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TENERA ERA LA NOTTE A ROMA - MENTRE TRONCA SPEGNE LE LUCI DELLA CITTA’ A CAPODANNO, UN LIBRO RICORDA LA VITA NOTTURNA DELLA CAPITALE - KEITH RICHARDS UBRIACO AL NOTORIUS, JIM JARMUSH INFOIATISSIMO ALL’OLIMPO E JOVANOTTI DJ- ASSANTE: “NEGLI ANNI ’80 ROMA ERA IL POSTO PIÙ FICO D’ITALIA”

venditti de gregori folkstudiovenditti de gregori folkstudio

Francesco Persili per Dagospia

 

La sera andavamo in via Garibaldi: c’è chi ricorda ancora l’apparizione nei primi anni ’60 di Bob Dylan al Folkstudio, una delle prime factory d’arte in Italia. E chi racconta del Notorius, nei rutilanti Ottanta, quando Keith Richards dei Rolling Stones, ebbro di Jack Daniel’s e Ginger Ale, voleva suonarle a uno che ci stava provando con la moglie, la ex top model Patti Hansen.

 

All’Olimpo si potevano incontrare l’infoiatissimo regista Jim Jarmush con Roberto Benigni (avevano appena finito di girare Daunbailò) o Billy Wyman che voleva conoscere il suo idolo Ennio Morricone. Mentre al Mais, già covo dei fasci, capitava che mettesse i dischi pure un certo Jovanotti.

 

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Tenera era la notte a Roma. Tra night, discoteche, club e cantine, la capitale non ha mai negato una notte di baldoria a nessuno e ha offerto a hippy sotto trip, punk con spilloni e creste colorate, “travoltini” e Simon Le Bon in sedicesimo, una pista o un divanetto per godersela alla grande.

Mentre il commissario straordinario Tronca pensa di spegnere le luci della città la sera di Capodanno, un saggio, “Italian Nightclubbing”, firmato da Alessandra Izzo e Tiziano Tarli per i tipi di Arcana, passa in rassegna i locali notturni più noti della Penisola e fa rivivere la scena più cool di una città sempre accesa che generava cultura.

 

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In principio erano i night, il Club 84, il "Pipistrello", le “Grotte del Piccione”, la musica di Peppino Di Capri e Renato Carosone. Poi dal 17 febbraio 1965 il Piper diventa l’epicentro del beat all’italiana, dello show-business e dell’arte.

 

Nel locale di via Tagliamento si possono incontrare Alberto Moravia e il grande pittore Mario Schifano, il più rock di tutti gli artisti visual dell’epoca, Gabriella Ferri (la «Nico italiana», si diceva in giro, bella e dannata come lei) e la sorella ribelle di Romina Power.

 

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Un momento magico anche per la musica dal vivo, quel periodo a cavallo dei Settanta. Il Folkstudio sta a Roma come il Cavern Club a Liverpool. È in quel buchetto in via Garibaldi, a Trastevere, già casa-studio del pittore e musicista Harold Bradley, e poi regno di Giancarlo Cesaroni, che si possono ascoltare i migliori accordi della musica nera americana, del jazz, del folk e della canzone popolare italiana.

 

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Con Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Rino Gaetano, Stefano Rosso ed Ernesto Bassignano prende forma una tradizione di canzone d’autore unica nel suo genere.

 

Tracce della sfavillante night-life capitolina si possono ritrovare al Titan, dove Jimi Hendrix improvvisa una jam session dopo un concerto al Brancaccio, al Jackie O’, lo studio 54 de’ noantri, e nel salotto del Gilda dove, secondo la leggenda, anche David Bowie fece il suo ingresso trionfale.

 

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Il ballo, la musica, il divertimento fanno parte del dna della città e ne hanno contribuito a ridefinire un’identità ai tempi della nuova dolce vita dell’Estate Romana. Notti di cinema a Massenzio e «Ballo e non solo…» a Villa Ada, la liberazione dalla paura degli anni di piombo attraverso la cultura. Il ritorno a una dimensione giocosa e allegra della socialità. Roma ha sempre saputo creare attraverso l’intrattenimento notturno racconto condiviso e senso di comunità.

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«Club, locali, feste in piazza: Roma negli anni ’80 era il posto più fico d’Italia», rimarca nel libro il giornalista di Repubblica, Ernesto Assante. Una sorpresa continua, una città che vive senza tregua. “Il Locale” di vicolo del Fico tiene a battesimo un’altra generazione di artisti: Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Max Gazzè, Tiromancino.

 

A dare linfa alla canzone romana contribuisce anche il Big Mama, la casa del blues dal quale sono passati, fra gli altri, Lousiana Red, Chet Baker, Dee Dee Bridgewater, Elvis Jones. Fino a metà anni Novanta i locali sono stati «oratori laici», palestre di formazione. Poi la crisi e le effervescenze discotecare lasciano il posto a un progressivo declino della vita notturna.

 

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Era “Roma no stop”, la capitale del nightclubbing, poi è diventata Roma capoccia delle notti bianche e dei concerti (gratuiti) ai Fori di Elton John, Simon & Garfunkel, Paul McCartney, ora è una città che si appresta per la prima volta dopo 20 anni a non festeggiare il Capodanno in piazza. Una capitale che rinuncia alla cultura, alla musica, alla socialità, alla baldoria, è una città monca. Anzi, Tronca!

 

 

 

 

 

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