprire la pagina Web del Ministero di Giustizia così come di altre pubbliche amministrazioni i cui contenuti non sono nella piattaforma Telecom, e con loro scambiare dati, dovranno agganciarsi a uno dei nodi di interconnessione internazionale.
Che, per restare in Europa sono Londra, Francoforte e Parigi. Con buona pace della sicurezza nazionale e della privacy.
Dall'estate scorsa, Renato Brunetti, Presidente dell'Associazione Italiana Internet Provider, tenta di bucare il muro di "disattenzione" su cui questa storia è rimbalzata, per poi essere relegata in qualche forum per addetti. E ora torna dunque alla carica: «E' evidente che quanto è successo mette a rischio parte delle comunicazioni tra utenze italiane». Evidente, ma, a quanto pare, ignoto ai più.
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