DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
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Scrivi Italia ed esce “Razzista”; scrivi Renzi esce “massone” , “Madia” esce “figlio di Napolitano”. La funzione autocomplete di Google, che nasconde complicati algoritmi, è la prova provata che la rete non dimentica. E ti controlla. Dalla rete non puoi cancellare nulla perché Google non conosce il diritto all’oblio e rigetta al mittente le sentenze (Parigi, 16 settembre 2011, vedi Dagospia del 30 agosto 2014).
Anche se, nei mesi scorsi, in Commissione Giustizia è stata approvata la norma di Stefano Caliendo (FI) sul diritto all’oblio, quando si chatta si scrive nella pietra ed è meglio essere consapevoli che qualcuno ci sta osservando. E cerca di fregarti. “Avevo sperato in un web in grado di favorire il progresso della conoscenza, è assai sorprendente per me che persone diventino nel web portatrici di odio”, ha dichiarato a questo proposito sir Tim Berners-Lee, fondatore del World Wide Web.
E’ l’eterogenesi dei fini della società digitale, si direbbe, una novità assoluta. Anzi, no, per niente.
libro di un carpoforo che usava nickname
Già nel Seicento, nella matrigna Germania, si parlava di data-base universali, diritto all’oblio, rete e i membri di società segrete usavano frutti e fiori come nickname. E per ricordare tutto come in una rudimentale Wikipedia si usavano ruote e teatri di memoria artificiale, come quelli messi a punto da Camillo Delminio, Giordano Bruno o John Dee.
Ora, in un romanzo esoterico e a chiave intitolato “L’inventore della dimenticanza” (Bompiani), Pierluigi Panza – giornalista, storico d’arte e finalista del Campiello tempo fa - narra il mondo dei database e dei social network, dei segreti di Wikileaks e dei poteri occulti della religione e della finanza, con gli occhi di un uomo del Seicento. Già, perché Google, in fondo, era già stato pensato in una stagione dove fiorivano lobby che volevano controllare il mondo e far tornare l’uomo in Paradiso.
Un medico-filosofo aspirante profeta, tale Adam Brux, di cui non si sa niente ma è realmente vissuto dalle parti di Dresda, studiando le opere di Giordano Bruno e i testi alchemici inventò una sua Wikipedia del Seicento. Ma presto si rese conto che la memoria non era priva di rischi: affidare tutto alla memoria artificiale era una perdita della memoria reale.
Così, all’alba della Guerra dei Trent’anni, pubblicò un libro per rivendicare anche il diritto all’oblio. Da allora la sua vita cambiò per l’ostilità di quei maestri di memoria che furono i Rosacroce, una setta così virtuale e immateriale che produceva testi senza mai palesarsi.
Questo scontro tra memoria e difensori dell’oblio - tra i quali i cattolici, con le indulgenze e il sacramento della confessione – fecero divampare la Guerra dei Trent’anni.
Dopo il libro di Bisignani, il romanzo a chiave di Panza è un’allegoria di quanto avviene nel mondo dei poteri forti, delle lobby e dei social network di oggi. Nel libro ci sono cordate di “confraternite” che escludono chi non vi appartiene, c’è la reggia del langravio di Kassel che sembra la Goldman Sachs, il Palatinato di Heidelberg che, con i suoi riti iniziatici, è una Bilderberg dell’epoca e ci sono gazzettieri “che si cambiano il nome”. Non sappiamo se questo Brux abbia fatto una brutta fine. Ma tra i balsami che inventa per dimenticare c’è anche una specie di viagra... Insomma, l’oggi c’era già nel Seicento.
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