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E alla fine, anche "Cosi' fan tutte", terza opera della trilogia di Da Ponte e Mozart diventa un attacco all’Italia razzista. A sferrarlo è il francesissimo festival di Aix-en-Provence che ha affidato la messa in scena dell’opera di Mozart a Christophe Honoré, regista (al solito) dichiaratamente gay e autore di vari romanzi sul suicidio, l’incesto, l’omosessualità, l’Aids e via dicendo.
Pronti via si apre la scena e, anziché Mozart, la prima musica che uno ascolta è la canzone “The Gold in Africa” una ballata di Neville Marcano, detto “The Tiger” o “The Growling Tiger of Calypso” (nato a Diego Martin, Trinidad, nel 1916). “The Gold in Africa”, registrata a New York il 2 aprile 1936 (circa un mese prima dell'entrata di Badoglio a Addis Abeba e della “proclamazione dell'Impero” da parte di Mussolini) è un brano contro il dominio fascista in Etiopia, il contraltare di “Faccetta Nera”.
Mussolini è la “Bestia dell'Apocalisse” e il testo della canzone è pervaso da sarcasmo che individua il vero motivo della guerra colonialista: il denaro e l'avidità. “L'oro dell'Africa” deve essere depredato e i due predatori dell'Etiopia sono il maresciallo Badoglio e il “macellaio” Graziani. La chiusa del brano dice: se Mussolini vuole oro, oro e oro, perché non va a prenderselo in Canada o in America? Mentre viene eseguito il brano, due donne di colore danzano come schiave sul palco.
Cosa c’entri tutto questo con “Così fan tutte” è più difficile da spiegare che scalare l’Everest. Come si sa, infatti, “Così fan tutte” racconta uno scambio di coppia con ritorno felice, il tutto fatto per scommessa di un filosofo (si fa per dire) manco a dirlo napoletano. Ma la regia dell’opera lirica ha da tempo aperto le cateratte dell’ermeneutica e, dunque, chi più lontano va (dal testo) meglio è accetto. E così, bisogna passare per i canti d’Africa contro l’Italia razzista prima che la Freiburg Baroque Orchestra possa attaccare con le note del divino musicista di Salisburgo.
Ovviamente, sommando misoginia a razzismo, mutano anche i personaggi dell’opera: i due soldati albanesi amanti delle sorelle Dorabella e Fiordiligi diventano due dubat, ovvero due “arditi neri” componenti di truppe irregolari, impiegate nel Regio Corpo Truppe Coloniali italiane dal 1924 al 1941.
Ovviamente appaiono come due di colore e così quando Don Alonso afferma “entro domani sarete miei schiavi” tutto assume una connotazione più evidente. Stessa cosa il richiama delle due sorelle a far l’amore con dei neri. Poi c’è lo schiavo che lava i piedi e tutto il bagaglio razzista dispiegato.
Naturalmente, secondo gli organizzatori questa messa in scena offre una “riflessione interrazziale”. Sarà.
Di fatto, dopo che si compose il “Così fan tutte” l’imperatore d’Austria dovette chiudere il Teatro degli italiani perché le finanze erano prosciugate dalla guerra contro i turchi, che insidiavano nuovamente l’impero di Vienna risalendo dai Balcani. Ovvero, i musulmani costrinsero a un cambiamento di abitudini. In America a cercare l’oro ci finì il povero Da Ponte che, cacciato da Vienna e da Londra, perseguitato dai creditori, fuggì a Filadelfia dove fece il droghiere.
Il povero Mozart morì di lì a poco ovviamente senza aver conosciuto Mussolini e la Guerra di Abissinia. Con gli italiani si trovava bene e anche con le cantanti italiane, che strappava a Salieri. Se poi uno, sulla base delle considerazioni di Edward Said, vuol sostenere che la cultura europea dell’epoca non era innocente faccia pure.
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