DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Federico Cella per il “Corriere della Sera”
Microsoft è pronta a superare l’ultima frontiera. La citazione di Star Trek non è casuale: usare Skype Translator è come immergersi in un film di fantascienza, dove gadget più o meno probabili permettono di parlare ogni lingua, anche quelle aliene. Il colosso di Redmond si ferma a quelle terrestri e utilizza la piattaforma per le chiamate vocali da 300 milioni di utenti per provare ad andare oltre una delle poche barriere rimaste da quando esiste Internet, quella del linguaggio.
Da oggi è possibile usare il traduttore vocale anche in italiano, quarta lingua scelta da Microsoft dopo inglese, spagnolo e il cinese (mandarino), reso disponibile in contemporanea con la nostra lingua. L’inusuale scelta di mettere l’italiano nella griglia dei primi è legata sia alla somiglianza con lo spagnolo, sia al fatto che il nostro mercato è prezioso per Redmond: abbiamo una forte comunità che usa Skype, e siamo tra i più grandi appassionati di smartphone Windows.
La prova del Translator fatta dal Corriere è la classica dimostrazione di come usarlo sia po essersi iscritti alla prova, basta avviare il programma per videochiamare e ci si trova immersi in quella che sembra una magia, digitale. Fatta la telefonata, si può iniziare a conversare normalmente in italiano con il nostro interlocutore, anche se si trova dall’altra parte del mondo e parla un’altra lingua.
Un americano, per esempio, ci ascolterà in inglese. E noi lo sentiremo nella nostra lingua.
La magia, appunto, avviene grazie al software che si occupa di svolgere il lavoro di traduzione. Con la sorprendente caratteristica della velocità: mentre parliamo, la traduzione — prima scritta, sotto forma di chat, e poi vocale — cambia man mano che la macchina capisce non solo le parole, ma il contesto della frase.
A 40 anni dalla sua nascita, era il 4 aprile 1975, l’azienda dimostra di essere ancora in grado di innovare. E di farlo anticipando gli altri due colossi che negli ultimi anni le sono passati davanti. Sia Google sia Apple sono in dirittura d’arrivo: l’app Translate di Mountain View dovrebbe vedere presto integrata una «modalità conversazione», mentre Cupertino l’asso ce l’ha sotto la manica, ossia un’applicazione pronta (o quasi) per l’Apple Watch. È pur vero che il nostro compagno di videochiamata risulta parlare con una voce e una pronuncia parecchio «sintetiche».
E che il Translator inciampa ancora in errori, alcuni anche comici, come quando ha «sentito» e quindi tradotto «ho visto un bel film» in «ho visto un bel fico». Ma di fatto lo strumento con cui Microsoft si pone l’obiettivo ambizioso di porre fine alla Babele delle lingue funziona incredibilmente bene.
Sia che si parli del funzionamento del software stesso, sia che l’argomento sia la Champions League. Microsoft d’altronde non è l’azienda delle finezze, interessata a quel dettaglio di cui Apple è maestra. È anzi rinomata per mettere sul mercato prodotti grezzi, per poi raffinarli man mano.
L’azienda ora in mano al realista Satya Nadella bada al sodo. E dopo dieci anni di lavoro i laboratori di Microsoft Research a dicembre hanno dato il via alla fase «beta» del Translator in inglese e spagnolo. Da allora sono oltre 40 mila gli utenti che stanno testando il programma e da oggi altri migliaia si aggiungeranno per insegnare a Skype il cinese e l’italiano.
Perché il software è in grado di auto-apprendere, più persone lo usano, più bravo diventa. È questa la ragione per cui il programma, basato sui dati raccolti dai diversi servizi della multinazionale, pe quanto imperfetto, è reso disponibile al pubblico. E per le stesse motivazioni, il sogno del traduttore universale può essere realmente coltivato solo dai big: solo aziende che hanno a disposizione milioni di dati, e di utenti, possono pensare di arrivare a tradurre in codice qualcosa di così complesso come la lingua parlata.
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