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Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Sarà che è un Natale dall’aria pericolosamente talebana, con i salutisti illiberali dell’Eurosoviet scatenati su quel che fa male, quel che fa peggio, quel che va proibito, e intanto loro incassano accise su accise imposta su imposta; sarà che più un ministro della Salute è incapace più la butta sulla repressione e sul terrore, certo è che vi consiglio lettura ispirata dell’Annuario dei Vini italiani di Luca Maroni, appena uscito in edizione del 2016.
Il volume è corpulento e richiede attenzione di lettura, ma ne esiste una versione tascabile per chi abbia voglia di scegliersi rapidamente i vini più buoni e meno inspiegabilmente cari; per chi, come fa Luca Maroni da stregone non più apprendista ma laureato, abbia come criterio guida la piacevolezza dell’assaggio e della degustazione, il culto per un prodotto d’eccellenza italiano, per le aziende grandi e piccole purché appassionate, che studiano, innovano, rischiano, fanno realizzare vetri e tappi rivoluzionari, etichette raffinate d’arte.
LUCA MARONI CON GIDEON E ARIRA MEIR
Alla faccia dei proibizionisti, quelli che, non paghi di piazzare immagini truculente sui pacchetti di sigarette, progettano bottiglie di vino senza etichetta, cioccolatini senza marca, patatine anonime, e ti saluto diritto d’autore, merito, concorrenza, qualità. Non sto delirando: nelle stanze dei ministeri, nelle sorde e grigie aule di Bruxelles ci pensano veramente a spendere meno nella tutela della salute non eliminando sprechi e ruberie, non finanziando la ricerca, ma togliendoci ogni piacere, e sono incapaci di dare ai cittadini una educazione civica a cui possa seguire libera scelta e consumo consapevole.
Luca Maroni non lo sa, a lui importa solo aiutare chi lo fa a fare vino buono e chi lo beve a bere vino buono, ma oggi lo nomino eroe dell’antiproibizionismo e dell’Italia che non si rassegna all’omologazione della troika. 7892 vini, 1307 aziende, 31.568 valutazioni de gustative, e un curriculum strepitoso e raro, fatto di apprendistato con il maestro Veronelli, la voce per la Treccani, la struttura chimica della piacevolezza del vino sintetizzata in una formula, 300 mila vini degustati senza mai perdere la lucidità e la passione, descritto come un paesaggio o una donna amati, la casa editrice sua, perché fa tutto da solo, anzi fa tutto con quel genio di sua sorella Francesca, e gira come una trottola a fare da consulente non più solo in Italia.
A un certo punto scopre la storia del vigneto di Leonardo nella Casa degli Atellani a Milano, un regalo di Ludovico il Moro, e non si dà pace finché non lo riporta in vita; scava, trova quel che ne resta dopo un incendio, recupera il dna, lo reimpianta, e intanto si innamora dello spirito del genio toscano, e scrive un libro “Milano è la vigna di Leonardo” in cui compone il vocabolario di Leonardo da Vinci, circa 10.000 termini annotati a mano nei suoi codici, un lavoro mai fatto prima.
Può uno così essere una star in tv nell’epoca della divulgazione coatta di cuochi che non sanno cucinare e food blogger che non sanno scrivere? Certo che no, troppo colto, competente, geniale, elegante, con l’aria da hidalgo caduto su Roma. Va detto che lui se ne infischia e preferisce tirare dritto nella sua mission.
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