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Lo Hobbit: La desolazione di Smaug di Peter Jackson
Altro che i cornetti rossi antisfiga di Christian Se Sica, la zazzera di Francesco Mandelli, gli arti finti di Raoul Bova, il canino di Panariello, gli occhioni roteanti di Diego Abatantuono e le sue imitazioni di Giginho do Brasil, le mosse da giaguara renziana di Claudia Gerini, le botte in testa che prendono tutti, da Claudio Bisio a Luca e Paolo, gli sponsor dei salami, delle banche vicentine.
Altro che le primarie del PD e il trionfo la desolazione di D'Alema per la vittoria di Renzi. No, la tribù variopinta e multidialettale del cinema comicarolo italiano e della nostra politica renziana nulla potrà contro il dragone Smaug, il suo alitaccio di fuoco e la sua dotta pronuncia ("I'm the Fire, I'm the Death!"). Perché questo "Lo Hobbit: La desolazione di Smaug" di Peter Jackson è un capolavoro che farà impazzire non solo i tolkeniani di stretta osservanza, ma tutto il pubblico natalizio.
Davvero nessuno ha il senso dell'avventura e del fantastico come Peter Jackson, sembra di vedere un vecchio film di Riccardo Freda o di Mario Bava. Perfino i suoi orchi sono qui dei cattivi perfetti che ci riportano ai suoi primi eccessi trash come "Bad Taste". Ma è il dragone Smaug, doppiato nell'edizione originale da Benedict Cumberbacht, che sorveglia il tesoro dei nani esattamente come in una storia di Paperon De Paperoni, la carta vincente del film. Incredibile scoperta che appare solo negli ultimi trenta minuti, ma domina l'intera vicenda, perché è talmente bello e impressionante che scordiamo pure il geniale Gollum.
Del resto, questo è l'unico film della saga tolkeniana che non lo vede tra i protagonisti. Certo, quando siamo arrivati alla scena clou del film, cioè l'incontro tra Bilbo Baggins e il dragone Smaug che protegge il tesoro dei nani, abbiamo già visto due ore e passa di una serie di avventure incredibili. Perché stavolta non c'è nulla da spiegare. C'è solo un viaggio, quello dei tredici nani verso la Montagna Silenziosa e una serie di assurdi incontri che fanno.
Ma non solo ogni incontro è magistralmente costruito dentro altre avventure, ma Jackson riesce a tenere in piedi da metà film tre situazioni diverse di racconto senza perdere tensione. Una vede Gandalf che affronta direttamente le forze del male, Azog, il diavolaccio Sauron e un esercito di orchi. Un'altra segue i tre nani che sono rimasti nella città degli uomini a casa di Bard, il nuovo venuto Luke Evans, l'unico che possiede la freccia nera in grado di uccidere il drago con una balestra nanica, perché uno di loro, Kili, Aidan Turner, il solo nano bello è ferito mortalmente e l'elfo silvano Tauriel, l'incantevole Evangeline Lilly, si è un po' innamorata.
La terza situazione vede il gruppone dei nani, comandato da Thorin, Richard Armitage, che entrano nella Montagna Silenziosa dove Bilbo cercherà di arraffare la pietra magica Arkenstone, la sola cosa in grado di rendere a Thorin il suo regno. Solo che lì incontrerà Smaug. Tutto questo complesso intreccio è costruito da Peter Jackson con una grande intelligenza, anche perché ha delle situazioni così forti che potrebbero ostruire l'intensità della narrazione invece che svilupparla linearmente.
Ovvio che nella terza e ultima parte della trilogia, "The Hobbit: There and Back Again", tutto questo troverà una fine, ma è proprio questo cuore pulsante dell'avventura e della messa in scena di Peter Jackson che ci appare come un totale divertimento e un trionfo di intelligenza di messa in scena.
E non c'entrano nulla o quasi i 200 milioni di dollari di budget. In questo gioco Jackson torna all'avventuroso degli anni '60, ai maestri Freda e Bava, appunto. Ma tutto il film è costruito per grandi scene d'avventura, come fossero film a parte. C'è la lotta contro i ragni giganti e affamati di umani, quella è molto baviana, e la cosa più divertente non sono gli effetti speciali, ma il fatto che Bilbo riesca a sentirli parlare e litigare fra loro ("Fame, fame, festa, festa. Un assaggino!").
C'è una meravigliosa fuga per fiume dalla città degli Elfi, con i nani dentro tredici botti di vino inseguiti dagli orchi e salvati da Tauriel e dal mitico Legolas di Orlando Bloom, che salta come un grillo e tira frecce ovunque. L'idea dei nani nella botte è una delle cose migliori del film. E poi c'è Smaug, e l'idea della "desolazione di Smaug", che racchiude sia la tristezza della guerra precedente e dei suoi danni che la solitudine dello stesso dragone a guardia di un tesoro che non può che portare alla rovina chi lo possieda.
Altro che Berlusconi e i 90 milioni di euro che De Benedetti gli ha chiesto ancora per il Lodo Mondadori... Andrebbe visto in edizione originale, perché questi attori inglesi sono una meraviglia, ma anche in 3D e in HFR, cioè a 48 frame al secondo. A Roma non c'è possibilità , Si deve scegliere se vederlo in 3D HFR o in edizione originale in 2D. Peccato.
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