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A Milano infuriano le polemiche milanesi sul museo del design. Tutti, a cominciare dal Corrierone, pontificano: "Milano ha bisogno di un museo del design!". Come se un museo non esistesse già da 10 anni. Come se sindaci, assessori, industriali non avessero inaugurato, presenziato, finanziato la Triennale. Milioni di visitatori cancellati. Rimozione? Allucinazione collettiva? Esibizione di muscoli ambrosiani?
Inoltre, si invoca il ritorno a un museo tradizionale, fatto solo di icone, statico e monumentale, mentre in Triennale si sta sperimentando un modello di museo dinamico, mutante, capace di mettersi in discussione. Ma il solito misoneismo italiano ne ha paura, preferisce un rassicurante ritorno al passato.
MILANO, IL MUSEO DEL DESIGN: TRA ENTUSIASMO E NODI DA SCIOGLIERE
Giacomo Valtolina per Corriere della Sera MIlano
Dopo le fulminee, entusiastiche reazioni del mondo politico, economico e istituzionale, la proposta- refrain di dotare finalmente Milano di un museo del Design, prova a passare dall’astrazione ai tavoli del concreto. Con al centro il ruolo della Triennale, come rivendicato ieri dal direttore Silvana Annicchiarico («un museo del design c’è già ed è qui in viale Alemagna») e, almeno in linea di principio, come condiviso da tutti gli attori in scena: Confindustria, il Salone del mobile, l’Adi, Regione, Comune e le singole imprese (37 delle quali hanno già un loro museo d’azienda lombardo).
La priorità è che la piazza del design più importante al mondo abbia un museo, permanente: «È entusiasmante che se ne parli - spiega il presidente di Federlegno Arredo, Emanuele Orsini -. C’è la consapevolezza che unirsi fa bene all’intero sistema. Tutti devono fare un passo indietro e noi vogliamo essere i promotori del dialogo».
Claudio Luti nella doppia veste di presidente di Kartell e Salone, rilancia. «È arrivato al momento di sedersi al tavolo. Finora abbiamo volato alto, oggi è necessario capire, con tutti i se e tutti i ma, come far nascere il più bel museo di design del pianeta. Ma non può essere un’operazione che nasce dal basso e dalle aziende: bisogna scegliere i migliori direttori e i migliori curatori che vadano in giro a recuperare i migliori pezzi». Sorpassando MoMa di New York e Design museum di Londra.
A Milano, finora, si è parlato soprattutto di luoghi. L’architetto Mario Bellini ha proposto un’icona del saper fare milanese, il Pirellone. «Sarebbe un simbolo, ma in questa missione serve progettualità, scegliendo uno spazio ad hoc , non qualcosa di improvvisato». Il «no» al Pirellone non è mai espresso come quello alla location Triennale, ma le imprese sembrano preferire una architettura moderna.
LA POLTRONA MOLTENI DI GIO PONTI
«Un museo è un’operazione di marketing importante: non bisogna essere timidi - dice Giulia Molteni della Molteni -. Servirebbe un luogo storico da riqualificare in centro o un palazzo innovativo disegnato da una mano contemporanea». Alla Molteni hanno riscoperto l’importanza di avere una storia e una tradizione inaugurando, due anni fa, per Expo, un museo per i clienti. «È inspiegabile che a Milano non ci sia ancora».
Obiettivi comuni, voglia di sinergie, prestigio internazionale, ragion di Stato, il territorio produttivo lombardo è unito ma vuole capire chi ci metterà i soldi, chi fornirà le opere (nel disegno a centro pagina ci sono alcuni pezzi-icona del made in Italy), e soprattutto chi dovrà gestire gli spazi. «Il museo va fatto - spiega Maurizio Riva della Riva 1920 - ma serve l’intervento della politica. Non alla Triennale, piuttosto in un palazzo speciale sullo stile della nuova piramide Feltrinelli. E dovrà essere composto da una parte permanente ma anche da un’altra a rotazione».
Alla Riva 1920 da 22 anni esiste un museo, ripensato sei anni fa, e passano giovani per imparare e fare concorsi. «Ogni uomo sano deve aiutare gli altri. Come? Lasciando una traccia. Dobbiamo essere mossi da questo sentimento. E questo vale anche per le istituzioni». Anche Vittorio Livi, da Fiam fa leva sull’urgenza: «Il massimo sarebbe realizzarlo in una struttura ideata apposta per valorizzare il patrimonio inespresso dell’Italia. Tutti i designer del mondo vogliono venire a lavorare qui. La cultura paga, è il nostro petrolio».
Incassato il multiforme sì delle imprese, dalla campagna elettorale arrivano addirittura impegni («Lo faremo al Pirellone» ha assicurato Giorgio Gori, con il placet di un Roberto Maroni desideroso di far traslocare il parlamentino dal grattacielo al Palazzo del Senato). Ma gli equilibri dovranno giocoforza passare dalla nuova governance della Triennale. In attesa del presidente (Stefano Boeri in pole), ieri Vincenzo Ugo Manes e Antonio Calabrò hanno «raggiunto» Maroni nel cda della Fondazione.
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