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Giuliano Aluffi per “la Repubblica”
C’è un momento indietro nel tempo, nel lontano 1965, che racchiude in sé il seme di un universo pronto a germogliare per cambiare la canzone italiana. È il primo incontro tra il giovane Giulio Rapetti - già affermato autore di Una lacrima sul viso - e un ragazzone riccio di Poggio Bustone. A raccontarci come andò, al Centro Europeo di Toscolano, è Mogol in persona che il 15 settembre pubblicherà Il mio mestiere è vivere la vita (Rizzoli, pp. 208, euro 29,90).
Quel ragazzo si chiamava Lucio…
«Mi fece sentire due canzoni. “Non sono granché” dissi. “Ha ragione” mi rispose. Gli dissi di ripassare più avanti, che avremmo provato a scrivere qualcosa».
Senza quel ripensamento, i momenti romantici di tanti italiani non si sarebbero materializzati. Galeotte le vostre canzoni, signor Mogol. Ma lei come nasce artisticamente?
«Nel 1954, a diciott’anni, entrai a lavorare in Ricordi. Controllavo le versioni italiane di brani stranieri. Ma presto iniziai a scribacchiare qualche canzone anch’io. Un giorno del ’56 Adriano Celentano, che conoscevo già da ragazzino perché giocavamo nella stessa strada, venne a trovarmi e gli mostrai uno dei miei primissimi esperimenti: Piccolo sole. Emozionati, entrammo nell’ufficio di mio padre Mariano, dirigente in Ricordi, e gliela cantammo. Ci diede un cenno d’assenso e poi, rimasto solo con me, sbottò: “La canzone fa pena e quello è stonato: ma che volete?”».
Del resto lei a quel tempo lei non era ancora “Mogol”: come è nato il suo nome d’arte?
«Nel 1959, quando gli pseudonimi erano piuttosto diffusi tra i compositori. Anche mio padre ne aveva uno, “Calibi”, con cui firmò Le colline sono in fiore. Con mio padre in Ricordi, volevo poter firmare canzoni senza passare per raccomandato. Mandai alla Siae una lista di 30 pseudonimi. Tutti bocciati. Compilai un listone con 120 altri nomi. Alla fine passò solo “Mogol”».
Beh, sarà stato contento…
«Tutt’altro! Non mi piaceva più. Ho pensato: “Ora mi prenderanno poco sul serio: è una dinastia cinese, ma tutti penseranno alle Giovani Marmotte”. Mi consolai subito: «Tanto farò un flop e nessuno conoscerà “Mogol”!».
Lei ha quasi sempre scritto storie prese dalla sua vita…
«Le “bionde trecce” della Canzone del sole sono quelle di Titti, il mio primo amore: avevo cinque anni, lei sei. Era la bambina dell’appartamento accanto al mio, a Milano».
Anche “Non piangere salame / dai capelli verde rame”?
«Scrissi Eppur mi son scordato di te in mezzo ai vigneti. In realtà intendevo scrivere “capelli rosso rame”. Ma tutti intorno a me parlavano di viti e del verderame per difenderle dai parassiti, e mi scappò quel lapsus».
MOGOL
mogol
BATTISTI MOGOL
CELENTANO
MOGOL
Ci confessi una cosa: anche lei, con le sue fidanzate, metteva le canzoni di Battisti… «Secondo lei io, che già sentivo fin troppa musica per lavoro, mi mettevo ad ascoltarla anche nel mio tempo libero?».
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