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Alfonso Berardinelli per "il Foglio"
Con il volumetto "Essere uomini è uno sbaglio" (Einaudi) da gustare come hors-d'oeuvre a Karl Kraus, la cui opera consta di volumi e volumi (sono ben nove solo quelli di versi, mai tradotti in Italia) Paola Sorge ci permette di passare qualche ora con il più fiammeggiante genio satirico del Novecento. Qualche ora? Si fa presto a dire. Con Kraus i tempi di lettura sono sempre un'incognita.
Si possono leggere cento pagine in venti minuti, sorvolando un po' sugli aforismi più scoscesi e intricati, o si può restare almeno un'ora, se non un giorno e più, su due righe. Vedo che Paola Sorge insiste nel chiamare satirico Kraus. La sua satira però è globale: sociale, intellettuale, morale, politica, storica e forse metafisica. Chi avesse un'idea limitata e contingente di satira, di fronte a Kraus deve ricredersi.
Cito a memoria un suo aforisma sulla satira. Dice uno: "Oggi la letteratura inglese non ha scrittori satirici". E l'altro: "Sì che c'è l'ha. Bernard Shaw". Il primo: "Appunto!". Per avercela con tutto e tutti bisogna essere degli idealisti. Si deve avere delle cose, dell'umanità e del mondo un'idea sempre superiore alla realtà . La parola d'ordine delle psicoterapie è: accettare le cose e le persone come sono e vivere felicemente in equilibrio. La mente di Kraus funziona all'opposto: se si accetta il mondo come è, gli si fa torto. E si fa torto a se stessi e alle proprie migliori aspettative.
Naturalmente, l'idealismo è una delle fonti primarie dell'ira (un capitolo della "Dialettica negativa" di Adorno è intitolato "Idealismo come ira"). L'idealista giudica e spesso rifiuta. Il realista accetta e (se può) usa. Chi è il migliore fra i due? Dipende. Il che significa che a questa domanda non c'è risposta: non una sola. Kraus non voleva usare la realtà e neppure modificarla, aggiustarla, riformarla. Usava le parole, non le persone e le cose. Era uno scrittore, non un politico. La distinzione è fondamentale, eppure soggetta a equivoci e incidenti.
I politici usano le parole per manipolare una quantità di persone, spingendole a fare una cosa o un'altra. Gli scrittori usano invece le persone inducendole a modellare i loro pensieri sulle parole dei propri libri. Lo scrittore aspira a dilatare la coscienza, non dice che cosa fare. Il politico spinge a prendere delle decisioni. Ma c'è un aforisma che dice: "Politica è partecipazione non si sa a che cosa". Sto definendo Kraus? Dio me ne guardi. Definirsi è compito suo.
E' un moralista del linguaggio, si dice, ma anche un attore e un istrione che si esibiva di fronte alla pubblica opinione cercando di impedirle di ingoiare opinioni che potessero diventare di tutti. Spesso con i suoi aforismi si è tentati di essere creativi, perché sembrano utensili verbali con due manici e si resta incerti su come prenderli. Per esempio: "In una testa vuota entra molto sapere". Che cos'è? E' una denigrazione degli eruditi che usano la propria testa come un magazzino da riempire? O forse è un consiglio di igiene mentale affinché si mantenga la mente sgombra e disposta a capire cose nuove?
La prima interpretazione è certa. La seconda è creativa. Ma sto parlando troppo. Tolgo la parola a Kraus con la scusa di fargli un favore. Le ultime parole perciò le lascio a lui, devono essere sue: "Il più intelligente cede, ma solo se è uno di quelli che sono diventati più intelligenti a proprie spese". "Siamo stati tanto complicati da creare le macchine e ora siamo troppo primitivi per farci servire da loro. Pilotiamo un traffico mondiale sulle rotaie del cervello a scartamento ridotto".
"La medicina: la borsa âe' la vita". "Si analizzano Dio e l'amore, e questo basta a sostituire entrambi". "Le verità vere sono quelle che si possono inventare". "Guardati dalle donne! Puoi prenderti una visione del mondo che ti divorerà fino al midollo". "A chi non sa scrivere, riesce più facile un romanzo che un aforisma". E ora, cari lettori, provate a fare obiezioni. Dare torto a Kraus è un buon esercizio per non addormentarsi sulle frasi fatte.
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