DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
1.LA MADRE DI REGENI: GIULIO VOLEVA COLLABORARE, IL MANIFESTO DISSE NO
Andrea Pasqualetto per www.corriere.it
«Giulio non collaborava con Il Manifesto, avrebbe voluto ma non lo hanno considerato...». Lo scrive testualmente Paola Deffendi, la madre di Giulio Regeni, in una mail inviata a un amico di famiglia, Fabio Luongo, al quale ha chiesto di diffondere la dichiarazione, dopo aver letto sui giornali italiani della collaborazione di suo figlio con il Manifesto.
Il New York Times annuncia che gli Usa solleveranno il caso di Giulio Regeni con l Egitto
«Il quotidiano ha oggi pubblicato un articolo di Regeni usando il suo nome e cognome nonostante lui, nel proporre il servizio di carattere sindacale dal Cairo avesse espressamente chiesto che fosse usato lo pseudonimo per problemi di sicurezza», ha aggiunto l’avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini.
Al Manifesto hanno spiegato che l’articolo in questione era in attesa di pubblicazione. Nel frattempo però Regeni aveva proposto lo stesso servizio, critico nei confronti del governo di Al-Sisi, al sito Nena-news.it, agenzia di stampa del Vicino oriente. E il sito l’aveva pubblicato, con lo pseudonimo di Antonio Drius.
2.IL MANIFESTO SU FACEBOOK, ''I COLLABORATORI LI PAGHIAMO POCO, TARDI, E SPESSO NULLA''
Il manifesto: ''Paghiamo poco e tardi, spesso nulla. Ti sorprenderà, ma esiste perfino gente che scrive, vive, osserva e racconta per piacere.
3.LA GIORNALISTA ARIANNA GIUNTI: ''VERGOGNATEVI''
Arianna Giunti su Facebook
https://www.facebook.com/arianna.giunti
·
Ecco il quotidiano comunista "Il Manifesto" che, dopo aver rifiutato gli articoli di Giulio Regeni da vivo, li ha pubblicati da morto. Che si vanta di non pagare i suoi collaboratori che - a sentir loro - scrivono per la gloria. (O per la disperazione?)
Vergognatevi, gente. E chiedete scusa alla famiglia di quel ragazzo, per non aver tenuto conto della loro volontà di non pubblicare il pezzo post mortem dopo non averlo considerato da vivo.
(E già che ci siete, chiedete scusa anche a tutti i ragazzi che - dopo esservi fatti belli "lottando per i diritti dei lavoratori" nei salotti borghesi - avete fatto lavorare gratis "per piacere")
4.E' PARADOSSALE CHE VOI DIFENDIATE GIULIO DAL GIORNALE CHE AMAVA E CONSIDERAVA IL SUO RIFERIMENTO IDEALE
Replica di Antonio Sciotto, giornalista de ''il manifesto'' sulla bacheca di Arianna Giunti
Calma con gli insulti e le illazioni non documentate, ed è quasi paradossale che voi difendiate Giulio dal giornale che lui amava e che aveva come riferimento ideale. Come se adesso il problema fosse il manifesto, e non il fatto che sia stata uccisa in maniera barbara una persona che amava il manifesto e che collaborava con quella testata con grande passione. Bisognerebbe sempre sciacquarsi la bocca prima di parlare di Giulio Regeni, della sua nobiltà d'animo e della sua levatura intellettuale. Andiamo con ordine:
1) il manifesto non prende dallo Stato 5 milioni l'anno, né 3, ma in quanto impresa cooperativa e senza alcun euro di lucro per singoli privati (e non come giornale "di partito" o addirittura "di Stato"!), riceve 1,9 milioni (dati relativi al 2014) che a stento bastano per pagare regolarmente secondo contratto nazionale i suoi redattori e mandare avanti un sito che sceglie di non ospitare pubblicità. I finanziamenti sono definiti su parametri obiettivi come tiratura e vendite in edicola, tutti debitamente certificati, nella massima trasparenza. La legge per il sostegno all'editoria è stata votata e approvata in Parlamento: che dirvi, la prossima volta votate Grillo con maggiore convinzione, e vedrete che verrà soppressa.
