LA LEZIONE DI “DIVORZIO ALL’ITALIANA” - LA MUTAZIONE DEI COSTUMI NON È MAI IDEOLOGICA; ED È SEMPRE LA PARTE PIÙ RETRIVA DELLA SOCIETÀ A PRENDERSI CARICO DELLE TRASFORMAZIONI

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Pietrangelo Buttafuoco per La Repubblica

Il progresso non è mai progressista. E il sentimento di giustizia arriva sempre a cose fatte. Ricordate? La banda musicale intona la solenne marcia funebre. La ditta Lucenti cura le onoranze. La scena è in bianco e nero, la firma è di Pietro Germi. È il desiderio che apre la strada al diritto. C'è il barone Cefalù che cerca di baciare e stringere a sé la sedicenne Angela. Lui è Marcello Mastroianni, lei è Stefania Sandrelli. La folla dei condolenti, però, non glielo consente.

Tutti, infatti, abbracciano la ragazza che sta piangendo il padre morto. Il poveretto - ma nessuno lo sa - è schiattato per aver casualmente scoperto la tresca tra la figlia e, appunto, Fefè: il barone che è anche cugino, e sposato, e non sa più cosa architettare per liberarsi della moglie e poter amare per sempre - nel segno del diritto alla felicità - Angela. È l'Italia di cinquant'anni fa. Non c'è la legge, non ci si può separare, e Fefè Cefalù architetta un "divorzio all'italiana", ossia un divorzio che passa attraverso la necessità di diventare cornuto, ammazzare la propria moglie e portarsi finalmente a letto Angela.

Ogni emancipazione cammina sulle gambe di un arbitrio. Forse è una cinica suggestione ma Pietro Germi, autore di Divorzio all'italiana (premio Oscar 1963, migliore sceneggiatura), nel fasto di un erotismo che entusiasma tutti, lascia in eredità un contravveleno: è sempre la parte più retriva della società a prendersi carico delle trasformazioni. All'Italia di oggi, che a Ispica, la città siciliana dove venne girato il film, ne festeggia il cinquantenario, il mai invecchiato film di Germi rivela il cortocircuito di una malattia tutta nostrana: quella delle conquiste civili, appunto, "all'italiana".

A partire da stasera, con uno spettacolo teatrale in piazza di Ruben Ricca, con mostre e altri divertimenti nei giorni a seguire dell'estate iblea, Ispica si farà dunque carico di un'allegoria che riguarda tutti noi. L'egoismo sociale, nella patria di Nicolò Machiavelli, fa da detonatore e sono sempre i nemici della rivoluzione a mettere in pratica la sovversione. Il cambiamento radicale non ha ideali che gli corrispondano.

E a scardinare la sacralità del matrimonio è un parassita impomatato come il barone, mentre nella sezione del Pci i compagni, chiamati ad «affrontare il secolare problema dell'emancipazione della donna, così com'è stato affrontato dai nostri confratelli cinesi», interrogati a proposito della baronessa Cefalù, scappata di casa per affermare il proprio diritto alla felicità, ad una sola voce sentenziano: «Bottana è!». La mutazione dei costumi non è mai ideologica; e la chiave del grottesco è immediata, perché il desiderio diventa diritto nel porco comodo.

Certo, è solo un film; ma nel caso del barone Cefalù questa formula riduttiva non si può usare, perché proprio sul tema del divorzio, in occasione del referendum del 1974, si costituì in Italia il primo tentativo di blocco moderato: la Dc, la destra missina e la Chiesa. Per la prima volta, poi, due diverse opposte idee dell'Italia, quella progressista e quella conservatrice, si affrontarono su un fatto "sacro".

Non fu ideologia. Fu l'Italia del tagliare corto. «Se non la facciamo noi, la rivoluzione, finirà che la faranno loro», spiega Tancredi al suo zione, nel Gattopardo. Per concludere: «E la faranno contro di noi».

Il feudalesimo, dunque, non si abroga senza il permesso del principe Salina. L'Italia dei Savoia arriva a Napoli trasformando in delegati di polizia i camorristi; e il trasformismo, in fondo, è un escamotage che la sinistra storica ebbe il genio d'inventare per mettere a dimora i bollenti spiriti, tutta una scaltrezza della politica, tutto un allearsi con il diavolo per tener buoni gli angeli che in materia di etica non fanno che prendere scorciatoie.

E non è l'ipocrisia a muovere le faglie della rigidità conservatrice. Non, dunque, la botola logora del vizio privato in pubblica virtù. Piuttosto un istinto di sopravvivenza fatto di volta in volta di aggiustamenti del profilo socio-culturale, perché la secolarizzazione è solo un stratagemma perfino inconscio di ribaltamento dei valori; altrimenti i neo-conservatori non se ne starebbero davanti alle moschee per strappare i veli e accorciare le gonne alle ragazze.

All'italiana, dunque. Il divorzio. Grazie a quei fotogrammi - nella cornice di una Sicilia più ricca e più culturalmente interessante rispetto alla pozza di noia e deserto qual è oggi, devastata dal potere - il desiderio tutto erotico del barone Cefalù va incontro a una modernità fatta pure di microfoni nascosti e di macchinosi processi, per fabbricare il diritto alla felicità. Anche al prezzo del "piedino" - quello che Angela, nell'ultima e perfida scena, farà al marinaio mentre bacia Fefè, finalmente tutto suo.

 

Pietrangelo Buttafuoco PIETRO GERMIMATRIMONI E DIVORZIsandrelli mastroianni il Gattopardo