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Andrea Scanzi per Il Fattoquotidiano.it
FOO FIGHTERS PETIZIONE CONCERTO
L’estate si caratterizza anche per il gran numero di concerti all’aperto. Questi eventi di massa, in via teorica musicali, sono popolati da una fauna variegata che ha una caratteristica in comune: della musica, in buona sostanza, non frega niente a nessuno. Si va ai concerti per moda, per noia, per aggregazione. Quasi mai per ascoltare - bene - quel che gli artisti sul palco hanno da dire. La fauna concertistica si divide in varie specie: queste.
Telefonisti. Ogni volta che l’artista attacca un brano, loro telefonano a casa. Devono assolutamente fare la radiocronaca alla fidanzata, alla mamma, al cane. “Ehi, adesso sta facendo questa!”, “Ehi, ora canta quest’altra!”. Stanno al telefono per tutto il concerto, con il risultato che nessuno – né loro, né la mamma e men che meno il cane – ascolta nulla dell’esibizione.
Coristi. Cantano sempre, ma proprio sempre. Sanno a memoria ogni brano, e anche se non lo sanno pazienza: cantano lo stesso, utilizzando un grammelot a metà tra Razzi e Dario Fo. Non stanno mai zitti, sono stonati e si piazzano puntualmente accanto a te, come quelli che – anche se il cinema è vuoto – si siedono al tuo fianco trangugiando popcorn. I coristi, e le coriste, vanno ai concerti non per ascoltare l’artista ma per ascoltarsi: potrebbero farlo anche standosene a casa, però fa meno figo.
Richiedenti. Tribù abbastanza facinorosa che si caratterizza per la continua richiesta di brani – possibilmente astrusi – durante il concerto. Se Knopfler suona Sultans of Swing, gridano “Facci The Bed´s Too Big Without You!”. Se Springsteen suona Born To Run, gridano “Facci Maria’s Bed!”. Se Povia canta “I bambini fanno ooh”, gridano “Facci Ma tu sei scemo!”. Il richiedente è così: va ai concerti per far sapere che, di quell’artista, conosce tutta la discografia. (Avvertenza 1: “The Bed’s Too Big Without You è dei Police e non di Knopfler, ma a volte i richiedenti si confondono). (Avvertenza 2: Ma tu sei scemo è effettivamente una canzone, forse autobiografica, di Povia. L’esempio è però inventato: non sono ancora stati rinvenuti fan di Povia).
Singolisti. Fazione contrapposta alla precedente, perché grida all’artista di eseguire un solo brano. E il brano richiesto non è solo uno dei più famosi, ma è pure uno dei più odiati dall’artista. Che dunque non lo suonerà mai. Capitava quando a Gaber chiedevano La libertà, capitava quando a Fossati chiedevano La mia banda suona il rock. Il singolista, poiché mai soddisfatto nel suo desiderio primario, vive in uno stato di perenne frustrazione, è sempre nervoso e – per rilassarsi – quando torna a casa ascolta Cicale di Heather Parisi su Youtube. Non senza palese soddisfazione.
Inconsolabili. Hanno aspettato una vita per ascoltare quell’artista. Sono cresciuti amando Blowin’ in The Wind e Buonanotte Fiorellino. Poi, quando finalmente gli capita di incrociare dal vivo Dylan e De Gregori, le canzoni neanche le riconoscono. Per colpa un po’ loro e molto di chi le canta. La vita, spesso, è ingiusta.
Cineasti. Riprendono tutto il concerto con il telefonino e lo postano in diretta su Facebook, su Twitter, su Youtube. Nel frattempo il concerto è finito, ma loro non se ne sono mica accorti.
Blateranti. Parlano di continuo, non del concerto ma del mondo. A volte dialogano con chi hanno accanto e più spesso da soli. Logorroici in servizio permanente, sono in grado di dissertare mezzora sulla campagna acquisti del Milan mentre Roger Waters canta Wish You Were Here. Spesso, disturbati dal frastuono, arrivano a lamentarsi perché “c’è troppo casino qua, neanche si può parlare in pace”. Di solito, a questo punto, vengono lapidati. Giustamente.
Birrai. Si piazzano accanto allo stand della birra, danno le spalle al palco e bevono. Bevono. Bevono. A concerto finito vanno con gli amici al pub. Bevono. Bevono. Bevono. E quando un amico gli chiede se il concerto è stato di loro gradimento, rispondono: “Boh. Però la birra era annacquata, cazzo”.
Limonanti. Si baciano appassionatamente per tutto il concerto, intrisi di ormoni e romanticismo, anche se nel frattempo i Nomadi stanno cantando Auschwitz. L’amore vince su tutto.
Tecnicisti. Vanno a ogni concerto, ma sono perennemente insoddisfatti. Quando è finito, con l’aria definitiva, ripetono sdegnati: “Su disco suonava molto meglio”. A chi ha l’ardire di chiedere spiegazioni, rispondono con pipponi di sei ore sul “cattivo missaggio”, “l’incerta equalizzazione” e “l’assolo del brano 7 che durava 9 secondi in meno rispetto alla versione originale”. Sono gli stessi che, quando esce un libro di 700 pagine, notano solo i refusi.
Incontinenti. Hanno fatto la fila dalla notte precedente per avere il posto in prima fila. Poi, sudati e assonnati, si allontanano un attimo per andare in bagno. E quando ritornano si ritrovano a 180 chilometri di distanza dal palco.
Conoscitori. Riconoscono i brano dopo due secondi e dicono ad alta voce i titoli delle canzoni prima degli altri, per farsi dire che sono fighi. Solo che nessuno glielo dice. Mai. E loro ci restano male. Molto. Così, quando tornano a casa, per tirarsi su ascoltano pure loro Cicale di Heather Parisi su Youtube. Con meno soddisfazione, però.
Selfisti. Si fanno i selfie, li postano su Twitter e scrivono: “Qui Vasco stava facendo Ogni volta”, “Qui Liga stava facendo Urlando contro il cielo”, “Qui Jova stava facendo L’ombelico del mondo”. Puntuale la risposta dei followers: “Tu invece, in ogni foto, facevi sempre la stessa cosa: l’ebete”.
Urlanti. Sono quelli che gridano “Wowww!” e “Yeeeeeaaah!” ogni volta che il cantante attacca un pezzo noto. Lo fanno non perché quella canzone gli piaccia, ma perché sperano di risentirsi nella registrazione live e dire agli amici: “Ehi, sentito quell’urlo? Era mio, ah ah ah”. Tu sei lì che ascolti l’Unplugged di Eric Clapton, e fino a quel momento ti eri sempre chiesto chi fosse mai quel bischero che sporcava Layla con quelle urla, e di colpo scopri che il bischero era il tuo migliore amico. Sì, la vita spesso è ingiusta.
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