2) Prima di fare illazioni, leggete quanto scrive il manifesto sul rapporto che aveva con Giulio Regeni, rispettando le scelte di Giulio e la sua figura di intellettuale e studioso appassionato, che già più volte aveva trovato modo di pubblicare le sue analisi in Italia (quando mai i suoi articoli sono stati rifiutati? dell'ultimo era solo stata rinviata la pubblicazione): "Regeni ci aveva scritto una mail lo scorso 9 gennaio con l’espressa richiesta di pubblicarlo in quanto il manifesto era, parole sue, il suo «giornale di riferimento in Italia, ed è naturalmente sensibile» alle mobilitazioni dei lavoratori in Egitto. Del resto, non sono molti i quotidiani del nostro paese a interessarsi con regolarità delle vere condizioni sindacali e di lavoro in Tunisia, Egitto, India, Pakistan, solo per citare alcuni paesi di cui ci occupiamo frequentemente".
3) E' ovvio e più che comprensibile che prima di questi tragici avvenimenti Giulio per paura avesse chiesto di firmare con pseudonimo, e la sua volontà è stata sempre rispettata, ma sarebbe da idioti assoluti e senza speranza firmare con pseudonimo un articolo di una persona che è appena morta e che è al centro di una tragedia internazionale. Fatemi capire: il Paese era in lutto per Giulio, tutti i giornali parlavano di lui, e il manifesto avrebbe dovuto firmare il suo ultimo articolo Tizio Caio o Pinco Pallo?
Forse per far ridere i polli? Ovvio che quell'articolo doveva uscire con il suo nome: lo dovevi a lui, alle persone di cui parla l'articolo, all'opinione pubblica. E la famiglia può chiedere di non pubblicarlo, certamente, e il suo dolore è da rispettare, ma non può porre il veto: se quell'articolo lui lo ha inviato alla redazione e ha chiesto di pubblicarlo, la redazione è autorizzata a pubblicarlo. Giulio era un cittadino italiano maggiorenne, non un minorenne sotto tutela familiare.
4) Il lavoro va sempre retribuito, è una regola sacrosanta e che nessuno può contestare, ma non fate di tutto una fuffa indistinta: Giulio, come nota giustamente Matteo Servillo, non era un giornalista freelance che portava avanti rivendicazioni salariali e sindacali (sempre giuste e condivisibili quando qualcuno ha gli elementi per farle), ma un ricercatore con una borsa di Cambridge che poi occasionalmente pubblicava cronache e analisi sul manifesto.
Questo vuol dire che anche quegli articoli, pur occasionali, non debbano essere retribuiti? Certamente no, ma semplificare tutto e appiattire Giulio sulla figura del freelance sfruttato è evidentemente limitante oltre che sbagliato (con tutto il rispetto, ripeto, per le rivendicazioni dei freelance sfruttati). Né qualcuno, dall'Italia, lo aveva "inviato" a fine gennaio a seguire gli eventi che poi qualche giorno fa hanno avuto il tristissimo epilogo che tutti conosciamo.
6) Si chiede quindi a chi commenta questo post senza conoscere elementi e cifre ufficiali uno sforzo intellettuale minimo (coraggio!) per capire che la complessità delle situazioni e delle persone non si può sempre livellare fino a farla coincidere con la propria esperienza personale e le proprie rivendicazioni politiche, economiche, sindacali. Il mondo è bello perché è vario, sappiatevene fare una ragione.
7) Infine, in una Repubblica democratica quale è l'Italia un giornale non può mai essere CHIUSO d'autorità, al massimo si può disporre di non finanziarlo più. PS: Non sono amico di Arianna Giunti, ma mi permetto di intervenire sulla sua bacheca a titolo puramente personale avendo visto questo suo post condiviso da un mio contatto.
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