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Katia Ippaso per "il Messaggero"
«Mia madre mi ha sempre raccontato che il 19 aprile 1951 a mezzanotte, mentre io venivo al mondo, nella casa a fianco alla nostra, don Gennaro, appassionato di lirica, stava cantando: Vincerò... vincerò..., la celeberrima romanza tratta dalla Turandot di Giacomo Puccini. Quella romanza è diventata il mio segno musicale e, sicuramente, ha lasciato una traccia su di me».
Nel giorno del suo 70esimo compleanno, Marisa Laurito sfoglia con noi le pagine del libro che ha appena dato alle stampe, Una vita scapricciata (Rizzoli): un carosello di figure magiche, di aiutanti (e pure qualche oppositore) che hanno contribuito a rendere stupefacente ogni rito di passaggio, ogni capitolo della sua esistenza, che ha conosciuto il bisogno e la lotta, ma mai la resa: «Tento di fare onore alla vita da quando mi sveglio al mattino a quando mi addormento la sera».
Perché dietro questa donna che ama i colori accesi (molto divertente il racconto che dedica a un pranzo con Renzo Arbore a casa degli Agnelli, quando la giovane Laurito si presentò nel tempio dell' austera eleganza avvolta in una vistosa camicetta di seta fucsia, arrivando poi a scambiare un brodo di tartaruga per una tazzina di caffè), dietro l' attrice eduardiana, la compagna di rivoltosi giochi televisivi inventati da Renzo Arbore, l' amica di Luciano De Crescenzo e Marina Confalone, l' attuale direttrice del Teatro Trianon di Napoli («Voglio farne un tempio della commedia musicale»), c' è una figura più nascosta, riservata.
L' attrice parla molto poco della sua ventennale storia d' amore con l' imprenditore Piero Pedrini (nel libro però gli dedica un capitolo), così come poco conosciuta è la sua passione per l' occulto e i simboli esoterici: «Dalla caverna di Platone di Lorenzo Ostuni passava anche Federico Fellini, che amava utilizzare i sistemi simbolici creati da Lorenzo, come le 99 Chimere o le 77 Sfingi, per interpretare i sogni. Lorenzino, come lo chiamava lui, era il suo oniromante».
Il 19 aprile è una data doppiamente importante per Marisa Laurito, perché non solo segna il momento della sua nascita a Napoli, ma perché il 19 aprile del 1972, a 21 anni, conobbe Eduardo De Filippo («Lo avevo seguito, cercato, spiato, importunato, assediato»), finendo con l' essere immediatamente scritturata nella sua compagnia: «Quel giorno, scendendo le scale del teatro, scoppiai a piangere per la felicità e non riuscii a smettere più; incrociai Luca De Filippo e Angelica Ippolito che andavano verso i camerini e sicuramente pensarono che Eduardo mi avesse scartata».
Sono passati quasi 50 anni da quella soglia artistica, che determinò, tra l' altro, il trasferimento dell' attrice da Napoli a Roma e l' inizio di una vita scapricciata, che trova oggi una diversa misura: «È bellissima questa cifra tonda: 70 anni. Per me il tempo che passa è una cosa meravigliosa.
La maturità mi ha dato una pacatezza che prima non avevo, non bado più alle sciocchezze». Di rimpianti veri e propri, Marisa non ne ha («forse solo di aver rifiutato di fare la seconda volta Domenica In, dopo il successo della trasmissione con la mia conduzione nell' 89»). Mentre la sua più grande paura è «la morte delle persone care, che forse però non muoiono veramente: Luciano De Crescenzo diceva di essere sperante della religione, ecco io mi definisco sperante nella reincarnazione».
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