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SONO UN PIRATA, SONO UN SIGNORE (DELLA DROGA) – DOPO IL 5° CAPITOLO DEI PIRATI DISNEY, PURE JAVIER BARDEM INTERPRETERA’ PABLO ESCOBAR (MANCA SOLO MARTUFELLO) – “MI SONO ISPIRATO AGLI IPPOPOTAMI, ANIMALI FEDELI E CRUDELISSIMI” – "IN FAMIGLIA QUANDO DECISI DI FARE L’ATTORE PENSAVANO FOSSI VOTATO ALLA PROSTITUZIONE” – VIDEO

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Roberto Croci per “il Venerdì - la Repubblica”

 

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«Oggi compio 48 anni, sono un pesci. Mi hanno detto che quelli nati sotto questo segno sono creativi e sognatori, forse e uno dei motivi per cui ho scelto di fare questo lavoro». Incontriamo Javier Bardem lo scorso primo marzo a Los Angeles in occasione dell’uscita del quinto capitolo di Pirati dei Caraibi. La vendetta di Salazar (nel- le sale il 24 maggio) dove interpreta il fantasma, molto molesto, di un nemico di Jack Sparrow (Johnny Depp).

 

Quando decise di iniziare a fare l’attore in famiglia lo vedevano gia «votato alla prosti-tuzione», e invece di strada ne ha fatta tanta. Partendo da  lm indipendenti di registi spagnoli come Bigas Luna, Pedro Almodovar e Fernando Leon de Aranoa, per approdare a Hollywood con Ridley Scott, John Malkovich, Woody Allen, Ter- rence Malick,Alejandro Gonzalez Inarritu. Nel 2008 per il suo ruolo in Non e un paese per vecchi dei fratelli Coen ha fatto tris, portandosi a casa Oscar, Golden Globe e Bafta.

 

I sogni sono ancora possibili per un attore di successo come lei?

«In questo lm sono un pirata e per me è un privilegio essere in grado di trasformare i sogni, dei bambini e degli adulti, in  realtà. Mi pare di tornare ragazzino, quando speravo di interpretare ruoli che potessero portarmi ad essere un attore rispettato. Sono cresciuto in una famiglia di artisti, mia madre Pilar ha insegnato a me e ai miei fratelli a credere nella religione della performance, a capire e rispettare lo spirito dell’animo umano. Dietro ogni ruolo c’è molto lavoro, ma appena inizio a recitare mi rendo conto di quanto è incredibile avere la possibilità di fare il lavoro che amo di più al mondo, anche se mi è costato parecchi sacrifici».

 

In che senso?

BARDEM CRUZBARDEM CRUZ

«Mia madre era spesso via per lavoro e ci lasciava soli per giorni interi. Spesso non avevamo niente da mangiare, e nemmeno i soldi per pagare acqua e luce. Ep- pure erano pene sopportabili perché avevamo la consapevolezza di essere artisti e per riuscire eravamo disposti a soffrire».

 

Da bambino amava i pirati?

«Non particolarmente, anche se mi sono sempre piaciute le spade. Ero affascinato da Guerre Stellari, ho visto il primo lm quando avevo sei anni e da allora sono rimasto un grande fan della serie. Adesso che è sotto il controllo della Disney, mi candido a recitare in uno dei prossimi film».?

 

Sua moglie Penélope Cruz ha recitato in Pirati dei Caraibi. Oltre i confini del mare. Le ha dato qualche consiglio?

«A dire il vero no. Al mio anco ho avuto il produttore Jerry Bruckheimer e tutto il team Disney che mi hanno seguito passo per passo. Per uno straniero come me questo è un ruolo enorme, non solo per il budget del lm, che supera i 300 milioni di dollari, ma per le condizioni in cui ho potuto girare. La mia opinione ha avuto un peso fin dal primo giorno di riprese.  Mi hanno molto coccolato, forse anche grazie alla considerazione che hanno per mia moglie».?

 

Ha preso lezioni di navigazione?

«Ho imparato a sterzare il timone per- ché mi hanno spiegato che se avessi fatto delle manovre sbagliate sarebbe stato un disastro. Per capire la fisicità di Salazar ho immaginato di essere un toro.Per moltidei miei ruoli mi ispiro agli animali. Il toro è sicuramente potente, collerico, incazzato, sicuro di sé».

 

La vediamoanchetirardispada. Quando ha imparato?

