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In Auditel è arrivato lo ius soli, con l’inclusione dei concittadini senza cittadinanza (circa il 7% del totale degli individui che calpestano il suolo della penisola) che fino a poco tempo fa non venivano conteggiati. Colpa dei leghisti? No! Semplice risultato dell’estrarre le famiglie del campione dalle liste elettorali (che comprendono solo i “cittadini”) anziché dall’anagrafe dei residenti (che comprende anche gli “stranieri”).
Ma ora il campione statistico è finalmente completo e noi (grazie ai dati di Studio Barometro di Luigi Ricci) ne approfittiamo per capire se e quanto i gusti televisivi degli spettatori di importazione siano diversi da quelli degli aborigeni. E diciamo subito che la diversità c’è e che ha cambiato non di poco la spartizione degli ascolti fra i canali grandi e piccoli.
Ovviamente molti immigrati (circa uno ogni sette) vedono via satellite la tv del paese d’origine (ognuno ha presente la tv della Repubblica Popolare della Cina che usa campeggiare fra involtini primavera e pollo alle mandorle). Invece il resto degli “stranieri”, vale a dire la loro grande maggioranza, fa zapping fra le alternative nazionali. Ma con scelte assai diverse rispetto a quelle degli spettatori “italiani”.
Chi ne guadagna e chi ne perde? Presto detto: ci rimettono la Rai e La7, ci guadagnano tutti gli altri. Impressiona il dato di Rai Uno che nell’insieme (parliamo della prima serata) conduce la classifica degli share con quasi il 20%. Mentre fra gli stranieri vale solo l’8% e precipita dietro Canale5 e Italia1 che invece agli stranieri piacciono non poco. Non dissimile la sorte di Rai2 e, specialmente, di Rai3 che, fosse per gli stranieri sarebbe ridotta a “canalino”, come La7.
Insomma, dove l’aria sa troppo di casa (anzi di chiuso) come attraverso le fiction di Rai Uno o i talk show politici concentrati attorno all’ombelico nazionale, gli stranieri ovviamente distolgono lo sguardo e lo share. Mentre la tv internazionale tradotta in Italia da Mediaset, Discovery etc acchiappa spettatori né più né meno che i monitor di intrattenimento situati nelle sale d’aspetto degli aeroporti.
E speriamo che, dinanzi a questi dati, nessuno in Rai si affretti a considerarli come l’effetto del virtuoso impegno del Servizio pubblico verso la Nazione. Perché la Nazione c’è nella misura in cui sa essere egemonica e inclusiva, anche attraverso la sua tv, specie quella pubblica. Non quando proprio questa ai viandanti della globalizzazione pare una tv locale.
@SBalassone
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