
FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI…
1- MULLER TROMBATO?
Michele Anselmi per "il Riformista"
A occhio non è una strada comodamente in discesa quella che dovrebbe portare Marco Müller a pilotare il Festival del cinema di Roma e non solo. Mentre il nuovo Doge veneziano, quel Paolo Baratta appena riconfermato presidente della Biennale dal ministro Ornaghi, ha chiuso in un sol giorno la partita, rimettendo Alberto Barbera alla guida della Mostra del cinema, nella capitale tutto si sta complicando per il direttore sinologo che pensava di approdare all'Auditorium (e non solo) tra squilli di tromba.
à la trombatura, invece, ad essere nell'aria. Troppo disinvolto nel proporsi quale specialista insuperabile, il 58enne Müller è finito in un tritacarne mediatico-politico che rischia di sminuzzare le sue pur note capacità di mediazione e riposizionamento.
Magari urge breve riassunto. Fino ai primi di novembre, ancora regnante ai Beni culturali quel pasticcione di Galan, Müller era avviato a luminosa riconferma al Lido. Ma la crisi di governo ha rimescolato le carte d'improvviso, riportando in auge proprio Baratta, l'uomo che Galan voleva sostituire col pubblicitario berlusconiano Malgara. A quel punto, essendo ormai compromessi i rapporti personali, il presidente ha silurato Müller, il quale di colpo s'è trovato senza sponsor: in laguna e al ministero. Come uscirne?
Il direttore un tempo di ultra sinistra, tanto da firmare irresponsabili petizioni in favore del terrorista Cesare Battisti, ha pensato bene di rivolgersi ai nuovi amici del centrodestra. Da un lato, l'ex ministro Urbani, molto ben introdotto a Mosca, ha mobilitato le conoscenze presso il partito di Putin, Russia Unita, per favorire l'approdo di Müller al festival di San Pietroburgo; dall'altro, la governatrice Polverini e il sindaco Alemanno hanno pensato bene di proporre all'arci-nemico storico del Festival di Roma proprio la direzione della kermesse capitolina.
Senza però misurarsi con chi, per statuto, dovrebbe varare quella nomina, cioè il cda della Fondazione Cinema per Roma, presieduto dal venerabile Gian Luigi Rondi, che solo in queste ore, per evitare nuove tensioni, sarà sentito dal maldestro sindaco: a cose praticamente fatte.
Così torniamo all'oggi. Il ragguardevole pastrocchio, a base di smarronate istituzionali e incontri segreti subito resi noti alla stampa, ha spinto l'ineffabile duo a spiegare goffamente che niente è stato deciso, che è solo un'ipotesi in campo, che si confronteranno con tutti pur essendo Müller un campione indiscutibile. Solo che nel frattempo la questione, dai tratti pure meschinelli nelle esternazioni dei gregari, è diventata tutta politica.
Leggere, per credere, le due pepate interviste rilasciate dal presidente della Provincia Nicola Zingaretti al "Messaggero" e dall'ex assessore Umberto Croppi al "Tempo". Nella prima: «Non credo che il futuro di un evento culturale così importante possa essere discusso a colpi di maggioranza o, peggio, colpi di mano... Esiste il rischio di un gigantesco pantano... Non mi si prenda per un esagitato se pretendo chiarimenti sulle intenzioni di un aspirante direttore che fino a ieri ha sparato, da Venezia, su Roma».
Nella seconda: «Immaginando una figura di direttore, che peraltro ha persino già annunciato un suo piano, il sindaco e la governatrice contrastano con lo statuto del Festival e con la logica: perché è il presidente che fa prima il piano e lo sottopone ai soci, poi nomina il direttore che viene scelto in funzione del piano».
Pare difficile, a questo punto, che a gennaio il cda ratifichi obbediente la decisione presa dalla coppia Polverini & Alemanno senza consultare nessuno, peraltro offendendo tutti: il presidente Rondi, il cui mandato scade a giugno; la direttrice Piera Detassis, il cui mandato scade il 31 dicembre; alcuni dei consiglieri, incluso quel Michele Lo Foco, in quota Comune, quindi "Aledanno" per dirla con Dagospia, che s'è già espresso contro la nomina di Müller.
Un bel casino, no? A dimostrazione che la politica, quando pretende di by-passare le regole e quel minimo di buona educazione, finisce col fare guai enormi: sia a destra, sia a sinistra. Non bastasse, mentre le cronache mondane cianciano di un Müller «invitato dallo chef Filippo La Mantia a visitare il ristorante dell'hotel Majestic per ambientarsi nella capitale, in compagnia del press-agent Saverio Ferragina», perfino "il manifesto", per la firma di Roberto Silvestri, attacca. Stupendosi che Muller «scenda (forse) al sud, nella Roma che tanto sbeffeggiò in questi anni, forte dello stile diplomatico, striato di arroganza, che lo impose al Lido e va ancora forte nell'Urbe». Accidenti!
