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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
Matteo Persivale per il "Correire della Sera"
Non è semplicissimo sedersi al tavolo con un interlocutore che avrà anche come motto aziendale non ufficiale «non essere malvagio» ma ha un fatturato 2013 di 42,62 miliardi di euro contro i 36,96 del 2012. Perché Google non sarà anche «evil», come ammoniscono i suoi fondatori, ma certo ha una spaventosa forza se finisce a fare braccio di ferro. Ultimo esempio, rivelato ieri dal Financial Times in prima pagina: YouTube e le trattative sulle royalties per i video mandati in streaming dal sito.
Il nocciolo della questione: YouTube Music Pass — che sarà concorrente per esempio di Spotify — è un servizio che verrà lanciato entro la fine dell’estate, nel quale non ci sarà soltanto il classico streaming di YouTube ma anche la facoltà di scaricare video da guardare anche quando non si è connessi.
Ora Google, proprietario di YouTube, sta trattando con le case discografiche e si trova davanti a un gruppo di cosiddetti «refusenik». Etichette più o meno indipendenti che non gradiscono le condizioni offerte e rischiano di finire tagliate fuori dagli accordi per le licenze.
Robert Kyncl, capo delle operazioni di YouTube per i contenuti, ha detto al quotidiano britannico che le tre major Universal, Sony e Warner hanno già firmato. Ma circa il 10 per cento dell’industria discografica al momento è fuori dagli accordi. E finirebbe scollegata.
Tra questo dieci per cento di «refusenik» ci sono le case che pubblicano artisti del calibro di Adele, Radiohead, Sigur Ros, Jack White, Vampire Weekend e Arctic Monkeys.
Billy Bragg, il pasdaran del folk, uno che nelle canzoni di protesta si trova perfettamente a suo agio, qualche settimana fa durante le prime avvisaglie di questo scontro commerciale ha ammonito YouTube che «rischia di lanciare un servizio privo del valore innovativo e di creatività che viene sempre portato dagli artisti indipendenti». Ma dall’altra parte è evidente che artisti già per definizione di nicchia (il successo-monstre dei Radiohead ai tempi di «OK Computer» negli anni 90 è ormai solo un nostalgico ricordo) corrono il rischio concreto di perdere un treno molto utile, e di finire per abitare una nicchia sempre più angusta.
Ovviamente non è soltanto un problema per chi tratta con Google. Un altro gigante, Amazon, è al momento impelagato in una querelle con l’editore Hachette del gruppo francese Lagardère. I media americani inglesi hanno accusato l’azienda di Jeff Bezos di ostacolare, interrompere o quantomeno rendere più difficoltose, come minimo di disincentivare fortemente vendite e prevendite di alcuni libri Hachette.
Come mai? Hachette non è d’accordo con la strategia di sconti a oltranza (in questo caso per quanto riguarda gli ebook) sulla quale Amazon ha basato buona parte della sua ascesa. Ecco così che l’ultimo romanzo di J. K. Rowling (sotto pseudonimo: Robert Galbraith), il giallo «Il baco da seta», e altri libri di autori di serie A come Michael Connelly, James Patterson, Nicholas Sparks sono apparsi come non disponibili o in ritardo su Amazon.
Il comico Stephen Colbert che l’anno prossimo rimpiazzerà David Letterman è anche autore di best-seller umoristici: nel suo programma ha reso popolare l’adesivo «Non ho comprato questo libro su Amazon» da applicare sui libri, diffonde in modo virale su Twitter l’hashtag #CutDownTheAmazon e ha trasformato in uno dei video più visti di questi giorni quello di un doppio dito medio che sbuca dal famoso cartone dei pacchetti di Amazon.
MAGAZZINO AMAZON IN INGHILTERRA
Ma quando le gag finiscono, resta il problema di fondo che si ripresenta ogni volta che qualcuno deve trattare sul prezzo con Google, Amazon o altri simili colossi: il successo ha dato loro un potere se non monopolistico sicuramente schiacciante. E a chi non è d’accordo resta poco altro da fare che riderci sopra, o al limite togliersi la briga di fare un gestaccio: perché il potere contrattuale di Google, o Amazon, è semplicemente troppo forte per ottenere di più.
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