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“IL MIRACOLO DELL’OPERA LIRICA IN ITALIA E' QUELLO DI DARE A UN POPOLO UN'IDENTITÀ E DI FARGLI PERFINO VENIRE VOGLIA DI UNA PATRIA” - ALBERTO MATTIOLI, NEL SUO LIBRO "IL LOGGIONISTA IMPENITENTE" SPIEGA CHE "PER LA SINISTRA IL MELODRAMMA È ELITARIO, PER LA DESTRA È RADICAL CHIC. INVECE L’OPERA LIRICA È UN PATRIMONIO DI TUTTI CHE SFONDA LE BARRIERE SOCIALI E CULTURALI. IN QUELLE FILE IN VOCIANTE ATTESA DI ASSISTERE ALL'ENNESIMO TROVATORE O ALLA MILIARDESIMA BUTTERFLY C'E’ ANCORA L'ANIMA DEL PAESE DEL MELODRAMMA” – IL LIBRO SARA’ PRESENTATO MARTEDÌ 10 GIUGNO ALLE 18 ALLA SCALA DI MILANO
Da “la Stampa”
Esce oggi Il loggionista impenitente, l'ultimo libro di Alberto Mattioli, di cui anticipiamo una pagina. Prima presentazione martedì 10 giugno alle 18 al teatro alla Scala.
«Non si capisce una parola». La sentenza arrivava, di solito, alla fine della discussione. Era l'argomento definitivo, tombale come la «fatal pietra» che sigilla il sepolcro di Aida, l'ultimo nella requisitoria contro l'opera lirica, spettacolo vecchio, noioso, fuori moda, destinato soltanto a care zie con il collo di pelliccia sul paletot odoroso di naftalina, che puntualmente arrivava quando da ragazzino cercavo di convincere dei coetanei a venirci con me.
Con gli anni, si sono aggiunte nuove accuse, alcune curiosamente condivise sia dalla sinistra wokista sia dalla destra populista: l'opera è elitaria, troppo costosa, poco inclusiva, un divertimento per ricchi bianchi che vivono nelle Ztl e spesso pure politicamente scorretta (questa è la sinistra), oppure un passatempo da radical chic lontana dalle aspettative della «gggente» che, giustamente, dopo una dura giornata di lavoro si ricrea guardando Maria De Filippi, non dei tizi che cantano in calzamaglia storie assurde che pretendono perfino di farci pensare (e questa è la destra).
Ma a chi, come me, ha iniziato ad andare all'opera salendo le infinite scale dei loggioni emiliani, «la lirica» tutto appariva meno che merce da kasta. Anzi, in quelle file in vociante attesa di assistere all'ennesimo Trovatore o alla miliardesima Butterfly c'era ancora l'anima del Paese del melodramma, come da titolo di un bellissimo libro sbagliato di Bruno Barilli: un pubblico interclassista, non troppo acculturato, magari senza troppa dimestichezza con i congiuntivi ma a suo agio con il librettese di Temistocle Solera o di Francesco Maria Piave. È il miracolo dell'opera lirica in Italia.
Si tratta di un'arte difficile, costosa, complicata, impegnativa da realizzare ma anche da seguire, nata dalla riflessione di un gruppo di raffinatissimi intellettuali nella Firenze post rinascimentale, che racconta vicende inverosimili usando forme musicali anche molto complesse e una lingua letteraria che nessuno ha mai parlato e molti nemmeno capiscono, e che per di più richiede l'accettazione di una convenzione insensata, quella che la gente comunichi cantando e non parlando.
E tuttavia nel nostro Paese questa sublime assurdità diventa patrimonio di tutti e per tutti, sfonda le barriere sociali e culturali, impregna di sé la mentalità e la vita sociale, gli usi e i costumi, perfino i modi di dire, trasforma il teatro in un incrocio fra la piazza e la cattedrale, parte dall'Italia per conquistare il mondo intero e infine dà a un popolo un'identità, lo rende comunità, gli fa perfino venire voglia di una Patria.
E tuttavia è chiaro che oggi l'opera non è più uno spettacolo nazionalpop. Mai come oggi l'opera lirica appare irrimediabilmente rétro, una bizzarra testimonianza di altri mondi e altre passioni, oggi spente come vecchi amori da ricordare con tenerezza ma senza brividi. Semmai, con nostalgia.
alberto mattioli 1 foto di bacco
Ma il teatro (tutto: cantato, parlato, danzato) può forse sopravvivere ma di certo non vivere se è soltanto un'operazione-nostalgia, rimembranza, testimonianza storica, reperto archeologico di altre epoche, o anche semplicemente di quando eravamo più giovani. La scommessa è farlo, e descriverlo, per quello che è: il luogo della riflessione, del dibattito, dell'autocoscienza, lo strumento inventato due millenni e mezzo fa per raccontare e raccontarsi, e dunque sempre inevitabilmente contemporaneo.
Viene sempre pomposamente ripetuto che nulla è più attuale dei classici. Però non basta dirlo: bisogna dimostrarlo. Bisogna portare queste eterne ripetizioni della verità a spiegarci qual è la nostra verità, qui, oggi, adesso. Concesso e non dato, poi, che di verità ce ne sia una sola, e lo scopo del teatro non sia di seminare dubbi e non certezze, fare domande invece di dispensare confortevoli risposte.
D
alla fiducia che il teatro, quindi l'opera lirica, possa essere anche questo, uno strumento antico ma prezioso per capire chi siamo, nasce questo libro, che è una raccolta di recensioni, certo, ma anche di personaggi, polemiche, titoli, tendenze.
Un libro del genere può dar adito a sospetti di autocelebrazione o, peggio, di riciclo: in questa casa non si butta via niente, dicevano le nostre nonne longanesiane, figuriamoci dei «pezzi» pubblicati per lo più sui quotidiani e quindi destinati, come da luogo comune, a incartare il pesce già nel day after della loro apparizione (come se poi qualcuno incartasse davvero la sogliola nei giornali, che sono oggetti ormai desueti, di raro uso, perfino difficili da reperire stante la sparizione delle edicole, e di certo pochissimo presenti nei mercati).
E tuttavia queste pagine possono forse disegnare uno stato dell'arte che tanto amiamo, le mode e i modi in cui si esplica, le polemiche che la percorrono, gli artisti che la fanno amare oppure odiare, che è anche meglio.
Sperando che, almeno, si capiscano le parole.
ortombina chailly
paolo cairoli roberto dagostino alberto mattioli foto di bacco
alberto mattioli 5 foto di bacco
cecilia bartoli
teatro regio parma
alberto mattioli francesco giambrone foto di bacco
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