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"L'ITALIA È UN PAESE DI ANALFABETI” - IL BIBLIOMANE MUGHINI: "LA DISCUSSIONE SUL REFERENDUM È SPAVENTOSA. RENZI HA COMMESSO UN ERRORE A PERSONALIZZARLO, HA COALIZZATO QUELLI CHE VOGLIONO VEDERLO TORNARE A RIGNANO SULL’ARNO. MA IO DOVREI VOTARE PER IL TRIONFO DELLA COALIZIONE ANTI RENZIANA? NON CI PENSO NEMMENO”

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Nicola Mirenzi per “www.huffingtonpost.it”

 

Strusciando le dita sui dorsi dei libri che ha accanto, Giampiero Mughini confessa di sentirsi un alieno: “L’Italia è un paese di analfabeti”, dice pensando ai titoli che sono in testa alle classifiche dei volumi più venduti. E per lui che colleziona libri in prima edizione – gli unici che sono in grado di custodire “il momento in cui quel libro e il suo autore irruppero nel mondo e lo sfidarono” – “l’analfabetismo non si misura soltanto con il numero dei libri che non vengono letti: ma anche con il tipo di libri che vengono letti”.

 

Scrittore, giornalista, colto interventista televisivo, alcune delle tracce di carta per cui Mughini stravede sono raccontate nel suo ultimo lavoro, “La stanza dei libri. Come vivere felici senza Facebook Instagram e followers” (Bompiani, 157 pagine, 14 euro). Ci sono i Quaderni Rossi, i fumetti di Hugo Pratt, i titoli dell’insurrezione femminista, moltissime gemme del futurismo, i libro d’artista di Ed Ruscha e seguaci.

 

L’Huffington Post lo incontra a Roma nella sua casa di Monteverde. Un piccolo museo. Il Mugenheim, lo chiamano i suoi amici: tra foto di Tano D’Amico, manifesti pubblicitari del primo novecento, oggetti di culto del design contemporaneo e celebrate divinità come Kate Moss.

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Mughini, il collezionista legge?

Il libro è la prima cosa a cui mi dedico al mattino. I giornali, invece, li leggo la sera. Come Riccardo Lombardi, il leader della sinistra socialista. È per questo – insinuano i maligni – che veniva sconfitto da Pietro Nenni, che invece li leggeva appena sveglio.

 

In cosa si sente battuto?

Il mondo in cui sono cresciuto, di cui mi sono nutrito, è all’epilogo. Le riviste che radunavano persone, orientamenti, progetti, idee; le riviste che ho fatto, letto e che colleziono spinto da un’ossessione incurabile, sono scomparse. E la stessa cosa sta accadendo ai giornali: il “Corriere della Sera” vende meno di 200 mila copie contro le oltre 600 mila di vent’anni fa. E, in parte, anche ai libri che non siano romanzi accessibili al grande pubblico. Sono mondi che non interessano più a nessuno. E che in me, invece, il solo sfiorarli provoca eccitazione.

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Prefigura un’apocalisse?

Ci sarà un altro mondo, un mondo che non mi appartiene. Se guardo l’esistente non riesco a non collocarmi in una posizione di sprezzante contrasto. Mi nego al mondo dei social network e sono felice: ma so che mi faccio del male. Senza Facebook, Twitter, Instagram oggi fai fatica a comunicare le cose che fai. E io che ho una certa notorietà potrei avere migliaia di followers e trarne un vantaggio promozionale. Però non me ne frega un cazzo. È più il disgusto che nutro per la civiltà del “mi piace”, che l’interesse.

 

Quando ha scoperto di odiare internet?

Con la fidanzata dei miei vent’anni ho passato più ore a spulciare in libreria che a bere aperitivi al bar – anche perché non avevamo abbastanza soldi per entrambe le attività. Ora vedo ragazzi in perenne simbiosi con il telefono. Un libro lo devi digerire. Per vomitare una cretinata online ci vuole un attimo.

 

Possibile che non ci sia nulla di buono?

Non faccio una polemica luddista. Riconosco che il web è un’invenzione formidabile. Di cui io stesso mi servo per scrivere e per comprare. Detesto l’ossessione dei social, l’immodestia di chi li frequenta, il diritto di esprimere cretinate che garantiscono.

 

C’entra la sua vecchiaia con questa ostilità?

Quando ti accorgi di avere al tuo fianco questa signora che non hai scelto, ti irrita vedere ragazzi di quattordici anni che usano il computer meglio di te. La vecchiaia è entrata nella mia vita. E non importa che io oggi sia molto più bravo di quando avevo quarant’anni. L’epoca in cui mi chiamava al telefono Indro Montanelli è finita.

 

Racconti.

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Con Paolo Mieli, Ernesto Galli della Loggia ed altri amici facevamo una rivista che si chiamava “Pagina”. Erano i primissimi anni ottanta. Destinai una lettera aperta a Montanelli, quando Montanelli era considerato poco meno che un fascista. C’era scritto: “Caro Indro, per noi che veniamo dalla sinistra, le cose che sostieni sono sbagliate. Eppure riconosciamo in te un protagonista assoluto della vita pubblica italiana. Possiamo essere in disaccordo, ma quando vediamo un tuo articolo lo leggiamo sino alla fine”. Era una cosa talmente nuova nel clima di allora che mi chiamò e mi invitò a collaborare al “Giornale” con una rubrica da titolo inequivocabile: L’invitato, a specificare che non ero uno dei loro.

