DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
David Fricke per “Rolling Stone”
Un’estate di anni fa, Frances Bean Cobain lavorò come stagista negli uffici di “Rolling Stone” a New York. La figlia di Kurt all’epoca era “una quindicenne goth”, ricorda lei stessa, che faceva da assistente per una storia sui Jonas Brothers, mentre sul muro di fronte campeggiava un gigantesco poster di suo padre.
Oggi ha 22 anni, è un’artista visuale, ha prodotto il documentario della “HBO” intitolato “Kurt Cobain: Montage of Heck”, e per la prima volta parla in pubblico del suo celebre genitore e del complesso rapporto con sua madre Courtney Love. Dice Frances: «Kurt arrivò al punto di sacrificare ogni piccolo pezzo di sé per la sua arte, perché è questo che il mondo gli chiedeva. Credo sia stata una delle cause scatenanti del non voler più essere qui, pensò che tutti sarebbero stati più felici senza di lui. In realtà se lui fosse rimasto in vita, io avrei avuto un padre e sarebbe stata un’esperienza incredibile».
Come descriveresti “Montage of Heck”?
«Giornalismo emotivo. E’ quanto di più vicino alla storia che Kurt avrebbe raccontato con le sue parole, con il suo senso estetico, con la sua percezione del mondo. Ritrae una persona che tenta di fare i conti con il suo essere “essere umano”. Sono subito stata chiara con il regista su cosa volevo vedere, su come volevo che Kurt fosse rappresentato. Non volevo mitologia né romanticismo. Anche se è morto nel modo peggiore possibile, è avvolto nel romanticismo e nella mitologia perché resterà per sempre un 27enne. La vita di un artista o di un musicista non è particolarmente lunga. Kurt ha ottenuto lo status di icona perché non invecchierà mai. Continuerà ad essere rilevante e sarà per sempre bello. Ogni grande artista è circondato da frenesia e follia. “Il Tropico del cancro” è uno dei miei libri preferiti e l’autore, Henry Miller, aveva un’etica del lavoro che lo costringeva a scrivere almeno cinque pagine al giorno. Mi ha insegnato che se fai i tuoi compiti, progredisci. Mio padre era straordinariamente ambizioso, ma ciò che ha ricevuto superava la sua ambizione. Voleva che la sua band avesse successo, non voleva essere la fottuta voce di una generazione».
Ricordi la prima volta che hai ascoltato un disco dei Nirvana?
«Non mi piacciono molto i Nirvana. Scusate, gente della promozione e della “Universal”. Amo di più Mercury Rev, Oasis, Brian Jonestown Massacre. Non sono interessata alla scena grunge ma "Territorial Pissings", in Nevermind”, è una cazzo di grande canzone. E piango ogni volta che sento "Dumb", su “In Utero”, perché è una versione ridotta all’osso della percezione che Kurt aveva di sé stesso, di sé dentro e fuori le droghe, del suo sentirsi inadeguato nel ruolo di voce di una generazione»
L’ironia è che la scrisse prima di Nevermind.
«Lo so, era una specie di previsione»
Da adolescente ti sei sentita in imbarazzo, non essendo interessata alla musica di Kurt?
«No, mi sarei sentita più strana ad esserne fan. A 15 anni capii che lui era inevitabile. Anche se stavo in macchina con la radio accesa, c’era mio padre. Vive più a lungo della vita e la nostra cultura ha un’ossessione per i musicisti morti. Amiamo metterli su un piedistallo. Se Kurt fosse stato un altro ragazzo che abbandonava la famiglia nel peggiore dei modi...ma non lo era. Ha ispirato la gente che lo ha fatto diventare Santo Kurt. E’ diventato più grande dopo la morte di quanto non lo fosse stato in vita. Si pensava che non sarebbe potuto accadere, invece è accaduto».
Nel documentario emerge una personalità di Kurt che può non piacere...
«E’ una prospettiva interessante. A me il film ha fornito informazioni su mio padre basate sui fatti, non fraintese, rielaborate, ridette in dieci modi diversi. E’ la verità su chi fosse mio padre da bambino, da adolescente, da uomo, da marito, da artista. Esplora ogni aspetto di chi fosse come essere umano»
Com’è stato ascoltare la sua voce?
«La ascolto da sempre, tramite la sua musica. Quando non canta, è simile alla mia. Un po’ monotona, profonda. Non so come cazzo sia possibile, ancora non parlavo quando lui mi stava attorno»
E’ il potere genetico...
dal documentario montage of heck
«E’ strano come funzionano i geni. Dave Grohl, Krist Novoselic e Pat Smear un giorno vennero a trovarmi a casa, era la prima volta che gli ex-Nirvana si riunivano dopo tanto tempo. Mi guardavano e sembrava vedessero un fantasma. Guardavano me e vedevano Kurt. Cominciarono a raccontare storie che avevo sentito milioni di volte, io ero seduta e fumavo, fissavo il pavimento annoiata. E loro dissero: «Stai facendo esattamente ciò che avrebbe fatto tuo padre». Sono stata felice di incontrarli. Una bella esperienza avere la riunione dei Nirvana. Uno escluso».
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