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Chiara Maffioletti per il Corriere della Sera
Luca Tommassini è nato in un quartiere di Roma, Pineta Sacchetti, dove «nessuno sognava. Tutti si accontentavano di un destino già scritto». Viveva in un appartamento di 50 metri e dormiva su un divano con sua sorella. Su un divano, non un divano letto. Forse anche per questo ha iniziato subito a disegnare orizzonti diversi con la sua immaginazione:
«Ero lì, ma sognavo di vivere in un castello. Quando camminavo sentivo la musica, mi immaginavo in un musical. Sul balcone avevamo un' unica pianta di gerani, malconcia. Eppure quando sbocciava mi sembrava di essere in un prato fiorito».
La prima volta in cui la realtà è sembrata avvicinarsi un po' ai suoi desideri è stata quando ha aperto una scuola di ballo a 100 metri da casa sua. Un regalo dal cielo. «Mia madre, che è sempre stata la mia complice, mi ha iscritto subito, all' insaputa di mio padre. Avevo 9 anni. Lei, ballerina mancata, andava a fare le pulizie per pagarmi le lezioni. Mi ha sempre protetto».
Sono stati anni difficili ma carichi di speranze: tormentato dai bulli, Tommassini non si è mai avvilito perché, per la prima volta, «in quella scuola avevo conosciuto degli altri sognatori, i miei insegnanti, che lavoravano con la danza: era la conferma che anche io potevo salvarmi». Quando veniva insultato, picchiato per strada perché «diverso, io reagivo non piegandomi.
Anzi. Chiedevo a mia madre di vestirmi ancora più strano. A 12 anni l' ho convinta a farmi la permanente perché il mio idolo era Michael Jackson. Lo ha fatto, subendo gli abusi, le violenze di mio padre. Io e lei reagivamo camminando sempre mano nella mano, nel quartiere. E in fondo, anche se me ne sono andato presto, è come se non abbia lasciato mai la sua mano: su ogni palco dove ho ballato eravamo in due».
Tutti possono cambiare «Mio padre non mi ha mai sostenuto. Si vergognava di me, si vergognava anche del fatto che avessi la esse moscia. Mi dava soldi solo se riuscivo a pronunciarla bene, per questo stavo zitto». Un ragazzino che non aveva una camera e nemmeno un letto, ma che vedeva suo papà girare in Ferrari: «Spendeva i soldi in altro modo, diciamo. E' sempre uscito, ogni sera della nostra vita. Non ha mai cenato con noi, fino a quando non ci ha abbandonati per andare a vivere con la sua storica amante. Ma avevo già imparato a convivere con la sua assenza».
Da esperienze così, si può uscirne devastati o più forti. Tommassini al suo passato riesce oggi a dire grazie: «Vengo dal niente e ho conquistato una grande ricchezza. Ma non sono affezionato agli oggetti. Conta come sto dentro». Un' altra eredità del suo percorso è la convinzione che tutti possano cambiare: «Pensare il contrario significa rassegnarsi.
LUCA TOMMASSINI STUDIO X FACTOR
Le situazioni non vanno accettate per come sono e nemmeno i caratteri. A chi mi dice: "Sono fatto così", rispondo: "Cambia"». Tra chi gli ha insegnato a vedere le vita in questo modo c' è una sua amica, Madonna: «Uno non se lo immagina, perché se pensi a lei ti vengono in mente le pettinature e i reggiseni a punta, ma Madonna è una grande insegnante di vita. Io credo in due Madonne: nella mamma di Gesù e in lei. Tra quello che mi ha fatto capire è che ogni giorno devi metterti alla prova iniziando a fare la cosa che meno avresti voglia di fare e lasciando per ultima quella che ami. Un modo per andare sempre a letto con il sorriso». Un pensiero in sintonia con il suo sforzo, innato e caparbio, di immaginare il bello dove non c' era.
«Non è stato facile. Ricordo quando ho avuto la fortuna/sfortuna di essere preso per la pubblicità del Calippo. Mi insultavano tutti, anche mia cugina mi urlava alle spalle "frocio". Ma non ho mai abbassato lo sguardo, sono rimasto a testa alta».
Il bagno rosa Ha sempre seguito la sua fantasia, anche quando ha pensato di fare un regalo alla mamma dipingendo il bagno di rosa: «È stata la mia prima messa in scena, volevo regalarle un sorriso ma mi sono preso uno sberlone: avevo dipinto di rosa anche il lavandino, le maniglie, il termosifone... Le è preso un colpo». Una mamma che ancora lo adora e che ha fatto per lui il gesto più difficile e bello: «Quando le ho detto che volevo studiare danza negli Stati Uniti mi ha risposto: vai e non voltarti». Dormiva in casa di amici ballerini lì. O meglio, sul loro pavimento.
La svolta, il giorno in cui ha sentito per caso che c' era un provino per la serata degli Oscar: «Sono andato ma non mi hanno ammesso perché ero illegale. Così ho scavalcato il muro degli Studios, sarà stato alto tre metri. Non sono coraggioso ma non mi volevo arrendere: mi sono immaginato di esserlo. Ho iniziato a fare le audizioni e non venivo mai scartato. Mi si è avvicinata la coreografa e mi ha detto: ballerai agli Oscar. Sono scoppiato a piangere: non avevo il permesso di soggiorno, non potevo. Ma lei mi voleva proprio e i suoi avvocati mi hanno fatto avere la mia prima carta verde».
Gli amici che lo ospitavano erano così felici che lui fosse stato preso e loro no, che l' hanno cacciato di casa. Poco male, dopo quella notte all' aperto è cambiato tutto. Il ragazzino che voleva essere un bravo ballerino è diventato il più bravo di tutti, conosciuto, richiesto anche dal suo mito, Michael Jackson: «Una cosa ho capito: più i personaggi sono grandi e più sono semplici umanamente. Con Michael ci siamo trovati a giocare ai videogiochi: voleva che giocassi sempre con lui, una specie di Peter Pan».
Gli amori che finiscono Tra la lista davvero infinita («a volte sembra esagerata perfino a me») di persone con cui ha lavorato c' è anche Whitney Houston: «Con lei ho conosciuto le droghe. Sono stati anni di esperienze folli, erano gli anni in cui era uscito il crack. Sono tornato in Italia per disintossicarmi. In America mi sentivo fuori dal mondo, quasi in missione e le missioni finiscono».
Ma il lavoro è rimasto il centro della sua vita: «È quasi una malattia, mi ci dedico al cento per cento.
Ora vorrei mettere gli strumenti che ho a disposizione dell' Opera, rivoluzionarla un po'. E' presuntuoso, ma mi piacerebbe vedere la fila di ragazzini fuori dai teatri». E la vita privata? «Sono dell' idea che l' amore non duri per sempre.
Ho amato La La Land perché ci racconta come un amore che finisce non sia un amore che non è mai esistito. Semplicemente bisogna accettare che così come le storie iniziano, finiscono anche». Inutile trascinarle per inseguire un ideale irrealizzabile: «Non solo, supplico sempre i miei amici di non farmi sapere mai nulla dei loro tradimenti, perché io non sto zitto. Se scopro che tradisci una persona, penso che questa lo debba sapere.
Non voglio diventare complice delle corna altrui». Figli? «Vorrei averne. Penso sarei un bravo papà. I figli stanno bene dove c' è amore, un genitore, due, tre, va bene tutto, purché ci sia amore. Mio padre è l' esempio di uno che aveva le carte in regola ma forse non si è rivelato il migliore per avere un figlio». Crede in Dio? «Sì, penso sia il direttore artistico più grande di tutti».
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