 

Glielo rimproverarono?

Una mia amica mi domandò: “Cosa si prova a scrivere su un giornale fascista?”. Avrei dovuta prenderla a calci in culo.

Poi, però, Montanelli comincia ad andare di moda anche a sinistra.

Quando Montanelli rompe con Silvio Berlusconi improvvisamente si trasforma in un compagno. Lo invitano alla festa dell’Unità. Lo accolgono come uno dei loro. A noi invece Indro Montanelli piaceva già allora: ma per quello che era. Lui da una parte. Noi dall’altra.

 

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Dalla vostra parte, c’erano anche degli assassini.

Con uno di quei futuri terroristi ho giocato a ping pong. Un altro era abbonato alla mia rivista, “Giovane critica”. Un altro ancora era il fratello di una ragazza con cui ho avuto una storia. Erano in mezzo a noi. Hanno letto gli stessi libri che ho letto io. Si sono abbeverati alle idee a cui mi sono abbeverato io. Per questo li odio con più forza.

C’è stato un momento in cui poteva diventare uno di loro?

Mai e poi mai ho pensato che si potesse muovere anche solo un dito contro l’avversario. Pensavo che l’opposizione dovesse essere radicale, ma non che si dovesse aizzare la guerra civile tra fascisti e anti fascisti. Quando tutto è finito, e quando alcuni di loro si sono pentiti delle cose terribili che hanno fatto, mi è capitato di riabbracciarli. Siamo tutti dei reduci.

 

Non molti quando la vedono in televisione conoscono il Mughini che c’è dietro il personaggio.

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La televisione popolare, che è la sola che a me interessi, ha danneggiato i miei libri. Ma mi è piaciuto farla. Amo rivolgermi a tutti gli italiani, con un linguaggio svelto e in modo da farmi capire: è una cosa che mi ha sedotto dalla prima volta in cui ho messo piede in uno studio televisivo.

Quando è successo?

A “Ieri, oggi, domani”, nell’autunno del 1987, mi propongono di fare coppia fissa con Loretta Goggi, una gran diva televisiva. Dovevo fare la parte di me stesso, cioè dell’intellettuale che si tuffa in mezzo a cantanti, comici, ballerine. Non c’entravo nulla con loro, ma mi affascinava moltissimo e ho imparato moltissimo.

 

Ha pensato al pericolo di rimanere imprigionato nell’immagine televisiva?

No, ho pensato se sarei stato capace di fare quelle cose lì. Tutti quelli che mi hanno criticato per la mia presenza in tv avrebbero dato via le sorelle per stare al mio posto. Glielo assicuro. Succede ancora oggi. Vado ogni lunedì sera a chiacchierare con intelligenza di calcio, lo sport più importante d’Italia, ma che non è solo un sport: è identità nazionale, costume, una forma di cultura. So benissimo che la pago, che i tanti che in una libreria non hanno mai messo piede pensano che io per professione mi occupi di sport. Detto questo, me ne strafotto delle idee che si fanno: darebbero qualsiasi cosa per stare al mio posto. E siccome non ci stanno, alzano il ditino. È questo che mi ha veramente danneggiato: l’invidia.

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Anche Berlusconi diceva che l’origine delle critiche a lui rivolte era da ricercare in questo sentimento triste.

Per fortuna, l’epoca del berlusconismo e dell’anti berlusconismo è stata superata da Matteo Renzi.

A lui rimproverano di non aver letto nemmeno un millesimo dei libri che lei ha in casa.

Non credo che la forza di Renzi stia nei libri che ha letto o non ha letto. La forza di Renzi è nell’avere un piglio e un’energia che la sinistra non aveva da anni. Poi, è vero: si è innamorato troppo di se stesso e di quelli che lo circondano ossequenti.

E la riforma costituzionale?

Renzi ha sbagliato a puntare tutto su una riforma pasticciata. Ha commesso un errore a dire che bisogna stare o con lui o contro di lui. Così ha coalizzato quelli che vogliono vederlo tornare a Rignano sull’Arno. Ma se così stanno le cose, io dovrei andare a votare per il trionfo della coalizione anti renziana? Non ci penso nemmeno.

Che discussione è quella che stiamo facendo sul referendum?

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È spaventosa. Il livello della lotta politica e il suo linguaggio sono quanto di più vicino ci sia alla barbarie.

 

C’entra un’incultura delle classi dirigenti?

Walter Veltroni avrebbe potuto accusare Renzi di non leggere i libri, perché lui i libri li legge. Non certo Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giorgia Meloni. Questa classe politica si regge sul fatto che gli italiani sono diventati un popolo di analfabeti. E il guaio è che l’Italia non è sola in questa deriva. In Francia il leader che conquisterà il maggior numero di consensi rischia di essere Marine Le Pen. E in America – nell’America che amavamo tanto – corre come candidato presidente uno che persino qui da noi fa sensazione per quanto è zoticone.

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