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«Ho dovuto farlo in fretta prima delle riprese del lm. Ho dovuto imparare da zero come si tiene una spada in mano, come si usa, come ci si muove durante il combattimento. Una faticaccia. Dopo tre mesi di allenamento ero convinto di esse- re diventato bravo e invece sul set ho capito di non sapere ancora niente: devi lotta- re indossando il costume, seguendo la coreografia e devi pure recitare cercando di essere credibile. Ero goffo e impacciato e per questo non smetto di ringraziare tutte le mie contro gure».

 

Come europeo, è stato difficile avere una carriera di successo negli Stati Uniti?

«La priorità per me è lavorare per man- tenere la famiglia, poi però bisogna pon- derare ogni scelta. Sono uno dei pochi at- tori spagnoli ad avere l’opportunità di la- vorare in un Paese straniero. Prima di me c’è stato Antonio Banderas anche se si è scontrato più volte con le produzioni: loro gli chiedevano di migliorare l’accento, lui si rifiutava per non perdere l’identità. Io faccio parte dell’8 per cento degli attori latini che lavorano in maniera stabile, l’altro 92 per cento resta disoccupato per più di sei mesi l’anno. Questo è un mestiere duro, complicato, che si basa, tanto, su conoscenze e contatti.

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Devo molto anche a Penelope che ho ritrovato durante le riprese di Vicky Cristina Barcelona nel 2007, dieci anni dall’ultima volta che avevamo lavorato insieme in Carne tremula di Almodóv- ar. È grazie a lei che ho avuto l’opportunità di collaborare con Tom Cruise e Will Smith. Ne- gli States non ci sono  molte barriere contro gli attori stranieri, per noi spagnoli c’è però il rischio di ritro- varti a recitare sempre nel ruolo, stereotipato, di un qualunque sudamericano».

 

Ha un modello di attore?

bardem trinca the gunmanbardem trinca the gunman

«Uno solo: Al Pacino. Amo la scena del ristorante del Padrino 2. Michael Corleone ha deciso che deve ammazzare tutti ma lo spettatore non se ne accorge no alla ne quando, dopo cinque minuti, capiamo quanto si sia intensificato l’odio. È una scena di un’energia incredibile. Al Pacino non fa niente, dice pochissime parole, eppure i suoi occhi ti raccontano una storia. Per il mio compleanno mi sono regalato i biglietti per God Looked Away, lo spetta- colo di Tennessee Williams alla Pasadena Playhouse. È stato fantastico. Uno dei miei motti è: non credo in Dio, ma credo in Al Pacino».

 

Le pause sul set sono lunghe. Come si rilassa tra un ciak e un altro?

JAVIER BARDEM FOTO DI CHUCK CLOSE PER VANITY FAIR JAVIER BARDEM FOTO DI CHUCK CLOSE PER VANITY FAIR

«Anni fa trovavo rilassante leggere. Oggi preferisco ascoltare la musica. Amo l’heavy metal, sono un metallaro har- dcore. Ascolto di tutto ma i miei pre- feriti sono i Metalli- ca, che ho visto di recente in concerto a Bogotà. Sono cresciuto con gli AC/DC e grazie a loro ho imparato a parlare inglese ascoltando Back in Black. Per me è una musica terapeutica, con alti poteri anti- stress. Mi dà energia. Distorsioni e urla mi aiutano ad affrontare le emozioni più profonde e mi rilassano».

 

Con sua moglie sarà presto sugli schermi in Escobar diretto da Fernando León de Aranoa. Perché si è impegnato in questo progetto?

Javier Bardem con la madre Javier Bardem con la madre

«Mi sono talmente appassionato a que- sta storia tratta dal romanzo Amando a Pablo, odiando a Escobar di Virginia Vallejo, che ho voluto anche produrre il film».

 

Cosal’ha incuriosita del signore colombiano della droga?

«Escobar aveva una mente machiavellica, era ambizioso e motivato. Ma aveva anche delle debolezze. Il romanzo, e il film, raccontano la storia dell’amore tra una giornalista e il boss, e i legami tra il narcotraffico e la classe politica colombiana. Per interpretarlo mi sono ispirato agli ippopotami, e non per caso: Escobar li teneva come animali domestici nel suo ranch, Hacienda Nápolés a Puerto Triunfo, 150 chilometri da Medellín.

 

Gli ippopotami sono molto emotivi, sono fedeli ma allo stesso tempo sono tra le specie più criminali e selvagge che esistono. Sono più pe- ricolosi dei leoni e delle tigri, sembrano innocui ma sono velocissimi, senza scrupoli, ti possono attaccare e massacrare in pochi minuti. Proprio come Escobar».

 

 

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