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Mario Luzzatto Fegiz per il Corriere della Sera
Mogol, il decano dei parolieri italiani (ma lui preferisce la dicitura «poeta per canzone») ha tradotto per anni le canzoni di Dylan in italiano.
Come vive questo Nobel?
«Ne sono felice. Ho sempre ritenuto che nel modo di eseguire le canzoni ci sia un "prima di Dylan" e un "dopo Dylan". Lui ci ha insegnato che cantare bene non serve a nulla.
L' abilità virtuosistica non porta da nessuna parte. Non conta la bravura tecnica, serve la capacità di comunicare. Prima di Dylan comandava il pubblico, a sua volta schiavo dei canoni.
Poi si è capito che i valori principali erano la libertà, e la semplicità. Insomma un cantare lontano dalle regole, ma più vicino alla vita vera. Cantare come uno si sente dentro, non obbedendo a regole e schemi. Quella voce roca che riusciva a incantare in Mister Tambourine . Mi si permetta un piccolo esempio italiano, fatte le debite proporzioni: la mia allieva Arisa. Le basta un fil di voce per arrivare al cuore della gente».
Ma il Nobel Dylan l' ha vinto per qualità della scrittura...
«Certamente. E se si traducono i testi c' è davvero tanta poesia. Questo Nobel dimostra che la poesia per canzone, cioè abbinata alla musica, non vale meno della poesia pura. E che perfino uno come me può aspirare al Nobel.
E questo mi fa molto piacere. C’è un filo che unisce la cultura popolare di ogni tempo, un filo che parte da Dante Alighieri e arriva da Dylan. Montale e Dylan hanno assolutamente pari dignità. Ma che questo venisse riconosciuto non era prevedibile».
Anni fa lei incontrò Dylan. Cosa vi diceste esattamente?
«Dovevamo parlare esclusivamente della traduzione che io avevo fatto di una sua canzone. Lui lesse qualche verso e disse: "Ma questo non è Dylan, questo è Mogol". E aveva ragione, io non parlavo bene l' inglese e mi veniva più facile inventare che tradurre. Gli dissi: "Se mi spieghi il significato di questa canzone posso correggere".
E lui: "Non posso perché non l' ho capita esattamente neppure io. Forget it, dimenticala" e la gettò nel cestino. A quel punto parlammo dell' Italia. Disse: "È un Paese bellissimo, ma c' è un problema: nessuno mi prende a bordo quando faccio l' autostop"».
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