2- IL FESTIVAL SECONDO MÃLLER "DA CINECITTÃ A MASSENZIO CINEMA PER OGNI SPETTATORE"
Francesca Giuliani per La Repubblica-Roma
«All´inizio ci sono rimasto male, mi sono sentito ferito. Poi ho pensato: non sarò certo io "Brenno, il nemico di Roma", io che qui sono nato e cresciuto»: ripescando, da puro cinéphile, un film di genere degli anni Sessanta, Marco Müller, classe 1953, replica alle parole di Nicola Zingaretti, sminuisce le polemiche che si sono subito accese intorno al suo nome quando è saltato fuori per la direzione artistica del Festival internazionale del Film. Lascia Venezia, Müller e approda (ormai quasi certamente) a Roma: è un gioco, perché i giochi tecnicamente sono ancora da fare, le nomine di là da venire, i colloqui soltanto preventivi ma viene voglia di domandargli...
Müller che festival porterà a Roma?
«L´idea di fondo sarebbe reinventare, senza partiti presi, il Festival di Roma. Ma per ora ho avuto soltanto degli incontri benché molto interessanti».
"Reinventare" non vorrà dire trasformare tanto da rendere irriconoscibile un festival che ha ormai una sua storia e identità ?
«Io credo nella necessità di una gestione permanente, di un festival che non si limiti a quel periodo dell´anno, a certi momenti. Mi affascina l´idea di mettere mano a degli spazi concreti di laboratorio, di proiezione, con la possibilità di lavorare sul cinema italiano ma sempre in relazione con i vari partner internazionali».
In concreto?
«In concreto, per esempio parlando con Luigi Abete in qualità di presidente di Cinecittà studios, gli ho chiesto di trovare uno spazio lì a Cinecittà per rivendicare quella parte di storia della città e che quella importante vita cinematografica di Roma sia rilanciata: anche da lì si possono liberare forze nuove».
Se dovesse dire un modello per il Festival di Roma?
«Se Barbera rivendica per Venezia il modello Cannes, io rivendico per Roma il modello Sundance. E non mi riferisco solo al festival fondato da Robert Redford ma anche a tutto quello che di laboratorio e sperimentazione gli ruota intorno nel corso dell´anno. A quel punto Roma potrebbe diventare un unicum nazionale, un modello europeo».
Alla comparsa del suo nome molti, si sono indignati per via di quelle sue dichiarazioni in favore di Venezia versus Roma. Che ne dice, oggi?
«Dico che soltanto una volta ho detto qualcosa del genere: era il 2006. Forse è stato equivocato, forse detto male da me. Comunque, mi riferivo al fatto che in Italia non ci possa essere un festival in grado di competere con Venezia».
Che fa, ribadisce?
«Al contrario: dico che Roma deve rafforzare il proprio presente, rilanciare la propria storia di capitale del cinema. Penso, per esempio, a riportare certe proiezioni in quelle parti di città storica dove le portò Renato Nicolini negli anni Settanta. Penso a Massenzio. Immagino un festival che duri tutto l´anno e sconfini fra i generi, si avventuri nel digitale, nell´elettronica, che si espanda in spazi diversi, andando oltre l´Auditorium o il Maxxi e legando tanti piccoli eventi nel corso dell´anno a una serie di macro-eventi che provino a dare conto di tutto ciò che fa il cinema oggi. Tutto questo anche raccordando fra loro i tanti piccoli festival del film romani disseminati nel corso dell´anno».
Gli addetti ai lavori si sono detti entusiasti quasi all´unanimità della sua nomina («à il numero uno»); la sinistra capitolina obietta che lei arriverebbe qui portato dalla "peggiore destra". Riuscirà a tenersi fuori da certa politica, diciamo, "minima" che a momenti dilania Roma?
«Il dibattito dev´essere sulla bontà dei progetti, sulla possibilità di uno sguardo attento, vigile, appassionato, entusiasta. In modo da offrire nuovi spazi di visione».
Dopo otto anni, potrebbe dire una "lezione" di Venezia da portare a Roma?
«Senz´altro la grande attenzione da prestare alla qualità dei servizi, alla politica dei prezzi e dei costi per chi porta i film al festival. Molte cose a Venezia sono difficilissime. A Roma si dovrà creare un insieme di eventi aperti: a chi fa cinema e a chi va a vederlo. In una metropoli giovane e moderna sarà più facile».
Il suo Festival avrà un pubblico di riferimento privilegiato?
«Il pubblico non esiste: esistono gruppi di spettatori caratterizzati da un tipo di consumo culturale. Nessun gruppo di spettatori dev´essere trascurato».
3- ZINGARETTI-POLVERINI "NOMINA A GENNAIO" IL PD: "TRASPARENZA"
Dopo il fuoco di fila dei giorni scorsi sulle nomine al Festival del Film, il presidente della Provincia Zingaretti e la presidente della Regione Polverini si sono parlati, dandosi appuntamento ai primi di gennaio per trovare un accordo sulla direzione artistica e sulle altre cariche in scadenza.
Dopo le dichiarazioni di Zingaretti sull´eventuale arrivo di Müller, definito dal presidente della provincia "nemico di Roma", la polemica prosegue, in particolare da parte del Pd che sollecita «procedure trasparenti» per le nomine e appare nell´insieme favorevole a una riconferma dell´attuale direttore, Piera Detassis. «Fare la guerra a Müller aprioristicamente è una follia: si tratta di uno dei professionisti più accreditati del mondo e non è affatto un uomo di destra», ha commentato il sindaco Alemanno che domani incontra il presidente Rondi (in carica fino a giugno) e a seguire i soci fondatori.
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